Tratto dal libro Le Mappe Dei Miei Sogni di Reif Larsen, arriva oggi al cinema Lo Straordinario Viaggio di T.S. Spivet, il nuovo film di Jean-Pierre Jeunet ambientato negli Stati Uniti e interpretato da un cast prestigioso, formato dalle candidate all’Oscar Helena Bonham Carter e Judy Davis, così come Callum Keith Rennie e il giovanissimo Kyle Catlett.
T.S. Spivet (Kyle Catlett) è un bambino prodigio di 10 anni appassionato di cartografia e invenzioni. Vive in un ranch nel Montana insieme alla mamma (Helena Bonham Carter), esperta di morfologia degli insetti, al padre, cowboy nato nel periodo storico sbagliato, a sua sorella quattordicenne che sogna di diventare Miss America e a suo fratello gemello Layton.
Un giorno T.S. riceve una telefonata inaspettata dall’Istituto Smithsonian che gli annuncia la vittoria del prestigioso premio Baird per la sua invenzione di un dispositivo dal moto perpetuo. All’insaputa di tutti, per ritirare il premio e tenere il discorso di ringraziamento, T.S. salta su un treno merci e intraprende il suo straordinario viaggio attraverso l’America in direzione Washington ma allo Smithsonian tutti ignorano che T.S. è solo un bambino.
Vi proponiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata del regista francese Jean-Pierre Jeunet.
Come ha scoperto Le Mappe dei Miei Sogni, il romanzo che Reif Larsen sembra aver scritto pensando proprio a lei?
Dopo aver girato L’Esplosivo Piano di Bazil, non avevo voglia di occuparmi nuovamente di un soggetto inedito. D’altronde, mi piace variare. Quindi, ho chiesto a un “lettore di professione”, Julien Messemackers, se conosceva qualche libro che avrei potuto trovare interessante. Nella primavera del 2010, mentre mi trovavo in Australia per girare alcuni spot pubblicitari, Julien mi ha consigliato di Le Mappe dei Miei Sogni, il primo romanzo di Reif Larsen, un giovane autore americano. Mi ha inviato una copia del libro e ho approfittato del jet lag per leggerlo, terminandolo in pochi giorni. Sono rimasto colpito dal protagonista, un personaggio straordinario, e dalla sua toccante storia, dalla ricchezza di particolari presenti nella storia, dall’ambiente descritto, dai treni, dal Montana, dagli ampi spazi aperti…
Lei parla di emozioni e questa è la prima volta in cui affronta le emozioni in modo così diretto, soprattutto nella scena finale …
È vero. Ne L’Esplosivo Piano di Bazil ho evitato qualsiasi emozione. Lo consideravo più come un cartone. È stato un errore, perché il mio punto di riferimento era la Pixar e con la Pixar ci sono sempre emozioni. L’emozione dipende anche dalla personalità: alcune persone amano sentire i violini, altre no. Sono molto schivo, le mie emozioni sono contenute, spesso solo accennate.
Si ha l’impressione che T.S. Spivet appartenga alla stessa famiglia di Miette, l’eroina de La città perduta, oppure che ricordi Amélie da bambina …
Lo ripeto, Spivet assomiglia a me! Mi sono identificato in lui. T.S. ha successo e vince un premio prestigioso grazie alla sua fantasia e, quando si trova al centro dell’attenzione, non desidera altro che tornare al suo ranch. Esattamente come me: non sono mai a mio agio fuori dal mio ambiente. Quando andavo a scuola, mi chiedevo sempre cosa ci facessi lì. Per non parlare di quando facevo il militare. E anche in seguito, nei film d’animazione o nel cinema francese, non mi sentivo mai al posto giusto. A Hollywood è anche peggio! Non sto bene da nessuna parte, ho sempre la sensazione di essere atterrato sul pianeta sbagliato e, quando guardo il telegiornale, penso sempre “Ma che ci faccio qui? È un errore, deve essere stato un errore fin dall’inizio!”. Sono a mio agio solo quando sono in compagnia di persone che condividono la mia passione per un lavoro ben fatto.
Il suo vecchio amico Guillaume Laurant ha collaborato con lei all’adattamento del libro. Qual è stato lo stimolo maggiore per questa collaborazione?
Il romanzo è lunghissimo, più di 400 pagine! Praticamente era impossibile adattarlo ed è proprio questo che ha reso il nostro lavoro tanto stimolante. Abbiamo dovuto eliminare interi capitoli. Ci siamo concentrati sulla storia di T.S., eliminando le varie digressioni che costellano il libro. Gli abbiamo fatto vincere il Premio Baird per l’invenzione della macchina a moto perpetuo, e questa è stata un’idea di Guillaume, perché volevamo dare visibilità alla sua invenzione, mentre nel libro il ragazzino viene premiato per la sua competenza con le mappe geografiche e con i disegni. Abbiamo ricollocato il fratello al centro della storia, assegnato un ruolo essenziale alla madre che nel libro compare a malapena solo alla fine e abbiamo unito tutti i vari stadi del lancio promozionale di T.S. in uno stravagante spettacolo televisivo. È stato un lavoro duro, ma allo stesso tempo piuttosto semplice, perché il materiale di base è straordinario. E questo procedimento è sempre più facile rispetto al dover inventare tutto da zero. Quindi c’è tanto lavoro ma anche tanto piacere nel farlo.
Il grande problema era trovare un ragazzino intorno a cui costruire tutto il film. Bisogna ammettere che Kyle Catlett è prodigioso! Come lo ha scovato?
Un giorno Lucie Robitaille, la responsabile del casting del Quebec, mi ha mostrato il test di un ragazzino minuscolo. Aveva 9 anni, ma ne dimostrava 7. Eppure aveva qualcosa! Qualcosa di strano, avvincente, e unico. Si chiamava Kyle. Ricordo di aver pensato: “Non può essere lui, è troppo piccolo per il ruolo. T.S. dovrebbe avere 12 anni”, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa. Ho deciso di prenderlo nonostante la sua altezza: era perfetto e non potevamo farcelo scappare. Abbiamo deciso di correre il rischio e lo abbiamo confermato. Conosceva T.S. meglio di me, un vero professionista.
E con Helena Bonham Carter?
Desideravo da tempo lavorare con Helena. L’avevo incontrata sul set di Fight Club di David Fincher e mi aveva detto, in francese: “Quando vuoi, facciamo un film insieme!”. Mi piace la sua inventiva e la sua stravaganza. Perciò, per questo film, ho scritto la sua parte proprio per lei, anche se questo è sempre un po’ rischioso. Le ho inviato il copione e lei ha risposto “adoro la tua sceneggiatura”. È stato tutto molto semplice, proprio perché anche lei è una persona semplice.
Qual è stata la cosa più difficile del film?
Prima di tutto sopravvivere ai problemi legati al programma di riprese con Kyle, che era impegnato anche in una serie americana. Poi abbiamo dovuto risolvere i problemi con i sindacati, tanto comuni in America e specialmente ad Alberta, perché in Francia non ci rendiamo conto della libertà di movimento che abbiamo sul set. Tutto è molto più flessibile e tranquillo. E poi resistere alla tentazione di uccidere alcune delle persone più bugiarde di questo pianeta: gli agenti cinematografici americani …