Il 2018, dopo Escobar – Il Fascino del Male, vede ancora una volta insieme sul grande schermo Penelope Cruz e Javier Bardem in Tutti Lo Sanno, il film scritto e diretto da Asghar Farhadi che, dopo essere stato presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, arriverà nelle sale giovedì 8 novembre.
In occasione del matrimonio della sorella, Laura (Penelope Cruz) torna con i figli nel proprio paese natale, nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.
Vi presentiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata da Asghar Farhadi.
Come è nato questo progetto?
Quindici anni fa, sono stato nel sud della Spagna. Durante questo viaggio, in una città ho visto diverse foto di un bambino affisse ai muri. Quando ho chiesto chi fosse, ho saputo che era un bambino scomparso e che la sua famiglia lo stava cercando: lì è nata la prima idea del film. Quella storia mi è rimasta sempre impressa e quando ho finito di girare Il passatone ho tratto un piccolo racconto. Ci ho messo quattro anni, poi, a svilupparlo e a trasformarlo in una sceneggiatura. Ma in realtà il progetto è nato all’epoca di quel viaggio in Spagna. Ad attrarmi sono state soprattutto due cose: il paesaggio e la cultura locale, e il fatto di cronaca al centro della storia. Da allora ho continuato a pensare alla Spagna.
Perché ha scelto di ambientare questa storia in un paesino anziché a Madrid?
Questa storia parla dei rapporti umani tra gli abitanti di un paese. E le loro relazioni sono diverse da quelle che ci sono tra gli abitanti di una città. Inoltre, era tanto tempo che avevo voglia di girare in un piccolo paese in mezzo alla natura. Cercavo storie ambientate lontano dalla città e dal suo frastuono e questo mi ha portato inconsciamente a indirizzare la trama verso un luogo dove ci fossero un paese, una fattoria… Cose che mi suscitano un sentimento di nostalgia. In un paese le persone sono più vicine, perché gli abitanti sono pochi e tutti si conoscono. La storia si nutre anche di questo. Se fosse stata ambientata in una città, le persone non si sarebbero incontrate tanto facilmente, le relazioni tra loro sarebbero state diverse. Avrei fatto un altro film. Una delle cose più belle è stato girare in mezzo a tutte quelle fattorie, in un paese dove la gente si riunisce nella piazza principale ogni pomeriggio. Un altro punto che ci tengo a sottolineare è che i protagonisti del film, pur trovandosi in una situazione complicata, sono persone semplici. E collocarli all’interno di un paesino sottolineava questa semplicità.
Com’è riuscito a dare a questa sceneggiatura un sapore spagnolo?
Quando ho finito di scrivere la sceneggiatura, l’ho data ad alcuni amici che vivevano in Spagna: amici cinefili che non lavoravano nel mondo del cinema, ma anche amici cineasti, come registi e attori. E ho raccolto tutti i loro commenti. Per prima cosa volevo sapere se si capiva che la storia era raccontata da un non-spagnolo. E più ci avvicinavamo alla versione finale, più mi dicevano che la storia sembrava in tutto e per tutto spagnola. Poi, quando abbiamo cominciato le riprese, la troupee gli attori erano tutti spagnoli e mi hanno aiutato a fare in modo che il film rispecchiasse il più possibile uno spaccato di vita spagnolo, in particolare di vita contadina.
Per concludere…
Quello che cerco durante la stesura di una sceneggiatura e la lavorazione di un film, e che domina il mio spirito, si può riassumere in una parola: empatia. Non mi interessa necessariamente trasmettere un messaggio. Se alcuni spettatori di una qualsiasi parte del mondo, qualunque siano la loro lingua, la loro cultura o il loro carattere, riescono a provare un sentimento di empatia per uno dei miei personaggi, a immedesimarsi in unodi loro, allora ho raggiunto il mio scopo. È questo che metto al primo posto quando faccio un film, la cosa di cui io stesso ho bisogno e di cui il mondo intero ha bisogno oggi: la comprensione per gli esseri umani al di là delle frontiere e delle culture…