Il 24 aprile esce al cinema Gli Indesiderati D’Europa, il film scritto e diretto da Fabrizio Ferraro che ne ha curato anche la fotografia ed il montaggio. La pellicola mette in relazione, in chiave poetica, la “retirada” dell’esercito repubblicano spagnolo in fuga da Franco nel 1939 e il viaggio all’inverso, lungo il medesimo sentiero, realizzato l’anno successivo da Walter Benjamin in fuga dal nazismo. Un movimento bidirezionale che riecheggia analoghi movimenti in atto nell’Europa contemporanea. Il film è stato girato in bianco e nero sul sentiero “Walter Benjamin” al confine tra Spagna e Francia, nelle città di Portbou, La Vajol, Banyuls-sur mer, Port-vendres, e a Barcellona, Roma e Parigi.
Catalogna. Pirenei Sud-orientali. Gli elementi naturali di un paesaggio minerale. Lungo la “Route Lister”, nel febbraio del 1939 avanzano lentamente i profughi della Guerra civile spagnola. Tra di loro tre miliziani antifascisti. L’anno successivo un altro gruppo di “indesiderati” attraversa il medesimo sentiero ma in direzione opposta. È la popolazione degli antifascisti europei, stranieri ed ebrei in fuga dalla Francia occupata e “collaborazionista”. Walter Benjamin (Euplemio Macrì) è uno di questi.
Come afferma il critico di cinema Valerio Carando – autore di Gli Indesiderati. I Sentieri di Walter Benjamin in un film di Fabrizio Ferraro (arricchito dal diario di lavorazione del film, da domani in libreria edito da DeriveApprodi, lo trovi QUI) – “Ferraro media tra entusiasmo e prudenza, passione e ragione. Il suo è uno sguardo intriso di consapevolezza, tutt’altro che traballante, come quello di chi sa cosa cercare nel fitto magma materico che ci avvolge. Uno sguardo virginale, stupefatto, aperto all’esperienza, come quello di chi spalanca gli occhi sul mondo per la prima volta, ogni volta. Uno sguardo rivoluzionario”.
Lo stesso Carando all’interno del libro chiacchiera con il protagonista, Euplemio Macrì:
Che tipo di contatto hai stabilito con la figura di Walter Benjamin?
Ho cercato soprattutto una relazione intuitiva con l’umanità della vicenda di Benjamin. Un incamminarsi lungo i camminamenti già percorsi da altri uomini verso un «nulla» o un «aperto» sempre rinnovato.
Da intellettuale non vincolato al mondo del cinema, come hai vissuto la responsabilità di prestare corpo e voce a Benjamin?
Con piacere, passione e curiosità condivise. All’inizio in una fusione di invadenza e fratellanza, l’uno nell’altro. Poi di abbandono e lasciar essere.
Cosa c’è di Euplemio Macrì nel Benjamin di Ferraro?
Concepisco l’idea dell’arte come «relazione», e quindi del tempo/storia come di un UNO nel quale abbiamo la possibilità di incamminarci per vivificare, attraverso l’arte/relazione, il passato del già stato ma mai compiuto. Il tutto nella rivoluzione critica dell’istante.
La nota conclusiva spetta a Fabrizio Ferrario: “questo è un film in cui si cammina e cammina sui sentieri oscuri della storia Europea…Ma quando sopraggiunge quel certo silenzio, forse qualcosa, durante la lavorazione del film, è veramente accaduta. Non serve scrivere tante parole, le parole forse non vanno cercate ma bisognerebbe farle. E così quello che riuscirò a vedere sarà sempre un’immagine del passato, miliardi di fotoni luminosi che giungono dal passato”.
“E così arrivò la luce e il sentire divenne vivente”.
Fabrizio Ferraro