Genio, Megalomane, Severo, Maniacale, Ossessivo, Tiranno, Misantropo, Maestro, Fobico, Eccentrico, Pazzo, Riservato, Misterioso, Lunatico. E così via. Nell’immaginario collettivo, Stanley Kubrick si è guadagnato tutti questi aggettivi, come suggeriscono i primi momenti del documentario Stanley Kubrick: A Life in Pictures di Jan Harlan (2001) che, attraverso un frenetico montaggio, mostrano ritagli di giornale che, negli anni, hanno tentato di descriverlo. Una sequela di etichette che lo hanno confinato nel Mito, nella Leggenda, e che ancora oggi vengono utilizzate accanto al suo nome. Probabilmente ciascuno di noi, che lo abbiamo amato e continuiamo ad amarlo, ha il suo Stanley Kubrick. Quel che è certo è che oggi, 90 anni fa, nasceva una personalità che, tramite i suoi film (quasi tutti Capolavori), non solo ha cambiato il Cinema (e più generalmente l’Arte). Kubrick ha indagato, attraverso storie e generi, l’anima profonda dell’essere umano. Spesso anticipando i tempi. Sempre aprendo dibattiti e riflessioni eterne. Una Vita in Immagini che ha cambiato la nostra vita. Ed è questa la più grande ricchezza che ci ha offerto.
Per celebrare questa immensa figura, ho contattato un amico, Filippo Ulivieri, storico ideatore e responsabile del più grande sito dedicato al Maestro, Archivio Kubrick, un portale davvero unico al mondo. Filippo è tra i più grandi studiosi e ricercatori su Kubrick. Insieme ad Emilio D’Alessandro, ha scritto Stanley Kubrick e Me, uno straordinario racconto (ne abbiamo parlato qui) da cui è nato lo strepitoso documentario S Is for Stanley di Alex Infascelli che è diventato un successo mondiale.
90 anni fa nasceva Stanley Kubrick. Come sai per me è un monumento, non solo un Maestro, non solo un inarrivabile cineasta. Stanley è una delle più grandi menti del Novecento, un genio assoluto. Tu cosa provi in un giorno come questo?
Posso confessare di aver realizzato che era il 90° anniversario della nascita di Kubrick solo quando mi hai chiesto questa intervista? E che ogni volta devo andare a controllare se è nato il 26 o il 28 luglio? Sono terribile con le ricorrenze, chiedi ai miei genitori.
Con la sua nascita – Il destino ha scelto il 26 luglio, nel segno del Leone – è cambiata per sempre la storia della settima arte e non solo. La sua filmografia fa parte dell’immaginario collettivo. Tu che hai studiato la sua vita e la sua opera, cosa ci puoi raccontare della sua formazione giovanile? Che bambino era Stanley prima di prendere in mano una macchina fotografica?
Un rompiscatole. Distratto a scuola, introverso, pochi amici. Un classico.
La sua esperienza a Look anticipa il suo cinema. Forse, essendo il suo occhio, lo scatto fotografico è ancor più vicino alla sua anima. Anni fa vidi una bellissima mostra sul Kubrick fotografo e ne rimasi estasiato. Tu come definiresti la sua arte fotografica?
Non credo di avere una competenza storica o artistica per valutare l’opera di un fotografo. C’è da dire poi che Kubrick più che un fotografo era un fotoreporter, ossia la persona inviata dalla redazione assieme a un giornalista per coprire un fatto di cronaca o di costume. Le sue foto erano per la maggior parte pensate ed eseguite per essere al servizio di una storia, più che come esercizi estetici o creazioni espressive di un fotografo. Credo che questa necessità di raccontare tramite immagini sia stata la vera scuola di Kubrick. Gli anni a Look sono stati formativi anche perché hanno dato a Kubrick un contesto lavorativo di gruppo, che ritroverà nel cinema, e l’hanno costretto a consegnare un prodotto che doveva esser fruito da un pubblico generalista, a cui la rivista si rivolgeva (era la concorrente di LIFE). Questi aspetti restano fondanti per tutto il suo cinema a venire. Si ha sempre la tendenza a mitizzare e a enfatizzare come arte assoluta il cinema di Kubrick, a scapito invece della sua dimensione commerciale. Fin dagli anni passati a Look, invece, Kubrick si è mosso nel contesto della produzione di artefatti culturali di massa. Non è un regista da cinema d’essai, è un regista commerciale – o meglio il solo, probabilmente, che è riuscito a unire il primo al secondo.
Tra la fine degli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta, il cinema scoprì un grandissimo regista. Dai primi documentari a Fear and Desire, dal finale di Rapina a Mano Armata al carrello di Orizzonti di Gloria, dalla sequenza della battaglia in Spartacus alla conturbante bellezza di Lolita e alla fantapolitica del Dottor Stranamore. Che periodo fu quello?
Se vogliamo fare il gioco dello sguardo retrospettivo col senno di poi, si può dire che il corto Day of the Fight dimostra già la bravura da regista (ottimi tempi narrativi), mentre Flying Padre e The Seafarers sono lavori su commissione fatti per la pagnotta (nel secondo si vede che si annoiava). Fear and Desire è il suo unico vero passo falso: un bruttissimo film in cui la tecnica tracima nel manierismo, con un messaggio esistenziale vuoto ma roboante – un tipico film da adolescente. Il Bacio dell’Assassino è la relativa risposta: tutta azione e niente messaggio, e va molto meglio. Non è del tutto errato dire che Kubrick sarebbe rimasto ai margini del cinema indipendente se non avesse trovato James B. Harris con i suoi agganci nell’industria e i soldi da produttore: è principalmente grazie a lui che Kubrick diventa Kubrick. Rapina a Mano Armata e Orizzonti di Gloria sono due bellissimi film di genere. Spartacus è il film che l’ha reso famoso: era il blockbuster dell’epoca, secondo colpo di fortuna del nostro. Lolita non è del tutto riuscito come adattamento del romanzo, ma è un gran film di personaggi e interpretazioni. Dr. Stranamore apre la fase in cui Kubrick esplode: abbandona Harris, ha delle idee originali e riesce a infilarsi nello zeitgeist, che cavalcherà con 2001 e Arancia Meccanica.
50 anni fa uscì forse il suo più grande capolavoro, 2001: Odissea Nello Spazio. Se non ricordo male è anche il tuo preferito. La sua potenza è intatta e il fatto che il suo recente ritorno in sala abbia mandato le sale sold out ne è un significativo esempio. Perché questo è considerato dai più il suo più grande film?
Forse perché non si era mai visto nulla di simile prima di allora? Forse perché Kubrick ha scelto di creare un mistero, senza rendere esplicito nulla?
In seguito arrivarono Arancia Meccanica, Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut. Altri capolavori, spesso realizzati a diversi anni di distanza l’uno dall’altro. Si può dire che anche il genio, con tutta la sua meticolosa cura del dettaglio, richiedeva del tempo per manifestarsi in pieno?
I ritardi nella produzione kubrickiana sono da attribuirsi alla crescente difficoltà di trovare una storia che lo convincesse davvero e a una certa involuzione nel suo metodo: chi vuole supervisionare tutto è condannato a incastrarsi in un delirio di controllo a cui è difficile porre un limite. Se poi, insieme alle liste puntate per le riprese da fare il giorno dopo ti metti a scrivere anche le liste puntate per separare i gatti dai cani…
Con Emilio D’Alessandro hai prima scritto un libro che è poi diventato il documentario di Infascelli. Un lavoro che tutto il mondo ha applaudito e che continua ad avere un enorme seguito. Che viaggio è stato per te? Quanta emozione continui a provare ancora oggi a distanza di tempo?
Un viaggio senza ritorno. Mi ha trasformato in uno scrittore kubrickiano a tempo pieno. Dall’uscita di Stanley Kubrick e Me non ho più smesso di scrivere saggi, storie e articoli sulla vita e la carriera di Kubrick. Giusto per dire delle ultime cose uscite, ho fatto una ricerca sui progetti incompiuti, cioè tutti i tentativi abortiti che hanno occupato molto tempo tra un film e l’altro (sono più di 50!), ho scritto una cronologia della complicatissima lavorazione di 2001: Odissea nello Spazio per il 50enario del film, e ultimamente ho preparato un’analisi della figura mitologica di Kubrick, un’indagine su come mai e da chi sono stati disseminati i luoghi comuni su di lui, dal perfezionismo alla maniacalità, dal non concedere mai interviste al guidare a non più di 50 km all’ora.
Il rapporto tra Stanley ed Emilio era commovente. I ricordi di Emilio ci restituiscono un ritratto intimo di Kubrick. Da quello che ti ha raccontato, sai come era solito festeggiare i suoi compleanni?
Quando non se li dimenticava, li passava lavorando.
Se il Kubrick regista ha regalato alla collettività dei capolavori immortali, cosa ha lasciato lo Stanley uomo a chi gli è stato vicino?
Non avendolo conosciuto di persona, solo dire che tutte le persone che ho intervistato e che hanno lavorato con lui ne serbano un ricordo vivissimo, come di una persona davvero unica, in tutti i suoi pregi e difetti. Non saprei dire se fosse un genio – una parola che viene buttata là con tanta facilità che ormai non significa più niente – ma di certo era un uomo straordinario, fuori dal comune.
Non so se tu abbia mai sognato di parlargli. Se fosse la sequenza di un film, sarebbe un momento onirico. Prova a immaginare. Stanley davanti a te, nel giorno del suo compleanno. Cosa gli diresti?
Buona questa torta, ma figurati se non lo sapevi già.
Intervista di Giacomo Aricò