È da oggi in sala Senza Lasciare Traccia, il primo lungometraggio di Gianclaudio Cappai con protagonista Michele Riondino, affiancato sul set da Valentina Cervi, Elena Radonicich e Vitaliano Trevisan.
Bruno (Michele Riondino) ha cercato di dimenticare un passato di cui porta i segni sulla pelle e dentro di sé, nella malattia che lo consuma lentamente: di quel passato non ha mai parlato con nessuno, neanche con la sua compagna (Valentina Cervi). Fino a quando Bruno non ha l’occasione di tornare nel luogo dove tutto è cominciato: una fornace ormai abbandonata, diventata il rifugio di un uomo (Vitaliano Trevisan) e della figlia (Elena Radonicich). Nessuno dei due riconosce quell’intruso, né immagina le sue intenzioni. Per guarire, Bruno deve trovare un colpevole, guardare in faccia l’origine del suo male. Cercare tracce, cancellarle, per tentare di fermare l’intruso che è in lui.
Come racconta Gianclaudio Cappai, l’idea del film nasce dalla confidenza che una malata di cancro fece al regista: “mi disse come quella malattia fosse legata nella sua percezione ad un fatto traumatico della sua infanzia – spiega Cappai – le chiesi di cosa si trattasse, ma non volle rivelarmelo. Quel fatto è diventato per me una scatola chiusa, un enigma, un fantasma che mi ha inseguito e ossessionato”. Il regista si è chiesto quali potessero essere le conseguenze, i sedimenti lasciati da quel trauma: “la risposta che mi sono dato è che la prima emozione che viene fuori da un vissuto del genere è la rabbia”.
Quella rabbia di chi vuole rimanere aggrappato alla vita e “rivendica la necessità di un risarcimento, almeno psicologico, per provare a superare ciò che ha subito”. L’urgenza di questa dinamica si rileva a livello personale ma anche sociale: “c’è sempre bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio su cui riversare la violenza che scorre sotto la superficie del nostro vivere “civile”, originata a sua volta da altra violenza, dall’ingiustizia o dall’improvviso erompere della morte, in una sorta di rito perpetuo che non riesce a trovare la sua catarsi”.
Il cancro che affligge Bruno, il protagonista, è appunto lo specchio di “un male più oscuro, fisico ma anche mentale, che lo corrode lentamente e in segreto”. Tutti i personaggi del film lottano per liberarsi da ciò che ha segnato per sempre la loro vita, per quanto abbiano cercato di dominarlo, di nasconderlo o di negarlo.
“L’anima di questa storia è un viaggio dentro la zona segreta che abita tutti noi, con cui spesso evitiamo di fare i conti, che preferiamo non guardare pur sapendo che esiste”.
Gianclaudio Cappai