Giovedì 22 agosto arriva al cinema Il Signor Diavolo, il film a tinte horror-gotiche del Maestro Pupi Avati che lo ha tradotto sul grande schermo partendo dal suo stesso omonimo libro. La pellicola ha come interpreti: Gabriele Lo Giudice, Filippo Franchini, Cesare S. Cremonini, Massimo Bonetti, Lino Capolicchio, Chiara Caselli, Gianni Cavina, Alessandro Haber e Andrea Roncato.
Il film
Autunno 1952. Nel nord est è in corso l’istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Furio Momentè (Gabriele Lo Giudice), ispettore del Ministero, parte per Venezia leggendo i verbali degli interrogatori. Carlo (Filippo Franchini), l’omicida, è un quattordicenne che ha per amico Paolino. La loro vita è serena fino all’arrivo di Emilio (Lorenzo Salvatori), un essere deforme figlio unico di una possidente terriera che avrebbe sbranato a morsi la sorellina. Paolino, per farsi bello, lo umilia pubblicamente suscitando la sua ira: Emilio, furioso, mette in mostra una dentatura da fiera. Durante la cerimonia delle Prime Comunioni, Paolino nel momento di ricevere l’ostia, viene spintonato da Emilio. La particola cade al suolo costringendo Paolino a pestarla. Di qui l’inizio di una serie di eventi sconvolgenti.
Pupi Avati racconta…
“Il Signor Diavolo rappresenta una sorta di check up del mio rapporto con il mezzo cinematografico. Una verifica doverosa di quello che è il mio rapporto fra ciò che immagino, ciò che io, Antonio, e mio figlio Tommaso abbiamo immaginato, e ciò che poi risulta nel film. L’emozione che suscita, la tensione che sa mantenere, il livello di identificazione che produce nello spettatore. Erano diversi anni che non realizzavo un film destinato a una distribuzione theatrical, avendo lavorato per la televisione su intrecci narrativi più consolatori o comunque lontani da quel gotico padano che mi ha riportato ai miei inizi. Tornare a quelle atmosfere, a quegli stessi luoghi, con alcuni degli stessi interpreti di allora, ha avuto su di me un esito terapeutico, un riaffacciarsi del cinema in tutte le sue sfrontate potenzialità“.
“E’ evidente che già nello scriverlo abbiamo avvertito una sensazione di libertà, di riaprirsi di quel mondo sconosciuto e spaventevole che ha dato forza e garantito sopravvivenza a titoli di una mia filmografia ormai remota. In questo film, come a volte era già accaduto, anche se non sempre, tutto ha funzionato. Il rapporto degli interpreti con l’ambiente, con il tono fotografico, con i costumi che indossavano, i dialoghi che si trovavano a recitare, tutto obbedisce a quella tensione che cercavo e che intride di sé il racconto. Racconto che ha per protagonista il male, quel male che sa occultarsi in ogni personaggio della complessa narrazione. Era quel male che volevo raccontare, quel male che muore e si rigenera in una infinità di vite nuove e imprevedibili“.
“Avendo un romanzo pubblicato da Guanda alle spalle, nella realizzazione del film abbiamo deciso di arricchirlo di un triplo salto mortale nel finale, un salto mortale che andasse a sorprendere proprio chi il romanzo lo avesse letto. Credo che ci siamo riusciti e considero la chiusura di questo racconto, (finale che abbiamo girato persino all’insaputa della troupe) come uno dei finali più riusciti ed inquietanti dell’intera mia vicenda cinematografica“.