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Leonora Addio, Paolo Taviani senza Vittorio, nel segno di Luigi Pirandello

Dopo la presentazione in Concorso alla 72esima Berlinale, giovedì 17 febbraio arriva nei cinema Leonora Addio, un dramma surreale ispirato alla omonima novella di Luigi Pirandello, il primo film che Paolo Taviani ha diretto dopo la morte del fratello Vittorio. La pellicola racconta la rocambolesca avventura delle ceneri di Pirandello e il movimentato viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. Il cast ha visto all’opera Fabrizio Ferracane, Matteo Pittiruti, Dania Marino, Dora Becker e Claudio Bigagli. Le musiche sono Nicola Piovani.

Il film

Luigi Pirandello muore a Roma il 10 dicembre 1936 e nel suo testamento lascia precise disposizioni:

«Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui».

Ma le cose non andarono proprio così. Leonora Addio racconta due storie: una l’avventuroso viaggio delle ceneri di Pirandello da Roma ad Agrigento. Una serie di accidenti, incontri bizzarri, apparizione d’ingombranti personaggi come Mussolini o siciliani allegri che allegramente usano la cassa che contiene il vaso con le ceneri per giocare a tre sette con il morto. Il grottesco delle ceneri sballottate dal caso e dalla stupidità umana pare uscito dalla stessa penna di Pirandello, il paradosso, il ridicolo che scivolano nell’assurdo. Come assurdo è il furore tragico del Chiodo, la seconda storia del film ispirata a Pirandello da un fatto di cronaca a Brooklyn: “bambina uccisa da un ragazzo italiano”. Bastianeddu (Matteo Pittiruti). Strappato in Sicilia dalle braccia della madre e costretto a seguire il padre al di là dell’oceano nel paese della speranza, fascinoso e contraddittorio, Bastianeddu non può sanare la ferita di cui è stato vittima e che lo spinge a un gesto insensato. Nel film la verità della cronaca si fonderà con un’altra verità, quella del film.

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Paolo Taviani

Vi presentiamo di seguito l’intervista rilasciata dal regista Paolo Taviani

Leonora Addio. Come è nata l’idea del film?

L’idea risale a quando abbiamo completato Kaos: il racconto delle “ceneri di Pirandello” avrebbe potuto concludere il film. Non era una novella di Pirandello, ma la storia ci fece comprendere come   sarebbe stato possibile fare una novella nostra che nascesse dallo stesso humus dei racconti pirandelliani. Le risorse però erano finite e il progetto fu rimandato.

Forse molti si chiederanno chi è Leonora.

Nella prima sceneggiatura del film c’era una scena tratta dal racconto Leonora Addio, dove la protagonista canta alle figlie un’aria dal Trovatore, “Leonora addio, Leonora addio…”. Nel montaggio la scena è stata sacrificata, perché? Perché un film finisce di trasformarsi solo a copia campione. Cambiare il titolo allora? No, è uno dei titoli più appassionati di Pirandello. Il titolo è rimasto, anche se la scena non c’è più, e di Verdi neanche una nota.

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Nelle scene iniziali vediamo Pirandello insignito del Nobel nel 1934, ma lo scrittore più che un vincitore sembra un vinto. “Non mi sono mai sentito tanto solo e triste”.

Sono parole sue, le scrive in una lettera alla sua donna, l’attrice Marta Abba.

I dieci tragici anni che intercorrono tra la morte di Pirandello e la prima riesumazione delle ceneri sono sintetizzati da alcune sequenze del grande cinema neorealista italiano.

Dieci anni in cui sono avvenuti gravi sconvolgimenti in Italia. Esiste un repertorio che l’Istituto Luce ci mette generosamente a disposizione, ma io penso che nel cinema italiano del dopoguerra c’è più verità che in qualsiasi repertorio. Il cinegiornale finisce sempre col dare una visione distaccata della realtà, mentre se tu guardi quel cinema capisci meglio la realtà di quegli anni, sei dentro quella realtà. Mi sarebbe piaciuto metterci moltissimi film in più, ho fatto una selezione molto lunga che ho dovuto a malincuore tagliare. È stata per me una grossa emozione ritrovare quel cinema che conoscevo da ragazzo quasi a memoria, però mi ero un po’ dimenticato. Avevo voglia di metterci tutto, ma ho dovuto tagliare, anche immagini molto forti e molto belle. Così in parte ho tagliato anche la scena di Paisà, con quella Firenze ripresa in campo lungo che sembra quasi una città abbandonata… Rossellini era un genio!

Il lungo e tormentato viaggio in treno delle ceneri di Pirandello, ci ricorda anche il lungo ritorno dalla guerra.

Il ritorno dalla guerra di profughi e militari era stato principalmente sei o sette mesi prima, ma anche allora proseguiva. Questo viaggio in treno è tutto vero e tutto finto. La storia del viaggio delle  ceneri era stata già raccontata da diversi bravi, alcuni famosi, autori siciliani, ognuno rispettando e non rispettando la realtà. Passeranno poi molti anni ancora, e molte altre vicende burocratiche o grottesche, ma alla fine tutto andrà come voleva Pirandello, nel rispetto delle sue disposizioni testamentarie e le ceneri in parte murate “nella rozza pietra” e in parte disperse nel mare di Sicilia.

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Per girare gli ultimi esterni del film sei dunque tornato in Sicilia.

La Sicilia, cinematograficamente parlando, è stata la nostra seconda patria. Il nostro primo film è stato Un Uomo Da Bruciare, in Sicilia eravamo stati con Joris Ivens. Il cinema di Germi e Visconti ci aveva fatto amare la Sicilia e lì siamo sempre tornati con grande piacere.

A proposito del vostro cinema in Sicilia, uno dei giovanissimi personaggi di Kaos, Bastianeddu, diventa qui il protagonista della novella Il chiodo, straziante ultimo racconto di Pirandello.

Pirandello scrive questo racconto e non sa che saranno gli ultimi giorni della sua vita. In genere alla conclusione dei suoi racconti anche le cose più tragiche si salvano nel sarcasmo e nell’ironia, in questo no. Pirandello muore con una visione molto più tragica di tutti i finali delle sue opere. La vittima è una delle bambine che si scontrano come animaletti l’una contro l’altra. Ho avuto la fortuna di trovare le interpreti giuste, che partecipavano quasi violentemente alla scena, salvo poi riderne assieme. E vittima è anche il ragazzino che rivive l’insanabile dolore dell’emigrato.

Quel chiodo era lì “apposta”.

Già, apposta… qualcosa che nessuno è in grado di spiegare. “Voleva dire, voleva dire…”, cosa voleva dire? Non c’è spiegazione.

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Un applauso conclude il film.

Spero che il pubblico ricordi che questo film è in primo luogo uno spettacolo, uno spettacolo di teatro. All’inizio si spengono le luci e comincia la rappresentazione. Nel finale, dopo che il ragazzo  diventato vecchio piange sulla tomba della ragazzina che ha ucciso, improvvisamente viene l’applauso, come se gli spettatori fossero lì presenti. Si accendono le luci e il personaggio si confonde nel soffitto del teatro.

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