È stato senza dubbio uno dei principali protagonisti di questa Mostra di Venezia il regista indiano Chaitanya Tamhane. Il suo Court ha infatti vinto ben due Leoni come Miglior Film della categoria Orizzonti e come Leone del Futuro – Premio Opera Prima (Luigi De Laurentiis) con tanto di assegno da 100.000 dollari da spartirsi con il produttore.
Court esplora il mondo giudiziario indiano: il cadavere di un lavoratore della rete fognaria viene trovato sotto un tombino a Mumbai e un vecchio cantastorie popolare viene processato con l’accusa di istigazione al suicidio per aver cantato una canzone che potrebbe aver incitato il lavoratore a commettere l’atto. Mentre il processo va avanti, le vite private, al di fuori degli ambiti lavorativi, degli avvocati e del giudice coinvolti nel caso vengono osservate per esplorare come i valori individuali e personali di queste persone possono avere implicazioni sui giudizi di vita e morte emessi in tribunale.
Ogni volto ha una sua storia: la stenografa che sta tutto il giorno a battere i tasti senza provare alcun interesse, il galoppino che sbriga commissioni per il piccolo malvivente locale, gli avvocati che declamano passaggi tecnici tratti da tomi giuridici polverosi, gli appellanti che probabilmente aspettano da anni che venga chiamato il loro numero. E nel mezzo “di questo teatro – spiega Tamhane – ci sono le speranze e le paure della gente comune, che si aggrappa a ogni minima parola che riesca a comprendere, mentre si decide del loro destino“. Sebbene il film sia ambientato in una sottocultura di Bombay molto specifica, il tentativo del regista “è quello di esplorare la trama invisibile della collettività. I personaggi agiscono continuamente sulla base di motivazioni legate alla casta e alla classe sociale, al patriarcato e al feudalesimo. Sarebbe stato facile dare agli spettatori un sistema di sfogo, demonizzando pochi cattivi e glorificando gli altri, ma ho trovato più interessante restituire dignità e umanità a ogni personaggio“.