Una settimana dopo il ritorno di Nosferatu, oggi la Cineteca di Bologna riporta in sala un altro capolavoro dell’horror muto per il progetto Cinema Ritrovato. Stiamo parlando de Il Gabinetto del Dottor Caligari il film, diretto nel 1920 da Robert Wiene, considerato il simbolo del cinema espressionista tedesco e precoce esempio di thriller psicologico in cui allucinazione e realtà di confondono. Una pietra miliare che si rivelò il primo successo internazionale della cinematografia tedesca dopo la Prima Grande Guerra.
Il film inizia con l’inquietante racconto che Francis (Friedrich Fehér), uno dei personaggi, inizia rivolto ad un vecchio seduto accanto a lui. L’uomo, attraverso un flashback, ritorna al 1830, nel piccolo paese di Holstenwall in Germania. Qui un signore poco raccomandabile di nome Caligari (Werner Krauss), giunge alla fiera del paese per presentare Cesare (Conrad Veidt), un sonnambulo che tiene sotto ipnosi in una cassa da morto. Il Dottor Caligari sostiene che Cesare, nel momento in cui si sveglierà, potrà predire il futuro.
Con il suo arrivo nel paese, cominciano a verificarsi delle morti sospette. Francis scoprirà che il Dottore utilizzava Cesare come assassino (manipolandolo attraverso il sonnambulismo), imitando le gesta di uno psicologo italiano da cui ha preso proprio il nome di Caligari. Uno volta smascherato, Francis chiederà aiuto alla polizia e il Dottor Caligari fuggirà presso un manicomio di cui è lui stesso il direttore.
Mentre il racconto termina con la detenzione forzata del dottore nel suo stesso manicomio, lo spettatore è ricondotto fuori dal lungo flashback, alla panchina dove sono seduti Francis e il suo ascoltatore. Ma un finale a sorpresa fa capire che forse il racconto di Francis non è stato altro che il frutto della sua fantasia.
L’uomo si risveglia infatti nel manicomio e la persona che sostiene essere il Dottor Caligari altri non è che l’attuale direttore dello stesso istituto correttivo. Francis dà in escandescenze e gli viene messa la camicia di forza. Il film si conclude con la scena in cui il direttore del manicomio afferma che saprà come trattare Franz ora che è emersa la ragione del suo stato demenziale, quindi sogghigna in modo sinistro alla macchina da presa.
Il Gabinetto del Dottor Caligari, la cui comparsa coincise con la fine del primo quarto di secolo del cinematografo, rappresentò per molti aspetti una pietra miliare della storia del cinema. Il film più sensazionale del 1920 delineava nuove ambizioni estetiche, nuovi rapporti tra film e arti grafiche, tra attori e scenografia, tra immagine e narrazione. I legami che instaurò tra un cinema ancora giovane e i movimenti artistici più sperimentali dell’epoca sorpresero e attirarono un pubblico di intellettuali che fino ad allora aveva degnato di ben poche attenzioni un settore dello spettacolo considerato ancora sospetto.
Il film, scritto da Hans Janowitz e Carl Mayer, conferì inoltre alla cultura cinematografica tedesca un prestigio internazionale senza precedenti, e contribuì a riaprire mercati che si erano chiusi con la Guerra mondiale e con il successivo ostracismo economico.
Caligari fu un caso unico, straordinario. La storia della sua genesi esercita di conseguenza un fascino particolare. Nel corso degli anni, tuttavia, quella storia è stata offuscata dall’accumularsi di leggende e testimonianze contraddittorie.
Mentre il film veniva promosso a un rango mitico nella storia del cinema e più in generale nella cultura del ventesimo secolo, chi vi aveva avuto a che fare tentò spesso di sottolineare, rafforzare e drammatizzare il proprio contributo. Per quegli artisti costretti all’esilio dall’avvento del nazismo e obbligati a ricominciare da zero all’estero, fu spesso particolarmente importante poter vantare il proprio ruolo nella creazione del Caligari, biglietto da visita che apriva tutte le porte.
Per questo quello di Wiene è sotto vari aspetti un film-enigma. L’affermazione di Hans Janowitz ‒ diffusa da Kracauer ‒ secondo cui l’espediente del narratore interno al testo non esisteva nella sceneggiatura originale si è rivelata falsa. Il film non solo sfrutta pienamente le potenzialità dell’immaginario presenti nella sceneggiatura, ma le rende ancora più problematiche e inquietanti attraverso cambiamenti significativi e il ricorso a una stilizzazione visiva di grande effetto. Il sonnambulo Cesare, che originariamente avrebbe dovuto essere un forzuto da fiera, diventa nel disegno di Walter Reimann una maschera filiforme, una figura in calzamaglia nera che pare un fantasma.
E le scenografie dell’orizzonte immaginario evocato da Francis sono elaborate da Warm, Reimann e Röhrig secondo i modelli di stilizzazione della pittura espressionista, con particolare attenzione agli esterni berlinesi di Ernst L. Kirchner. Contrariamente alle affermazioni della critica più corriva, il film rivela una struttura complessa, che coordina elementi compositivi variegati in un quadro di grande coerenza formale, garantita dalla regia consapevole di Robert Wiene.
La critica e il pubblico degli anni Venti non dubitarono che Caligari fosse un’autentica manifestazione dell’espressionismo, un’importante estensione della nuova arte a un nuovo mezzo espressivo. A colpire ancora oggi sono il viluppo di linee, le forme zigzaganti e le strutture follemente sghembe. Elementi di una scenografia che, insieme ai costumi e la recitazione, trae valide lezioni dalla pratica teatrale. Perché, come sosteneva Kracauer, “le scenografie realizzano una perfetta trasformazione di oggetti materiali in decorazioni emotive“.
Un mondo distorto come la psiche, un primo meraviglioso esempio di immagine specchio dell’anima.