Venerdì 29 maggio, nella Sala Squirzina del Teatro Argentina di Roma, alle 17 verrà presentato Si Dubita Sempre Delle Cose Più Belle – Parole d’Amore e di Letteratura, il libro curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla che presenta il carteggio inedito tra uno dei maggiori scrittori del 900 e una nobildonna molto conosciuta: Federico De Roberto ed Ernesta Valle. Il lettore potrà conoscere una storia d’amore segreta che ci fa ripercorrere una grande stagione letteraria, tra la Sicilia e Milano. Oltre ai due curatori, alla presentazione del libro (edito da Bompiani), ci saranno i saluti istituzionali di Antonio Calbi, gli interventi di Filippo Arriva e Paolo Fallai con le letture di Giuseppe Pambieri e Lia Tanzi.
Mentre il volume delle email sale a livelli vertiginosi e la posta elettronica contribuisce ad aumentare lo stress, i postini consegnano sempre meno lettere e cartoline scritte a mano. Frugare nel monumentale carteggio d’amore vergato a mano oltre un secolo fa da Federico De Roberto e Ernesta Valle non ci restituisce soltanto il segno della penna e il carattere della grafia ma pure un commovente piacere quasi dimenticato che ci fa rivivere la gioia di ricevere lettere gelosamente custodite in buste affrancate e timbrate, di calcolare il tempo trascorso in viaggio prima d’infilare l’indice nell’angolo per aprirle, di sentire il suono dello strappo insieme al profumo della cellulosa, di assaporare, nel lento scorrere dell’occhio sulla pagina, un messaggio a noi soli indirizzato. Un rito di irripetibili emozioni che rischia di essere definitivamente archiviato.
Pozzo di San Patrizio, vaso di Pandora, miniera inesauribile di notizie le più variegate, preziose per il valore storico, culturale, sociale, documentario e l’eleganza della scrittura di entrambi i corrispondenti, quello ora consegnataci dal corposo carteggio inedito di straordinario interesse anche perché, cosa rarissima, bilaterale, essendo state gelosamente conservate sia le lettere di Federico che quelle di Ernesta. A differenza della maggior parte dei carteggi pervenutici, ricordiamo per tutti quello di Gabriele d’Annunzio e Eleonora Duse di cui si conservano solo le lettere dell’attrice che bruciò quelle del Vate dopo la burrascosa rottura e quello di Luigi Pirandello e Marta Abba che distrusse la gran parte delle sue lettere.
Un amore segreto quello che ci consegna il carteggio fra Federico De Roberto, già celebre autore del romanzo I Vicerè, e Ernesta Valle, moglie dell’avvocato Guido Ribera, giovane e bella. Fra sotterfugi, stratagemmi, astuzie, la corrispondenza si snoda dal maggio 1897 al novembre 1903 (con sporadiche testimonianze fino al 1916) in un intricato, pertinace intreccio di temi intimi e letterari, in un continuo alternarsi di effusioni del cuore e tensioni creative.
Un’ardente storia d’amore che ci rivela aspetti del tutto ignorati, che smentiscono l’immagine consegnataci dalla sua stessa opera, dell’austero, schivo, riservato, misogino Federico, Rico come lo chiama Ernesta, a sua volta ribattezzata Renata (perché “rinata” all’amore) o Nuccia (diminutivo di “femminuccia”), e insieme della vita intellettuale e mondana dei due poli fra cui si snoda, Milano e Catania, dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento. Una donna di singolare modernità Renata, colta, raffinata, brillante, anche nella scrittura, i cui giudizi De Roberto sollecita e accoglie.
Meta prediletta di De Roberto, al pari dei sodali Verga e Capuana, sospinti da un senso d’irrequietezza, da un’aspirazione a più vasti orizzonti, Milano rappresenta, e il carteggio ne è ampia testimonianza, la capitale dei poteri mediatici, finanziari, culturali, la città più progredita, operosa, ricca di vivacità artistica e di brulicanti iniziative, con le sue prestigiose case editrici (i Fratelli Treves, Galli), le grandi testate giornalistiche (il Corriere della Sera, la rivista La Lettura), i rinomati teatri (la Scala, il Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico, l’Eden), gli eleganti ritrovi (il Biffi, il Cova, il Savini, il Caffè dell’Accademia), gli elitari salotti (di donna Vittoria Cima, di Virginia Borromeo, della stessa Ernesta Valle Ribera). È lì che gli sono consentite assidue frequentazioni con i maggiori esponenti dell’intellighentia dell’epoca, giornalisti, scrittori, attori, editori.
Un carteggio che ci permette di seguire inoltre passo dopo passo le tappe dell’itinerario scrittorio di De Roberto, di penetrare nella sua officina nascosta, nella camera oscura dell’ispirazione, di tallonarlo nel tormentato work in progress, svelandoci progetti, fervori, traguardi, e soprattutto ansie, inquietudini, sconfitte. Un posto di rilievo occupa l’elegante abbigliamento femminile dettagliatamente descritto.
Dalla foggia degli abiti, sempre fortemente strizzati alla vita e merlettati (ne è documento la splendida foto di lei in copertina), da passeggio (“il vestito di panno nero con il paltoncino e il colletto di ermellino”, “la mantellina nera di mezza stagione”), da salotto (“il vestito azzurro con il colletto e le manopole di pelliccia grigia”), da ballo (“l’abito nero dalla cintura rossa”), da casa (“la lunga morbida vestaglia bianca”, quella “ampia, rossa, guarnita di pelliccia”, “l’abito di panno bianco”), ai cappellini (spesso “con veletta sul viso”), ai guanti rigidamente abbinati al colore dell’abito.
Addentrarsi nell’intimità di De Roberto ci consente di attingere un ventaglio di notizie private della vita dello scrittore indispensabili per ricostruirne nel dettaglio la biografia e per meglio mettere a fuoco l’ineludibile rapporto vita-opere. Si pensi, per fare soltanto un esempio, alle tante nevrosi che afflissero lo scrittore, tutte di natura psicosomatica, definito dal medico svizzero che lo curò “uno dei più rari ed espressivi casi dell’isterismo mascolino”.
Ingiusto l’oblio in cui è presto caduto l’autore del graffiante romanzo I Vicerè (1894), schiacciato anche dal plumbeo giudizio di Benedetto Croce, “un ingegno prosaico incapace sia di illuminare l’intelletto sia di far battere il cuore”. Eppure I Vicerè è stato definito “una machine poderosa” da Giovanni Verga, “uno dei più solidi romanzi della letteratura italiana” da Luigi Pirandello, “il romanzo più grande dopo i Promessi Sposi” da Leonardo Sciascia. “Che fare delle lettere d’amore prima di morire?” – Si chiede con singolare preveggenza il protagonista di Documenti Umani di Federico De Roberto – “Come rassegnarsi a distruggere con le proprie mani quei documenti in cui è la prova che si è vissuto?” Ed è per questo che lo scrittore non le ha distrutte, né le sue né quelle dell’amata.
Le lettere d’amore, infatti, si distinguono da tutte le altre giacché quando le leggiamo cogliamo delle intercettazioni sui nostri momenti più riservati. Ciò le rende uniche per la sensazione che stiamo gettando lo sguardo su qualcosa che non ci appartiene. Quasi spiando. La stessa sensazione che proviamo allorché guardiamo il quadro Donna in Azzurro che legge una lettera del pittore fiammingo Johannes Vermeer. E un complice, ambiguo rapporto s’instaura fra noi e i due amanti.