Tra i titoli più discussi in Concorso all’ultimo Festival di Cannes, c’è senza dubbio Marguerite e Julien – La Leggenda degli Amanti Impossibili, il film di Valérie Donzelli incentrato sul tema dell’incesto. La pellicola, nata dall’idea originale e dalla sceneggiatura che Jean Gruault scrisse nel 1973 per Truffaut (che si rifiutò di girarlo), è stata riscritta da Valérie Donzelli insieme a Jérémie Elkaïm, protagonista della storia insieme a Anaïs Demoustier. E’ al cinema da oggi, 1° giugno.
Julien (Jérémie Elkaïm) e Marguerite de Ravalet (Anaïs Demoustier), figli del Signore di Tourlaville, si amano teneramente fin da bambini. Diventati adulti, il loro affetto si trasforma in irrefrenabile passione. Scandalizzata dal loro legame, la comunità di Tourlaville inizia a dare la caccia ai due fratelli che, incapaci di resistere ai loro sentimenti, decidono di fuggire.
Lasciamo ora spazio a un estratto dell’intervista rilasciata da Valérie Donzelli.
Qual è l’origine di Marguerite e Julien?
Per questo progetto ho voluto girare un film che non fosse ispirato alla mia vita, come i precedenti. Volevo adattare qualcosa. Quando ho letto la sceneggiatura che Jean Gruault scrisse per Francois Truffaut, mi è stato subito chiaro. Sono rimasta subito incantata dalla storia e ho deciso che quello sarebbe diventato il mio prossimo film. Era l’adattamento di una storia vera – c’era una verità dietro. Ho scoperto poco dopo che a Tourlaville esisteva ancora il castello dei Ravalet, quindi sono stata in grado di gestire il processo creativo come ho sempre preferito: partire dalla realtà per creare un racconto di fantasia. Solo che questa volta sono partita da una realtà che non era mia.
La storia si basa su fatti realmente accaduti ma il film si sposta verso la fantasia fin dall’inizio. Non è del tutto fedele alla storicità degli eventi.
Ho voluto fare un film di una certa larghezza, con una dimensione di fantasia. Un film di cavalleria e avventura – un film per tutti. Sentivo che questa storia conteneva tutti i temi a me cari: amori impossibili, fusione, l’idea di trattare l’amore come se fosse una malattia o come il destino. Volevo girare una vera tragedia. Volevo creare qualcosa di nuovo, per quanto riguarda la forma stessa del film – qualcosa che non esisteva – quindi non avevo nessun riferimento al quale ispirarmi. Fin dall’inizio ho rifiutato l’idea della ricostruzione storica, alla quale non ero assolutamente interessata. Al contrario, volevo la libertà di inventare un mondo, partendo però da elementi reali: il castello, la famiglia Ravalet, i fatti storici. L’idea era quella d’incarnare una leggenda, anziché riportare eventi realmente accaduti.
Da dove nasce l’idea del film, fatta di anacronismi e prestiti da diverse ere?
Ho voluto fare un film senza tempo, che non fosse legato a un’era in particolare, radicato nel mondo delle “favole” ma senza appartenergli completamente. È stato difficile, perché non c’erano dei riferimenti preesistenti. Poiché la storia esisteva già, ho voluto fare un film in cui la forma avesse un ruolo predominante. Le mie linee guida vengono da Cocteau: “La storia non è altro che la realtà deformata, mito della falsa rappresentazione”. Ho voluto creare qualcosa d’immaginario che potesse essere incarnato sotto ogni aspetto, così da avere la sensazione che i personaggi fossero veri, di stare con loro nel castello, di sentire il profumo di Madame de Ravalet e sentire il vento e lo scricchiolio delle assi di legno del pavimento. Un film sensoriale, un 3D senza occhiali!
Nel tuo film ogni elemento del set o i costumi sono reali, ma non corrispondono solo a un periodo. Non si può nemmeno parlare di anacronismo perché non esiste un’era definita. Ma ad ogni modo, in quale era si colloca il film?
Si tratta di un film in costume. Una storia ambientata nel passato, ma che ho immaginato come un film di fantascienza. Perché non sappiamo come fosse il passato (anche se abbiamo i libri), così come non sappiamo come sarà il futuro. Si doveva pensarlo come un film di fantascienza; sui sentimenti, su come le persone reagiscono, non ne sappiamo molto.
Truffaut non volle girare il film nel 1973 – perché è interessante girarlo nel 2015?
Ho pensato che fosse interessante il fatto che quest’amore così proibito non avesse altra soluzione se non la morte. Se riuscissero a gestirlo, preferirebbero seguire il corso della vita anziché quello della morte. Ma il loro amore è così forte che non possono fare altro che viverlo appieno, e morirne. Faccio un esempio, che potrebbe sembrare azzardato, ma è come essere gay in una società che non lo permette. Quelli che vivono la propria omosessualità nonostante le imposizioni, lo fanno al costo di essere soggetti a umiliazioni, incarcerazioni o addirittura alla pena di morte. Oggi, nella nostra società più permissiva, è difficile trovare qualcosa di equivalente; l’incesto tra fratello e sorella è ancora proibito – senza essere punibile con la pena di morte, certo. Detto questo, nel tempo il cui la storia è raccontata, loro non erano condannati a morte per incesto, ma per adulterio. Il vero problema è che lei era sposata e la donna era di proprietà del marito. Questo si ritrova ancora oggi in alcune culture. È un riflesso della libertà. Fino a che punto si è disposti a vivere il proprio amore, seguire la propria natura, anche se il risultato sarebbe la morte?
Nonostante tutto non abbiamo la sensazione che Marguerite e Julien siano ribelli, o che vogliano trasgredire la legge.
È questo che ho trovato interessante. La disobbedienza non ha necessariamente un volto definito. Puoi essere il figlio disobbediente di una buona famiglia. Marguerite e Julien non disobbediscono in nome della provocazione, loro lo fanno malgrado la loro natura. Per questo non volevo che gli attori fossero troppo giovani. Se fosse stato così, sarebbe stato facile incolpare la loro innocenza, immaturità e noncuranza. Volevo che gli attori fossero adulti così da comprendere perfettamente quello che stavano facendo.
In particolare nel caso di Julien, abbiamo la sensazione che ci abbia riflettuto molto.
Lui passa attraverso fasi terribili. Quando realizza il desiderio che prova per sua sorella, se ne vergogna. Prova a resistergli. Loro non sono sullo stesso livello nella storia. Marguerite vive la situazione in modo più istintivo. Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare la storia partendo dalla premessa: sono innamorati. Non è una storia d’amore basata sullo schema “incontro, conquista, separazione”. È molto difficile raccontare una storia d’amore dove l’amore non è mai messo in discussione, perché non esiste conflitto. Il conflitto viene dall’esterno. La storia è raccontata attraverso gli occhi degli altri: dalla ragazza orfana, dai genitori, da quello che gli altri vedono in loro.
Infatti Marguerite e Julien parlano poco tra di loro.
Non parlano quasi mai. Questo è un film in cui gli eroi non parlano tra di loro, perché sono un’unica persona. Gli altri non esistono. Quando sono insieme non hanno bisogno di parlare perché sono da soli, faccia a faccia con se stessi – è una fusione totale. Questa è una forma d’amore che mi tocca profondamente. Non c’è nessun imbarazzo nel non parlare, alcun bisogno di colmare il vuoto.
Questo è un film che non esprime un giudizio morale sulla questione dell’incesto.
Sì, ma dobbiamo fare attenzione qui, la mia intenzione non è mai stata quella di girare un’apologia sull’incesto… assolutamente no. Allo stesso tempo, non volevo che fosse condannato nel film. Era molto importante per me che ci fossero delle contrapposizioni. Quando ho visto il film, è stato bello vedere il padre di Marguerite rimproverarla. Volevo che gli spettatori fossero con loro e contro di loro allo stesso tempo, così che ognuno potesse essere compreso.