Nel giorno del quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, il suo film-testamento Salò o le 120 Giornate di Sodoma (1975), torna oggi nei nostri cinema nella versione restaurata della Cineteca di Bologna e da CSC – Cineteca Nazionale, in collaborazione con Alberto Grimaldi. Il film sarà preceduto dall’intervista a Pasolini realizzata da Gideon Bachmann sul set del film, conservata e restaurata da Cinemazero di Pordenone (durata 7’).
L’ultimo film di Pasolini, uscito postumo, fu definito dall’autore “un mistero medioevale”. Pasolini intendeva dire che ogni sequenza, ogni atto, ogni momento del film alludeva ad altro, proprio come nei Misteri medioevali ogni “quadro” rappresentato, evoca altro, una storia sacra o profana.
La grande complessità – e la violenza narrativa, quasi intollerabile – di Salò nascondono numerosi segreti, situazioni cifrate, allusioni, appunto, a ciò che Pasolini si rifiutava di raffigurare e mettere in scena direttamente: il presente, il degrado dell’Italia, ammorbata dalla televisione e dallo sviluppo senza progresso.
Geniale “tradimento” di de Sade e audace dissimulazione storica (la Repubblica Sociale è solo un “cartone” metaforico), Salò aggredisce lo spettatore precipitandolo in un incubo senza pietà e senza vie di salvezza, dove i rituali di perversioni e violenze rimandano surrettiziamente al presente.
Mostra aberrazioni perpetrate secondo un regolamento da collegio infernale, dove ogni etica è pervertita nel suo contrario e la “soluzione finale” pedagogica consiste nella creazione di una nuova umanità, indifferente e assuefatta all’orrore.
“Mi sono innamorato di questa sceneggiatura proprio al momento in cui ho pensato di trasporre questo film nella Repubblica di Salò” spiegò in conferenza stampa Pier Paolo Pasolini. Secondo il regista, ne uscì “una specie di coreografia nazifascista completamente onirica in quanto non c’è un saluto romano, non c’è uno che si metta sull’attenti, non c’è un ritratto del Duce, non si nomina mai niente, si nomina solo la parola ‘Salò’ e la parola ‘Marzabotto’, due nomi”.
“Questo non è un film didascalico. Chi vuol comprendere, comprenda, chi ha orecchie per intendere, intenda. In realtà questo film si presenta come visionario”.
Pier Paolo Pasolini
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