È molto probabile che l’amore per la poesia, e per la letteratura in generale, l’abbia ereditato dalla madre, a sua volta scrittrice ed editrice, e poi sia riuscito a interpretarlo a suo modo, anche attraverso l’arte teatrale prima e cinematografica poi. Un’arte alla quale James Franco (il cognome lo deve alle sue origini portoghesi), 40 anni oggi, si è avvicinato presto, fin dai tempi delle superiori, frequentate nella californiana Palo Alto, sua città natale.
La passione fu così forte che in seguito abbandonò l’università (per poi terminarla nel 2008 dopo essersi nuovamente iscritto due anni prima) per dedicarsi totalmente alla carriera di attore. Il primo successo arrivò nel 2001 (con vittoria anche al Golden Globe) nel film- tv James Dean sulla vita dell’attore ribelle che scosse il mondo intero con soli tre film. La preparazione di Franco fu da Actor’s Studio: imparò a fumare, ad andare in moto e a suonare il bongo (oltre che parlare coi parenti di Dean) per entrare meglio nella parte. Una parte che gli regalò fama e gloria (per dirla alla Indiana Jones) e gli aprì le porte della Mecca del Cinema.
Fu così che si guadagnò i panni del figlio del Goblin (Willem Dafoe) nello Spider-Man di Raimi (2002 e sequels). Lo stesso anno affiancò Bob De Niro ne Colpevole D’Omicidio, dove interpretò la parte del figlio tossicodipendente dello stesso De Niro. L’idea di tuffarsi nella parte, alla guisa di Brando, fu (ed è) una costante nella carriera cinematografica di Franco. Basti pensare che imparò a duellare con la spada per interpretare Tristano e prese la licenza di pilota privato per Giovani Aquile (2006). Senza dimenticare che non lasciò quasi mai il set di 127 Ore (abbandonato solo per studiare i testi universitari e fare esami), film per il quale ricevette una candidatura agli Oscar.
L’impegno cinematografico dell’attore californiano non si esaurisce in pellicole drammatiche (in questo senso è doveroso citare anche la sua performance in Milk ove interpretata il fidanzato del primo appartenente alle istituzioni statunitensi apertamente gay), ma sconfina anche nella commedia. E’ il caso del sodalizio proficuo con Seth Rogen e gli altri membri del Frat Pack, che portò a film come Strafumati e soprattutto Facciamola Finita (2012), dove Franco interpreta se stesso (come gli altri attori), invitando alcuni amici ad una serata di festa in casa sua. In quella sera succede l’Apocalisse biblica: la terra si apre e gli attori, frivoli appartenenti ad una società dedita al consumo, devono decidere come salvare la propria anima. Una metafora, mascherata da commedia, del pericolo insito nella società liquida descritta da Bauman, dove tutto oscilla e nulla è stabile. Ciò che ci sembra prezioso è vacuo e non può proteggerci dalle nostre fragilità e imperfezioni umane.
Facendo un bilancio della sua carriera, Franco, anche poeta e scrittore (con diverse pubblicazioni all’attivo, in Italia anche le sue storie di Palo Alto), ha compiuto scelte coraggiose. Come interpretare Allen Ginsberg in Urlo, sulla vita dell’autore beat colpito oltremodo dalla puritana censura made in Usa, oppure vestire i panni proprio di uno scrittore in crisi ne Ritorno Alla Vita (2015) di Wenders. Oppure ancora dirigere la versione cinematografica (con poco successo) de L’Urlo e il Furore di William Faulkner, o In Dubious Battle di Steinbeck. Fino ad arrivare all’ultimo The Disaster Artist, il suo omaggio, come regista ed attore, allo strambo Tommy Wiseau.
Scelte che portano a pensare che James Franco abbia cercato e cerchi, anche attraverso la settima arte, di approfondire e capire il concetto di Bellezza, in ogni sua forma. Sia che si tratti di regia, interpretazione o sceneggiatura, il Cinema diventa quindi per lui l’occasione per creare arte. Che poi piaccia o meno, come sembra dire Franco (giustamente incurante delle eventuali critiche artistiche), ai posteri l’ardua sentenza.
Tommaso Montagna