LA TÊTE HAUTE de Emmanielle BercotLES FILMS DU KIOSQUE

Affrontare la vita A Testa Alta, il film sociale di Emmanuelle Bercot

In concomitanza con la Giornata mondiale per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che si terrà domani, esce oggi al cinema A Testa Alta, il film di Emmanuelle Bercot con Catherine Deneuve che ha aperto l’ultimo Festival di Cannes.


Vogliamo cominciare con un’opera differente, forte ed emozionante. Un film che dice cose importanti sulla società di oggi e rappresenta perfettamente il cinema moderno, focalizzato sulle questioni sociali, con un carattere universale e, perciò, capace di parlare a tutto il mondo”. È con queste parole che Thierry Frémaux, direttore del Festival di Cannes, ha presentato il film lo scorso maggio all’apertura dell’ultimo concorso sulla croisette.

Abbandonato dalla madre quando aveva sei anni, Malony (Rod Paradot) entra ed esce dal tribunale dei minori. Attorno a questo giovane allo sbando si forma una famiglia adottiva: Florence (Catherine Deneuve), un giudice minorile vicino alla pensione, e Yann (Benoit Magimel), un assistente sociale a sua volta reduce da un’infanzia molto difficile. Insieme seguono il percorso del ragazzo e tentano testardamente di salvarlo. Poi Malony viene mandato in una struttura correttiva più restrittiva, dove incontra Tess (Diane Rouxel), una ragazza molto speciale che gli dimostrerà che ci sono motivi per continuare a sperare.

Rod Paradot (© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

Rod Paradot (© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

Vi presentiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata dalla regista Emmanuelle Bercot.

Dopo aver visto il film, il primo pensiero va agli assistenti sociali e ai giudici minorili il cui lavoro scrupoloso, la cui perseveranza, pazienza, devozione e abnegazione suscitano grande ammirazione. È molto diffuso oggi puntare il dito contro i fallimenti delle istituzioni e i difetti e limiti del sistema giudiziario, tu invece fai esattamente il contrario. È stato questo il motivo che ti ha spinto a girare A testa alta cioè rendere omaggio a queste figure professionali che operano lontano dai riflettori?

La mia idea iniziale era realizzare un film sul sistema di sostegno che ruota intorno ai bambini, ma quando ho avuto quest’ idea conoscevo molto poco quel mondo. Sono stati gli anni di ricerca che ho condotto prima di iniziare le riprese che mi hanno permesso di capire quanto questi operatori fossero motivati, di conoscere la loro abnegazione, pazienza e capacità di non mollare mai. In verità, il punto di partenza del film ha radici molto specifiche. Ho uno zio assistente sociale e da bambina ero andata a trovarlo in Bretagna dove era responsabile di un campo estivo per giovani delinquenti. Uno di loro era un bambino.

Da ragazza di buona famiglia, sempre protetta e incoraggiata, ero affascinata dal comportamento di questi adolescenti che non avevano avuto la mia stessa fortuna, ero attratta dalla loro insolenza, dal loro atteggiamento ribelle nei confronti dell’autorità e delle convenzioni sociali. Allo stesso tempo ammiravo il lavoro di mio zio e degli altri assistenti sociali per rimetterli in carreggiata, educarli, insegnar loro ad amare se stessi e gli altri, portare rispettare ai propri simili, ma soprattutto a se stessi. Il ricordo è rimasto in me così presente che da adolescente volevo diventare un giudice minorile.

Catherine Deneuve (© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

Catherine Deneuve (© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

Qual è stato il tuo approccio? Da quale punto di vista sei partita?

Per prima cosa ho passato del tempo con mio zio. Gli ho chiesto di parlarmi della sua esperienza. Mi ha fatto conoscere altri assistenti sociali e un giudice minorile di Valence. Ho avuto l’opportunità di osservare le udienze, ho trascorso del tempo in un centro di detenzione minorile, e ho letto un’enorme quantità di libri e guardato ogni film o documentario trovassi sull’argomento, prendendo molti appunti. Questo approccio iniziale era molto sconvolgente e terrificante. Come si può non provare compassione e comprensione per questi bambini rovinati da terribili drammi famigliari, dalla povertà e spesso dalla mancanza di responsabilità dei genitori, cui fa seguito il fallimento del sistema scolastico, e una devastante mancanza di affetto che li ha lasciati in balia di se stessi, senza valori né prospettive per il futuro, alla deriva, presi in una spirale che solo gli assistenti sociali e i giudici possono tentare di arrestare? Come si può non ammirare l’energia, la devozione, la pazienza che questi giudici e assistenti sociali dispiegano per rimettere in carreggiata questi ragazzi, ad ogni costo, nonostante tutti gli ostacoli, l’ingratitudine, la crudeltà, i loro bassi salari, offrendo in pratica a questi ragazzi quell’attenzione di cui tanto acutamente soffrono la mancanza?

La sceneggiatura inizia con questa epigrafe: “Tutti i bambini hanno diritto a un’educazione. Questa dovrebbe essere gestita dalla famiglia, e se la famiglia è carente, allora la società ha il dovere di intervenire”.

Ho letto quella frase in un libro scritto da un giudice. Evidenzia perfettamente l’argomento del film. La ritengo folgorante. Certe cose dovrebbero essere ovvie, ma, sfortunatamente, non sono sicura che sia una cosa scontata per tutti. Nonostante l’educazione sia un diritto fondamentale. Tornando alla frase, riassume il cuore del lavoro a favore di questi giovani. È un compito essenziale, vitale. Come si può salvare una società se non attraverso l’educazione, nella più ampia concezione del termine?  La giustizia minorile poggia sull’idea che nulla sia del tutto scolpito nella pietra per un bambino e che attraverso i programmi educativi e di sostegno, la discesa senza fine possa essere fermata. Com’è possibile mettere in pratica tutto ciò, senza arrendersi – perché i risultati, se arrivano, ci mettono molto tempo ad essere raggiunti? Questo è il senso del film.

(© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

(© 2015 – Luc Roux – Les Films Du Kiosque)

Perché questa idea era così importante per te?

Una sorta d’intuizione, una convinzione profonda. Forse perché c’è qualcosa di bello nel raccontare la storia di un bambino non amato dalla madre, che non ha ricevuto educazione e attenzioni, e che all’improvviso si deve assumere la responsabilità di amare e crescere un bambino. Volevo ottenere questo effetto di rispecchiamento. Questa parte più romantica del film era anche un modo per raccontare quanto mi hanno detto gli assistenti sociali: il 95% delle volte, innamorarsi è lo stimolo che spinge i giovani a farcela. Questi ragazzi non hanno stima di se stessi. Hanno problemi ad amare e a farsi amare, è dura per loro, ma quando capita, salva la vita.

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