È da oggi al cinema Gli Ultimi Saranno Ultimi, il film scritto e diretto da Massimiliano Bruno con protagonisti Paola Cortellesi, Alessandro Gassmann e Fabrizio Bentivoglio.
La pellicola racconta la storia di Luciana Colacci (Paola Cortellesi), una donna semplice che sogna una vita dignitosa insieme a suo marito Stefano (Alessandro Gassmann). È proprio al coronamento del loro sogno d’amore, quando la pancia di Luciana comincia a crescere, che il suo mondo inizia a perdere pezzi: si troverà senza lavoro e deciderà di reclamare giustizia e diritti di fronte alla persona sbagliata, proprio un ultimo come lei, Antonio Zanzotto (Fabrizio Bentivoglio).
Gli Ultimi Saranno Ultimi è una commedia amara e attualissima, toccante e divertente allo stesso tempo, ambientata in un mondo del lavoro caratterizzato da precarietà sistematica, indifferenza e cinismo sociale.
Un film che, tra risate, bugie, incomprensioni e voltafaccia, racconta le emozioni in tutte le sfumature possibili: “è per questo si riesce a ridere, ci si commuove, ci si indigna e a un certo punto si ha addirittura paura” spiega Massimiliano Bruno. Per il regista, che dieci anni fa scrisse l’omonimo spettacolo teatrale da cui è tratto, “i personaggi si muovono in questo racconto come naufraghi in un oceano che gli offre delle zattere di salvataggio: alcuni ce la fanno, altri devono passare in un Purgatorio di ingiustizie prima di tirare fuori il coraggio e la forza di reagire“.
Protagonista è Paola Cortellesi che tra il 2005 e il 2007 interpretò anche sul palcoscenico il personaggio di Luciana: “personalmente penso che questa storia fosse urgente allora e la considero più che mai attuale adesso”. Nel definire questo film, l’attrice spiega: “questa è una storia di confine: non ci sono il bene o il male, i buoni o i cattivi, la commedia o il dramma. C’è la vita. E le contraddizioni che legano i momenti lieti e quelli duri, la spensieratezza e la follia, la serietà e la leggerezza”.
Tra gli attori del cast c’è anche Lara Balbo, già bravissima attrice di teatro che qui fa il suo esordio cinematografico. Sullo schermo la vediamo interpretare Matilde, il personaggio chiave della storia che provocherà il licenziamento di Luciana. Per approfondire le tematiche proposte dal film, abbiamo deciso di intervistarla.
Esce oggi al cinema Gli Ultimi Saranno Ultimi: di che cosa parla il film? Ci potresti descrivere Matilde, il tuo personaggio?
Il film racconta la storia di una donna che perde il lavoro in seguito ad una gravidanza. Tratta quindi un tema sociale attuale e molto importante: la donna nel mondo del lavoro oggi. Matilde è una giovane ragazza, ingenua e semplice. Viene assunta nella stessa azienda in cui lavora Luciana (Paola Cortellesi), grazie a lei. E quasi inconsapevolmente , senza poter immaginare le gravi conseguenze, fa un errore che non vi starò a svelare…lo vedrete nel film!
Che esperienza è stata per te stare sul set al fianco di Paola Cortellesi, Alessanrdo Gassmann e Fabrizio Bentivoglio?
Con un cast di così alto livello non può che essere stata un esperienza unica e fondamentale. Essendo anche il mio debutto cinematografico ne vado onorata. Da professionisti così si può imparare molto. Ho lavorato soprattutto con Paola Cortellesi, che è un’attrice bravissima, una grande professionista, e una persona generosa e disponibile. Mi ha aiutato intensamente. E lavorare con Massimiliano Bruno è stato semplicissimo, grazie alla sua grande capacità nel dirigere gli attori.
Gli anni passano ma la drammatica situazione legata al mondo del lavoro è cambiata poco. Perché secondo te questo film è importante e così attuale?
È attuale perché racconta come la società di oggi è composta da individui che vivono grazie a dei punti di riferimento che ritengono eterni, e nel momento in cui questi vengono a mancare crolla tutto il sistema che si sono creati attorno. Ed è lì che emerge la parte più oscura dell’uomo, quella che probabilmente ci piace di meno. In tal senso la collaborazione tra individui nel lavoro, come nel resto delle cose, diventa una rete di salvataggio per il singolo e quindi per la comunità. La mancanza di tutela ci rende schiavi della nostra parte più oscura.
Quanto è difficile immaginarsi una vita e programmare un futuro con un contratto di sei mesi, come quello che viene proposto a Matilde?
Matilde è giovane, e come la maggior parte dei giovani che iniziano un lavoro oggi si accontenta di una precarietà. Direi che è impossibile immaginarsi un futuro in queste condizioni, figuriamoci programmarlo. Purtroppo ci si ritrova a vivere alla giornata, che non è del tutto negativo, ma credo abbia negative conseguenze sullo stato emotivo delle persone. Se crolla la forza e la speranza è davvero difficile rimettersi positivamente in carreggiata. Programmare un futuro con contratti di sei mesi, con stipendi al di sotto del minimo sindacale, con vessazioni di ogni tipo è mortificante. È come se programmassimo la nostra mortificazione, non il nostro futuro.
Il mondo-mercato del lavoro è diventato una jungla, una battaglia senza esclusione di colpi in cui vige la spietata legge del “mors tua vita mea”. Il tuo personaggio compie un gesto che alla fine risulterà tragicamente decisivo. Vista la situazione di precarietà che stiamo vivendo, tu fino a che punto giustifichi la condotta di Matilde? L’egoismo dilagante di oggi può soffocare qualsiasi forma di umanità e, in questo caso, di solidarietà femminile?
Matilde non è un personaggio cattivo; non la giustifico, ma non la accuso. Si ritrova a compiere un gesto sbagliato, ma senza immaginarne le conseguenze. Purtroppo non siamo sempre in grado di capire immediatamente i limiti entro cui agire, parlo della vita vera. Si compiono degli errori a volte decisivi, perché? Perché l’uomo è portato a pensare prima a sé, naturalmente. E non sempre per cattiveria, ma l’egoismo è parte di noi tutti. Quello che è importante è far sì che questo egoismo non vada a soffocare l’umanità che ci sta accanto, ma che rimanga entro un certo limite, che sia il motore per raggiungere obiettivi ambiti che non precludano quelli degli altri. È la competizione non sana quella che traduce “mors tua vita mea”, e io sono convinta che chi vive di questo tipo di competizione avrà risultati facili al principio ma a lungo andare ne subirà le conseguenze negative.
Una donna che lavora e resta incinta deve iniziare a preoccuparsi di perdere il proprio posto. La paura contrasta la felicità. Tu cosa pensi di questa situazione? Riesci a trovare una risposta che abbia un senso?
Mettere al mondo un figlio è uno dei gesti e dei doni più belli che può fare una donna a se stessa e all’umanità. E avere paura di farlo è un contro senso assurdo. Siamo assorbiti da una società che ha perso i valori e i punti di riferimento, siamo tutti abbandonati a noi stessi. E abbiamo paura di compiere atti di amore perché, in questo caso, non siamo abbastanza tutelati. Sono delle contraddizioni ridicole. Vorrei fortemente avere un figlio, è una delle mie massime aspirazioni di vita ma abbiamo ancora bisogno di amore in questo mondo. Le cose cambieranno, ne sono sicura, ma dobbiamo andare oltre queste barriere.
Intervista di Giacomo Aricò