Domenica di gara alla Mostra di Venezia. Cominciamo da El Clan di Pablo Trapero, film tratto da una storia vera che narra le vicende del clan Puccio, benestante famiglia di Buenos Aires che negli anni Ottanta rapì persone del vicinato dietro richiesta di riscatto, commettendo degli efferati delitti per trarne vantaggio economico.
Ci troviamo nel quartiere di San Isidro, dove un oscuro clan vive di rapimenti e omicidi. Arquímedes, il patriarca, guida e pianifica le operazioni. Il figlio maggiore Alejandro è una star del rugby e gioca con il CASI, prestigioso club locale, e con i Los Pumas, mitico team nazionale argentino. Contemporaneamente, sotto la volontà del padre, individua i possibili bersagli dei rapimenti, protetto dalla popolarità che lo tiene lontano da ogni sospetto. In varia misura, i membri della famiglia sono tutti complici di queste orrende imprese poiché beneficiano dei grossi riscatti pagati dalle famiglie delle loro vittime.
Ispirata a uno degli episodi più macabri della storia del crimine argentino, la pellicola propone una lucida indagine sull’ambiguità morale e la banalità del male, gettando luce sull’ipocrisia che si cela dietro le apparenze. “I limiti tra realtà e finzione non saranno mai definitivi – spiega Pablo Trapero – la vita è piena di momenti inspiegabili e assurdi, e ogni giorno può accadere che si debbano affrontare situazioni che superano l’immaginazione. El clan è un film che spinge questo aspetto ai limiti, attraverso una storia basata sull’incredibile che diventa realtà”.
Passiamo a L’Hermine di Christian Vincent, film francese incentrato su un processo. Il protagonista è Xavier Racine è un giudice molto temuto, presidente di corte d’assise. Lo chiamano “il giudice a due cifre”, perché le pene che infligge sono sempre di almeno dieci anni. Tutto cambia drammaticamente il giorno in cui Racine incontra Birgit Lorensen-Coteret, chiamata come giudice popolare nel caso di un uomo accusato di omicidio. È la stessa donna di cui si era innamorato Racine sei anni prima. Quasi in segreto. È forse la sola donna che abbia mai amato.
Christian Vincent trova nel processo uno specchio della società: “l’aula di un tribunale è un teatro, con un pubblico, degli attori, una drammaturgia e un dietro le quinte. È un ordine prestabilito che aspetta solo di essere capovolto. Ma prima di tutto è il luogo dell’oratoria, dove l’ascolto è fondamentale. Un posto dove alcuni padroneggiano la lingua e altri, a volte, non capiscono nemmeno le domande che vengono loro rivolte”. Per il regista, in un processo penale c’è tutto: “c’è l’angoscia umana, le riflessioni poetiche, i momenti di noia, l’incursione nella vita intima delle persone. A volte alla fine dell’udienza vince la verità: ma non sempre”.
Va segnalato infine, Fuori Concorso, Janis il documentario di Amy Berg incentrato sulla figura di Janis Joplin. Attraverso interviste a familiari, amici e rockstar, vengono raccontate le tappe principali della vita della cantante, dall’esibizione al Monterey Pop nel 1967 a Woodstock nel 1969 fino al Festival Express nel 1970. Nella colonna sonora ci sono i successi di Janis Joplin, tra cui Cry Baby, Mercedes Benz e Piece of My Heart. Amy Berg mostra la donna dietro il mito, oltre l’icona del rock&roll, rivela la donna gentile, innocente ma forte. Janis funge da narratore per raccontarci la sua vita attraverso le lettere che scrisse ai suoi amici, parenti e amanti, facendoci percorrere un viaggio che parte dalla sua infanzia.