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Dal romanzo di McCauley, arriva L’Arte Della Fuga di Brice Cauvin

Oggi esce nelle sale italiane, distribuita da Kitchen Film, L’Arte Della Fuga, la sofisticata commedia sentimentale di Brice Cauvin, tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore americano Stephen McCauley, già campione di incassi in Francia.


Protagonisti sono tre fratelli in crisi, maestri nell’arte di fuggire alle proprie responsabilità. Antoine (Laurent Lafitte) vive con Adar, forse comprerà con lui una casa, ma sogna Alexis. Louis (Nicolas Bedos) è innamorato di Mathilde, che incontra a Bruxelles dove lavora, ma sta per sposarsi con Julie. Gérard (Benjamin Biolay), disoccupato e testardo, sogna il ritorno della moglie Helen che lo ha lasciato, ma forse cadrà tra le braccia della materna e stravagante Ariel (Agnès Jaoui). Tre uomini confusi, tre fratelli molto legati tra loro, insofferenti ma subalterni agli ossessivi genitori (Marie-Christine Barrault e Guy Marchand), un modello di coppia che nonostante tutto resiste.

Vi presentiamo qui sotto un piccolo estratto dell’intervista rilasciata da Brice Cauvin a Claire Vassé.

Come ti è venuta l’idea di adattare il romanzo di Stephen McCauley?

Adattare un romanzo straniero non è semplice. Ci siamo resi conto di quanto il lavoro necessitasse di un adattamento culturale: i francesi non si esprimono affatto come gli americani. Allora abbiamo chiuso il libro e siamo partiti da quello che ci interessava: la personalità di questi tre fratelli. Ci siamo ingegnati a trasformare questo materiale in una sceneggiatura molto francese, che significava una totale riscrittura dei dialoghi e delle situazioni. Poi naturalmente abbiamo riletto tutto il romanzo fino alla fine per verificare che non avessimo dimenticato delle scene saporite…

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Il film evoca le cose melanconiche della vita ma tu hai scelto di parlarne con una certa leggerezza…

I personaggi dell’arte della fuga sono incapaci di andare avanti nella loro quotidianità, e questo spero li renda divertenti e alla fine crei una certa empatia. Al festival di San Francisco uno spettatore mi dice: Hannah e le Sue Sorelle (di Woody Allen), finalmente ci sarà Antoine e i Suoi Fratelli... Questo mi ha lusingato! Antoine (Laurent Lafitte), cuore pulsante di questo film, perché sembra l’unico lucido, dice le cose come stanno, accetta di dire che tutto va storto. Si fa carico dei problemi dei suoi fratelli e dei suoi genitori. Eppure lui si porta dentro una ferita che rifiuta di vedere, ed è questa negazione che lo rende malinconico. È tutta la linea del personaggio di Antoine nel film: accettare di prendere coscienza della sua situazione.

Fedele al titolo il film fa delle giravolte, i personaggi si fanno eco…

Ho cercato di scrivere la sceneggiatura come uno spartito di musica. Ogni personaggio è uno strumento che suona una propria musica. Antoine è uno strumento a fiato, un flauto o un fagotto, Gérard piuttosto un contrabbasso, Louis una tromba e Ariel un pianoforte… all’inizio del film si comincia con Gérard. È lui che ci porta alla scena della colazione, ci porta verso il quartetto. Eppure poco a poco, sarà la musica di Antoine che ci allontanerà da questo ritratto familiare, ma quasi a nostra insaputa. Io scrivo ascoltando musica, è lei che mi ispira, ascolto 10 o 20 volte un pezzo ed ecco come mi tuffo dentro al sapore di una scena: sul set cerco di creare delle ambiguità: un adagio può cominciare con un allegro! Amo creare degli equivoci: i personaggi possono dire una cosa ma il loro corpo raccontarne un’altra. La musica ci fa percepire delle cose complesse poiché è polisemica. Ho cercato di lavorare allo stesso modo con gli attori.

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Una frase ricorre nel film: è meglio avere rimorsi che rimpianti…

Sì, è meglio fare le cose e sbagliare piuttosto che non farle. È il solo mezzo che ho trovato per andare avanti nella vita. Antoine prende in giro Ariel quando lei glielo dice, ma alla fine lo capisce. Certe volte le persone vi dicono delle cose evidenti o dei cliché e questo vi lascia basiti. Ma alla fine, quando esse producono degli effetti voi le accettate perché contengono una forma di verità. Io preferisco sempre partire da un cliché per arrivare alla verità piuttosto che il contrario.

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