È da oggi al cinema L’Universale, opera prima del documentarista fiorentino Federico Micali che lo ha scritto insieme a Cosimo Calamini e Heidrun Schleef. La cultura, la musica, i film e i movimenti in Italia a cavallo degli anni ’70 si intrecciano alle storie di Tommaso, Alice e Marcello, interpretati rispettivamente da Francesco Turbanti, Matilda Lutz e Robin Mugnaini. Completano il cast: Claudio Bigagli, Paolo Hendel, Vauro, Maurizio Lombardi, Anna Meacci. Le musiche sono dei Bandabardò.
Tommaso è figlio del proiezionista (Claudio Bigagli) del Cinema Universale di Firenze. Un luogo mitico, chiuso nel 1989, dove il vero spettacolo era il pubblico grazie a episodi come l’incredibile ingresso in sala di una Vespa, il famoso abburracciugagnene, i commenti a voce alta durante le proiezioni, i balli durante i film musicali. Le poltrone di legno, il bar, le mura, le maschere (Roberto Gioffré e Francesco Mancini), la cassiera (Anna Meacci), la barista (Ilaria Cristini) e lo stesso programmatore Sig. Ginori (Paolo Hendel) vivevano da protagonisti gli sketch degli spettatori, irriverenti e sopra le righe, alla ricerca della propria identità e coscienza.
Quella di Micali è una commedia che racconta le avventure, i sogni e le illusioni dei tre protagonisti e il cinema Universale, specchio di una società italiana in continua evoluzione. Quel cinema è la storia di tante sale che hanno contribuito alla formazione di intere generazioni.
All’Universale infatti il vero spettacolo non era il film ma il pubblico e il “Cinema” riusciva ad essere allo stesso tempo sia il luogo che la pellicola, in una fantastica alchimia che non poteva prescindere dai sonori commenti della sala al film in corso. Perché, come spesso accade, il cinema diventa lo specchio e l’appendice di storie private e collettive, sullo schermo come sulle poltroncine di legno o al bancone del bar, dove si sovrappongono Marlon Brando e il Tamburini, John Wayne, la politica e l’amaro Ballardini, l’hashish e Jesus Christ, ma anche il punk, la new wave l’eroina, le radio libere e tutto quanto ha attraversato il mito del Cinema Universale.
“Per quasi due anni ho “vissuto” all’interno del Cinema Universale di Firenze – racconta Federico Micali – assorbendo una straordinaria serie di racconti, storie e aneddoti che sono poi, in piccola parte, confluiti nel mio documentario Cinema Universale d’Essai”. Non un film ma un viaggio, “emozionante e divertente in una storia del cinema molto privata, quella che ha caratterizzato l’identità di varie generazioni che si sono alternate su quelle scomode poltroncine di legno, dove il film diventava una partitura personale su cui improvvisare collettivamente: un’interazione che iniziava durante la proiezione e proseguiva nelle discussioni al bar o davanti alla cassa”.
Da queste basi Micali ha iniziato a cullare l’idea di avere il Cinema Universale come “teatro di una scrittura drammaturgica che superasse i confini segnati dal reale, per andare a raccontare la storia di una generazione quella che passa per gli anni 70, attraverso le strette mura di un cinema e l’immensa finestra che è il suo schermo”.
“Mi affascina quel rapporto viscerale che si crea con la sala, intesa come film ma soprattutto come luogo, come spazio familiare”
Federico Micali