Abile e senza sorriso, artista illuminato e comico geniale: 125 anni fa nasceva Buster Keaton, uno dei mostri sacri del cinema muto. Il Re assoluto della gag, quella preparata con fatica e meticolosità e mai a caso. Non solo insuperabile interprete con un assoluto controllo del proprio corpo ma anche regista capace di far sembrare banali le cose più straordinarie rendendole quindi ancora più eccezionali. I suoi film erano un esercizio continuo della logica: il senso si rovescia, insieme agli oggetti, le azioni semplici diventano complesse e quelle impossibili diventano facilissime, ciò che sembra innocuo diventa un pericolo e le avversità si rivelano aiuti impensati.
Un talento incredibile che si esprimeva tanto nelle sue capacità acrobatiche quanto nello studio dettagliato dell’inquadratura e del montaggio. Un arte che andava sempre dritta al bersaglio: le risate del pubblico. La prima svolta artistica della sua carriera cinemtaografica avviene in The High Sign (girato nel 1920 e uscito nel 1921 dopo molte resistenze dello stesso Keaton che temeva di non far ridere), primo cortometraggio in cui Keaton appare da solo dopo l’apprendistato in una serie di commedie di Fatty Arbuckle, suo maestro e mentore finito in carcere.
Già negli ultimi corti che Arbuckle realizzò con l’allievo sono chiari i segni dell’influenza della sottile arte comica di quest’ultimo. In The High Sign, Keaton non imita più, non è più alla ricerca di un personaggio. Il film trabocca di gag e situazioni spesso assurde al limite del surreale che già delineano la comicità di Buster, un artista comico avanti anni luce rispetto agli altri. Un attore che in seguito si afferma come la star più agile della ancora giovane Hollywood con altri due corti, One Week e Neighbours.
Nel 1923 realizza La Palla n.13, il suo terzo lungometraggio con la Keaton Productions. Il film è un volo dell’immaginazione scandito da tempi perfetti che racconta di un giovane proiezionista ingiustamente accusato di furto. Memorabile resta la sequenza in cui vediamo il personaggio di Keaton uscire dal suo corpo addormentato nella cabina di proiezione per percorrere il corridoio centrale della sala gremita del cinema per poi balzare nel film proiettato sullo schermo. Un idea geniale poi ripresa e omaggiata da Woody Allen ne La Rosa Purpurea del Cairo (1985).
Il tipo di gag preferite da Buster Keaton erano quelle grandi, genuine e pericolose. Che fossero centrate su una nave a vapore impazzita in Come Vinsi la Guerra (1927), la facciata di una casa progettata per crollare intorno a lui in Io…e il Ciclone (1928), la valanga sempre più veloce di Le Sette Probabilità (1925), o la corrente vorticosa di una vera cascata in Accidenti che Ospitalità! (1923), le esilaranti acrobazie di Keaton prevedevano di solito un notevole e autentico rischio.
Ma lo spericolato comico e regista sapeva giocare anche su tavoli meno vistosi come avviene in una sequenza de Il Cameraman (1928) in cui lo vediamo disputarsi la cabina di uno spogliatoio di una piscina pubblica con un nerboruto zoticone. Un’inquadratura dall’alto mostra la zuffa coreografata tra i due che si conclude con l’uscita di Keaton dallo spogliatoio in un costume da bagno all’antica e fuori misura. È in questo film che Buster Keaton mostra il suo genio ancora nel pieno della forma, maestro di quell’assurdità grande e piccola che ci regala ancora oggi un eterno senso di meraviglia.