La Cineteca di Bologna, per il progetto Il Cinema Ritrovato, oggi riporta in sala – nella versione restaurata da Argos Film – l’indimenticabile Au Hasard Balthazar, opera scritta e diretta da Robert Bresson nel 1966. Con la fotografia di Ghislain Cloquet e la musica di Jean Wiener, la pellicola ha come interpreti: Anne Wiazemsky, François Lafarge, Walter Green, Nathalie Joyaut, Philippe Asselin, Jean-Claude Guilbert e Pierre Klossowski.
Quando volle raccontare la storia dell’asinello Balthazar, Bresson si ricordò del motto dei principi di Baux, in Provenza, Au Hasard Balthazar, un gioco di parole fra Baux e Hasard, a cui sottrasse tuttavia l’aspetto guascone per recuperare il senso di spaesamento dell’hasard. Una libera traduzione potrebbe configurarsi come: Alla deriva Balthazar.
Poiché proprio questo è il senso della vita dell’asinello: la sua purezza e la sua bontà non hanno spazio in un mondo ormai privato della Grazia. Volendo, si può anche vedere nella storia di Balthazar la più profonda e suggestiva metafora della passione di Cristo.
La gestazione di Au Hasard Balthazar fu lunga e laboriosa. L’idea iniziale risale ai primi anni ’50: “un’idea balenata a Bresson come una visione – scrisse Sergio Arecco (nel libro Robert Bresson. L’Anima e la Forma, Le Mani, Genova 1998) – la visione di una gran testa d’asino che riempie tutto lo schermo, invadente e persistente”.
Un’idea realizzata una quindicina di anni dopo, in una versione molto prossima a quella visione originaria la testa di Balthazar, e con essa il corpo greve, tutto nero e peloso (solo il muso ha una macchia bianca), occupa interamente la scena del film, dall’inizio alla fine, dalla nascita alla morte, facendo da perno a una struttura compositiva perfettamente circolare e conchiusa in se stessa.
Fu lo stesso Robert Bresson che spiegò, in un’intervista rilasciata a Paul Gilles (Robert Bresson: une patience d’âme, su “Arts”, 3 novembre 1965), come il fosse partito da due idee che si completano:
“In primo luogo: mostrare le tappe della vita di un asino simili a quelle della vita di un uomo. L’infanzia: le carezze. L’età matura: il lavoro. Il talento o il genio: l’asino sapiente. Il periodo mistico che precede la morte: l’asino che porta le reliquie”.
“In secondo luogo: quest’asino passa nelle mani di diversi padroni, che rappresentano ciascuno un vizio umano: gola, accidia, superbia, ira… Esso ne soffre in modo diverso. Li guarda con l’occhio di un giudice”.
Su Balthazar si espresse così il regista Michael Haneke (in Terrore e Utopia della Forma, in Il Caso e la Necessità. Il Cinema di Robert Bresson, a cura di Giovanni Spagnoletti e Sergio Toffetti, Lindau, Torino 1998):
“Come in tutti i film di Bresson, anche qui si percepisce un’avversione quasi fisica dell’autore contro qualsiasi forma di menzogna, e in particolare contro ogni forma di inganno estetico. Questa rabbiosa avversione sembra essere la forza motrice di tutto il suo lavoro e porta a una purezza del mezzo narrativo che cerca dei pari nella storia del cinema”.
Au Hasard Balthazar introdusse infine una novità nella filmografia di Bresson. Il film narra la storia di un asino dalla nascita fino alla morte. Il regista, secondo le parole di Virgilio Fantuzzi (ne L’Anima nella Prigione. Osservazioni sul cinema di Bresson, in Il Caso e la Necessità. Il Cinema di Robert Bresson, a cura di Giovanni Spagnoletti e Sergio Toffetti, Lindau, Torino 1998), sul set non volle attori ma “modelli, non persone che recitino, che fingano di essere quello che non sono, ma persone che siano disposte a posare, restando esattamente quello che sono, trova nell’animale l’interprete ideale. Nulla e nessuno è capace di manifestarsi per quello che effettivamente è, senza finzioni, più di quanto sappia farlo un asino. La fedeltà a se stesso è per lui un dato fuori discussione”.
“Balthazar porta con sé, forzatamente, l’erotismo greco, e a un tempo, la spiritualità e il misticismo biblici”.
Robert Bresson
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