Dopo gli applausi e una positiva attenzione della stampa alla sua Prima mondiale, avvenuta all’ultima Biennale College Cinema del Festival di Venezia, e dopo l’anteprima ad Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, arriva finalmente nelle sale italiane Zen Sul Ghiaccio Sottile, l’opera prima della giovane regista (classe 1984) Margherita Ferri. Prodotto da Articolture e distribuito da Istituto Luce Cinecittà il film di Ferri debutta sugli schermi da giovedì 8 novembre 2018, preceduto da una serie di anteprime in diverse città.
Zen Sul Ghiaccio Sottile
Maia, detta ZEN (Eleonora Conti, foto copertina), è una sedicenne irrequieta e solitaria che vive in un piccolo paese dell’Appennino emiliano. È l’unica femmina della squadra di hockey locale e i suoi compagni non perdono occasione di bullizzarla per il suo essere maschiaccio. Quando Vanessa (Susanna Acchiardi) – l’intrigante e confusa fidanzata di un giocatore della squadra – scappa di casa e si nasconde nel rifugio della madre di Maia, tra le due nasce un legame e Maia riesce per la prima volta a confidare a qualcuno i dubbi sulla propria identità. Entrambe spinte dal bisogno di uscire dai ruoli che la piccola comunità le ha forzate a interpretare, Maia e Vanessa iniziano così un percorso alla ricerca della propria identità e sessualità, liquide e inquiete come solo l’adolescenza sa essere.
Lasciamo spazio alle note di regia di Margherita Ferri.
“Zen Sul Ghiaccio Sottile è una storia di formazione, che segue il percorso emotivo di Maia, detta Zen: un’adolescente in conflitto con la propria identità di genere, per questo incompresa e bullizzata dai propri coetanei. Anche se non ho mai giocato a hockey, i turbamenti di Maia e Vanessa sono parte della mia storia personale. L’inquietudine del sapersi “diversi”, la magia di essere attratti da una persona del proprio genere senza sapere cosa stia succedendo o nemmeno dare un nome a quel sentimento, il desiderio di essere visti e accettati per quello che si è: queste emozioni sono state l’essenza della mia vita da adolescente e oggi lo sono del film. Come regista, mi è sempre interessato dare vita e centralità a personaggi come Maia, che vivono ai margini delle proprie comunità. Il film parla proprio del fragile confine tra il voler appartenere a un gruppo e l’essere sé stessi senza condizionamenti“.
“Il film, infatti, racconta il disagio e le lotte che deve affrontare chi non si conforma ai ruoli di genere e all’eteronormatività imposta dalla nostra società. Ho cercato di raccontare la storia di Maia giustapponendo le sue emozioni al paesaggio dell’Appennino Emiliano, bellissimo e dimenticato. Ho voluto esplorare la relazione tra la produzione del paesaggio e l’identità di chi vive quei territori, lavorando sull’idea di paesaggio emotivo: uno strumento per stimolare lo spettatore visivamente e accompagnarlo nella dimensione più profonda dei personaggi. Volevo fare un film radicato nella comunità LGBT+ e nei nostri territori, ma con l’obiettivo di condurre il pubblico in quel cammino universale che porta alla scoperta di sé stessi, negli anni inquieti dell’adolescenza“.