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INTERVISTA – Ettore Nicoletti: “La sete di potere è il male dell’Uomo, l’Arte è la mia arma”

Attore, di cinema e teatro, ma anche regista, autore, insegnante (fondatore e Preside della sua Scuola e Compagnia di Improvvisazione Teatrale Theatro) . Ettore Nicoletti è tutto questo, un artista eclettico in moto perpetuo che assorbe in pieno la vita per restituircela sotto forma di narrazione, di interpretazione, di emozione. Nei giorni scorsi è stato in Germania al Die Seriale Festival per raccogliere tanti meritati applausi per la sua prova – da protagonista assoluto – nella serie svizzera (prodotta dalla RSI) Arthur, una black comedy vincitrice al Festival World Web Series Cup come migliore serie web del mondo. Nei prossimi giorni, invece, esattamente il 21 luglio, sarà invece al Festival Cesenatico Noir, il festival di letteratura noir dove ogni anno realizza performance e letture di brani tratti dai libri degli scrittori invitati. In attesa dei suoi prossimi impegni – a settembre uscirà il podcast Dreamscapes (basato sul libro Terror Is Our Business di Joe & Kasey Lansdale, è un radio dramma in cui Nicoletti darà la voce a tre personaggi), mentre prossimamente usciranno due film ai quali ha preso parte (Il Giardiniere di Marco Santarelli e 999 L’Altra Anima Del Calcio di Rizzo Federico) – abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.

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Mi hanno molto colpito gli aneddoti – con drammatico riferimento alla Seconda Guerra Mondiale – legati a tuo padre (abbandonato a tre anni, sotto i bombardamenti tedeschi) e tua madre (che comprava vestivi portati in Italia dagli alleati). Volevo chiederti come stai vivendo questo (direi terribile) 2022, dove la parola “Guerra” dallo scorso febbraio è tornata tragica realtà e che ogni giorno bombarda le nostre anime…

Sono figlio di figli della guerra sì, e quegli aneddoti mi servono per scavare nelle mie radici e nelle fragilità dei miei antenati. Ricostruire la storia della propria famiglia è molto importante secondo me. Mi fa capire chi sono e perché sono così. Cerco di non colorarli troppo tragicamente e li guardo con curiosità. Sì, il momento che stiamo vivendo è estremamente tragico ed è il risultato, l’effetto evidente, di una società che funziona su valori e principi sbagliati. Ce ne accorgiamo in evidenza ora, queste sono le conseguenze. Ce ne accorgiamo quando scoppia un conflitto armato ma la mia sensazione è che anche quando non si usa questa parola, il mondo sia sempre in “guerra”. Le nostre anime sono costantemente bombardate anche quando non ci sono immagini di guerra. Riferimenti alla guerra, terminologie come se fossimo in guerra, vengono usati per notizie apparentemente sconnesse a questo evento; pensiamo alle parole usate durante i lockdown e per descrivere la pandemia, pensiamo alla comunicazione che viene costantemente spinta dai media in questa direzione. Si usano linguaggi di guerra, termini di guerra, si fa costantemente Propaganda. Questo fa paura. E credo che la paura sia un forte strumento di controllo. Mi chiedo e mi interrogo su cosa sta succedendo. A volte piango, soprattutto i primi giorni del conflitto in Ucraina. E mi rendo conto che la guerra io non so com’è. E’ sempre comunque da un’altra parte. E piano piano la mente la allontana e la nostra vita continua come prima. Questo mi spaventa molto.

Qual è l’eterno male dell’Uomo? Perché il conflitto armato è tornato ad essere ancora l’unica forma di linguaggio?

Il potere. L’eterno male dell’uomo credo sia il potere, la sete di potere. E l’ignoranza. C’è chi dice che l’uomo sia fondamentalmente cattivo ed egoista. Non lo so. Ho lavorato su un monologo sull’architetto di Hitler affrontando doveri di memoria, ponendomi e ponendo al pubblico queste domande. Interrogando lo spettacolo, il palco, il teatro, sul concetto di “banalità del male” e sul “compromesso”. Mi viene in mente una frase di Antonio de Curtis, Totò : “Il denaro fa la guerra, la guerra fa il dopoguerra, il dopoguerra fa la borsa nera, la borsa nera rifà il denaro, il denaro rifà la guerra. In guerra sono tutti in pericolo, tranne quelli che hanno voluto la guerra” Ecco, la sete di potere. E l’ignoranza, perché sembra che non impariamo dal passato, dalla storia, dagli errori commessi. Forse non la studiamo, non la sappiamo, non ci interessa. E l’ignoranza porta all’uso della violenza. Con molto tristezza vedo che anche nella cultura c’è una grossa quantità di violenza purtroppo. Per questo penso che noi artisti abbiamo un dovere verso il mondo e la nostra arte. Abbiamo la possibilità e il dovere di mandare messaggi di pace, di civiltà, di empatia. Possiamo nel nostro piccolo fare qualcosa per cambiare il mondo.

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Il prossimo 21 luglio tornerai al Cesenatico Noir, il festival di letteratura noir, con le tue letture e performance teatrali. Puoi già anticiparci qualcosa? Su quali temi vuoi porre l’attenzione?

Per me non è estate senza Festival Noir di Cesenatico. Questo sarà il quinto anno in cui salirò sul palco di Cesenatico per dare voce, immagini, vita alle parole dei migliori scrittori Noir contemporanei. Con me ci sarà Stefano Tura, il direttore del festival, sempre molto attento alla selezione degli ospiti e agli eventi collaterali del festival come musica, teatro, cinema e illustrazione. Fai bene a chiamarle perfomances e non letture, grazie, perché insieme al regista e migliore amico Benoit Felix Lombard, le mie letture saranno delle piccole messe in scena proprio con l’intento di dare vita ai mondi, ai personaggi, alle storie e gli eventi, che solitamente sentiamo nella nostra mente, con la nostra voce mentale mentre leggiamo. Non mi sarei mai fermato ad una lettura semplice, è necessario creare immagini, usare la musica, altri testi, il corpo, oggetti, per uscire dalle pagine scritte e mostrare l’anima delle opere degli autori. C’è sempre molta aspettativa su quello che andrò a fare sul palco, curiosità, mistero. Mi piace portare mistero proprio nella casa del mistero, il noir. E comunque è un festival di intrattenimento. Lo spettacolo è sempre intrattenimento, non voglio dimenticarlo. Proprio perché attraverso l’intrattenimento possiamo riflettere e mandare messaggi culturalmente e socialmente utili. Quest’anno credo che sia per me dovuto un omaggio a Pier Paolo Pasolini visto che siamo nel centenario della sua nascita. Ho ricevuto da poco i testi sui quali lavorerò e spiccano nomi come l’autore francese Ian Manook, che affronta la tematica dell’eccidio armeno, Jacopo De Michelis con un noir ambientato alla stazione centrale di Milano, Simona Vinci che ci porta dentro l’anima viva di una casa, Cassar Scalia con le sue indagini in una Sicilia che ne diventa personaggio, Carlo Lucarelli che ci riporta il ragazzo di Almost Blue e la investigatrice Grazia Nigro, e come ospiti l’ultima sera ci saranno anche i Manetti Bros che ci parleranno dei loro film e della loro trilogia su Diabolik. Il Noir è un genere che dà la possibilità agli scrittori di affrontare tematiche molto profonde, al di là del terrore e della paura, dell’angoscia e dell’ossessione; mi affascina come riescano attraverso le loro storie a penetrare anche le fragilità dell’uomo, dei nostri tempi, ad affrontare questioni politiche e sociali. Forse proprio attraverso l’emozione più antica e più intensa dell’umanità, che è la paura come diceva Lovecraft, possiamo mettere a nudo il nostro mondo e la nostra umanità. Questo festival ogni anno mi dà la possibilità insieme al regista Francese Benoît Felix-Lombard di affrontare temi importanti e di portare avanti la nostra ricerca teatrale.

L’altra guerra che stiamo combattendo è quella con il Coronavirus, che ora ha ripreso vigore. Ad un interprete ed autore come te, cosa ha portato/insegnato al tuo animo la pandemia? Cosa ha significato – per chi lavora e vive di arte come te – il lockdown prima e il ritorno su un set o su palcoscenico? Che viaggio emotivo-umano è stato (e continua ad essere)?

Devo essere sincero, sembrerà strano, ma io personalmente il primo lockdown non me lo sono vissuto male. Parlo della mia esperienza personale ovviamente. Mi ha dato la possibilità di riflettere, di stare fermo senza sentirmi in colpa, di riscoprire la mia casa dove sto sempre troppo poco e quindi di trovare una mia casa interiore. Ho imparato a stare saldo sul mio centro di gravità. A sentirmi. Certo, professionalmente per chi lavora nel mondo dell’intrattenimento è stata durissima, impossibilitati a salire sul palco, a parlare ad un pubblico, a riunirci per condividere la nostra arte, i nostri rituali, perché il teatro è un rituale. Sentire di contare veramente poco. Vedere la cultura trattata con sufficienza. Anche questo mi ha fatto riflettere. E mi sono chiesto che responsabilità abbiamo anche noi artisti in tutto questo, cosa possiamo fare per dare il giusto valore all’arte e alla cultura. Emotivamente è stato un viaggio fortissimo, come su un rollercoaster, anche perché ci sono state riaperture e poi chiusure, attese, speranze, cancellazioni, liberi tutti, chiusi tutti. Mantenere l’entusiasmo è stato davvero difficile. Ho avuto la fortuna di girare un paio di film durante questo periodo e la seconda stagione della serie Arthur; mi hanno fatto mantenere il contatto con il mio mestiere. Ma l’emozione più forte è stata salire su un palco, ritornare davanti ad un pubblico dal vivo. Non dimentichiamo che lo spettacolo dal vivo è l’unica forma di arte che non può essere censurata, in quel momento con il pubblico davanti puoi davvero fare quello che vuoi. Ritrovare un pubblico meno spaventato, rivedere i teatri pieni come sta accadendo in questi ultimi mesi mi ha dato forza e speranza. Mi ha fatto sentire al mio posto.

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A tal proposito so che durante il primo lockdown hai scritto una sceneggiatura che potrebbe diventare uno spettacolo teatrale. Se ne può parlare?

Sì certo, se ne può parlare. E’ una sorta di memoir, di autobiografia sotto forma di un “processo” all mia parte più intima e nascosta, al mio bambino interiore, molto divertente ma anche toccante, cruda e a tratti emotivamente forte. Ho sentito l’esigenza di scrivere partendo dalla frase “non ho nulla da dire” e mi sono ritrovato a fare un viaggio tra i miei antenati, la mia infanzia e la mia adolescenza, per andare a scovare quel bambino che è in me, spaventato, che ha bisogno di amore e di essere visto e ascoltato. Tutti noi abbiamo questo bambino dentro ed è vitale prendersene cura. Altrimenti viviamo come degli zombie. Il testo ha un taglio da commedia, surreale, un flusso di coscienza che salta tra passato e presente. Cerco di parlare alle fragilità di tutti. Per capirne il valore e la forza. Parlo alle nostre parti nascoste e schiacciate sotto il giudizio di un tribunale costante, che si autoalimenta, senza fine e senza nessuna utilità.

Uno dei tuoi personaggi più famosi, Arthur (come recita l’omonima serie prodotta dalla RSI) è un serial killer che decide di smettere di uccidere. Pensando alla nostra società (penso alle istituzioni, compresi i politici) – sempre più impostata sulla spasmodica ricerca del successo e del consenso – non ci sia più spazio per sbagliare, e soprattutto per ammettere i propri errori. Cosa ne pensi?

Arthur è un personaggio al quale sono estremamente legato. Mi ha insegnato tanto di me. Nonostante sia un serial killer ha riscontrato un enorme successo di pubblico. Lo spettatore fa il tifo per Arthur, ammaliato dal suo fascino e dalla sua ironia, tifa perché davvero riesca a smettere di uccidere e al tempo stesso non vede l’ora che ceda al suo vizio e mieta la prossima vittima. C’è una forte empatia da parte dello spettatore. Forse perché Arthur lotta contro la sua natura, trattenendo i suoi istinti e ogni tanto cedendovi. Mi sembra una buona visione dell’uomo moderno, schiacciato da una società che ignora la sua umanità, emotività, la parte istintiva, la pancia. Noi abbiamo bisogno di sbagliare, come insegno ai miei allievi quando insegno improvvisazione teatrale, l’errore è necessario, ci aiuta a conoscerci meglio, e ti dirò di più, l’errore è una grande risorsa artistica, produttiva, utile alla consapevolezza. C’è un interessante libro scritto da un amico, Roberto Mercadini “Storia perfetta dell’errore” che parla proprio di questo. Dovremmo darci la possibilità di sbagliare, abbracciare questo momento senza paura. Altrimenti rimaniamo anime frustrate, incatenate, incastrate e prive di vita vera. Ci riduciamo a vivere sotto un falso giudizio e con valori alienanti. Non siamo nati per questo. Ammettere i propri errori è un grande atto di coraggio e di libertà. Perdonarci è vitale.

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C’è un mondo inquinato che brucia per la siccità e in cui i ghiacciai si sciolgono. Sarebbe bello invece bruciare di vita (e di sogni) sciogliendo il gelo (della paura). Come possiamo andare a prenderci il futuro adesso? Qual è il messaggio – se vuoi anche una citazione – che vuoi lasciarci? 

Per prima cosa possiamo, dobbiamo prenderci, ri-prenderci il PRESENTE. Vivendolo, con occhi curiosi, cercando lo straordinario in ogni singolo momento. Cosa davvero difficile, ma possibile. Dobbiamo risvegliare la nostra Macchina Biologica e ricordarci di noi stessi, costantemente. Dare cibo alla nostra anima, abbracciare la follia. E respirare. Ricordiamoci di respirare. Posso citare il motto del il mio collettivo Internazionale, gli Eredi, che ho fondato insieme a colleghi di Londra e Parigi. Mi sembra pertinente: “Noi guardiamo senza sorrisi nè tristezza il passato. Facciamo teatro per ospitare al meglio il futuro. Noi giochiamo con il tempo perché crediamo che sia una cosa viva. Abbiamo creato il collettivo internazionale in questo stato d’animo e con la voglia di condividere la nostra dolce follia. La follia di chi crede ancora che il teatro possa cambiare la vita”.

CAMERALOOK

Quello di un bravissimo Stephen Graham nel Bowling Point di Philip Barantini (2021). La storia è ambientata in un ristorante e seguiamo tutti i personaggi, dallo chef ai camerieri, agli aiuto cuochi ai tavoli dove sono i clienti e tutto in un unico piano sequenza. Il risultato è davvero strabiliante. Evidentemente, visto che abbiamo parlato di “sbagliare”, tutto il cast, artistico e tecnico, ha abbracciato l’errore, ha vinto la paura del non controllo. Si vede e si sente durante tutto il film. E questo ha permesso agli attori di dare una profonda verità ai loro personaggi. E’ tutto estremamente credibilissimo: sembra di essere lì con loro.

Intervista di Giacomo Aricò

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