Dal 20 aprile fino all’8 maggio al Teatro Argentina di Roma Federico Tiezzi firma la regia del Calderón, tragedia in versi scritta da Pier Paolo Pasolini nel 1967 e pubblicata nel 1973. Ritenuta da Pasolini stesso una delle sue «più sicure riuscite formali», Calderón, si ispira al capolavoro del grande tragediografo spagnolo del “Siglo de Oro” Pedro Calderón de la Barca (1600-1681), La Vida es Sueño. Non mutano i nomi dei personaggi centrali – Basilio, Sigismondo e Rosaura – mentre molto diverse sono situazione, trama, ambientazione.
Siamo nella Spagna franchista del 1967. Rosaura fa tre sogni successivi, ognuno in un ambiente diverso – aristocratico, proletario, medio borghese – a significare l’impossibilità, per tutti, di evadere dalla propria condizione sociale. Nel primo sogno Rosaura si innamora di Sigismondo, un ex amante della madre che scoprirà essere suo padre; nel secondo, da prostituta, si innamora di Pablito, un ragazzo che scoprirà essere suo figlio; nel terzo è una moglie rassegnata al proprio destino, che si innamora di Enrique, uno studente rivoluzionario.
Il tema della diversità, della irriducibilità di ogni essere umano alle logiche del potere borghese, è dunque ricorrente in tutti i sogni, risolto nelle metafore di amori incestuosi. Segue una quarta (e ultima) incarnazione di Rosaura in uno «scheletro bianco quasi senza più capelli, nella cuccia»: lo scheletro vivente di una vittima delle SS naziste, nello stesso salone di reggia trasformato in lager, mentre irrompe il coro degli operai comunisti in veste di salvatori.
Pasolini stesso sottolinea come il tema del dramma sia lo scontro tra individuo e potere:
«In tutti e tre i suoi risvegli, Rosaura si trova in una dimensione occupata interamente dal senso del Potere. Il nostro primo rapporto, nascendo, è dunque un rapporto col Potere, cioè con l’unico mondo possibile che la nascita ci assegna. Il Potere in Calderón si chiama Basilio (Basileus), ed ha connotati cangianti: nella prima parte è Re e Padre (appare nello specchio – con l’Autore!! – come nel quadro di Diego Velásquez Las meninas), ed è organizzato classicamente: la propria coscienza di sé – fascista – non ha un’incrinatura, un’incertezza. Nella seconda parte – quando Rosaura si risveglia ‘povera’, sottoproletaria in un villaggio di baracche – Basilio diviene un’astrazione quasi celeste (sta nello stanzone de Las Meninas vuoto, come sospeso nel cosmo: e da lì invia i suoi sicari sulla terra); infine, nella terza parte, è il marito piccolo-borghese, benpensante, non fascista ma peggio che fascista».
Federico Tiezzi concepisce questo Calderón come ultima parte di una trilogia che prende in esame la dissoluzione della famiglia, qui colpita anche dalla forza dialettica del maggio ’68 e dallo sguardo impietoso di Freud. Lo avevano preceduto Ifigenia in Aulide di Euripide e Questa Sera si Recita a soggetto di Luigi Pirandello (Piccolo Teatro di Milano, 2016). In questo Calderón Tiezzi sottolinea l’aspetto di tragicommedia presente nel testo, lasciando emergere la sua comicità stridente, surreale e stralunata.