Fermato ai blocchi di partenza dall’emergenza Covid (l’uscita era annunciata per il 26 marzo), L’Agnello – opera prima di Mario Piredda, già in concorso ad Alice nella Città – arriva finalmente nelle sale e nelle arene con un tour che partendo dalla Sardegna (il 18 e 19 luglio a Cagliari) toccherà dal 20 luglio le principali città: prime tappe, alla presenza del regista e del cast, Roma (20 luglio, Arena Tiziano), Milano (il 21 luglio all’AriAnteo, e dal 22 all’Anteo) e Torino (il 22 luglio all’Arena di Palazzo Reale), seguite nel corso dell’estate da un ricco calendario di appuntamenti che porterà il film a incontrare il pubblico di tutta Italia.
Il film
Anita (Nora Stassi) ha diciassette anni e vive in Sardegna, insieme a suo padre Jacopo (Luciano Curreli), che è malato di leucemia e avrebbe bisogno con urgenza di un trapianto. I tempi d’attesa per la ricerca di un donatore sono troppo lunghi rispetto al progredire della malattia, e anche se i parenti hanno più probabilità di essere compatibili, non lo sono né Anita né suo nonno Tonino (Piero Marcialis) – un vecchio pastore che abita sull’altopiano, accanto a un’area militare. Jacopo ha un solo fratello, Gaetano (Michele “Dr. Drer” Atzori), che vive dall’altra parte dell’Isola; i due non si parlano da anni a causa di un feroce litigio che non sembrano intenzionati a dimenticare. Con l’aiuto del nonno, ad Anita non resta che presentarsi a casa dello zio, determinata a ricucire gli strappi del passato, pur di convincerlo a fare le analisi che potrebbero salvare la vita di suo padre.
Mario Piredda racconta…
“Sono partito con l’idea di girare un film di pseudo-finzione, raccontando le traversie quanto mai attuali di un padre e una figlia che vivono vicino a un’ipotetica base militare in Sardegna. Non è una situazione straordinaria: il territorio sardo, infatti, ospita il 60% di tutto il demanio militare italiane. La Sardegna è un’isola poco abitata e si trova in una posizione strategica al centro del Mediterraneo: è stato il posto ideale dove collocare la maggior parte delle basi militari interforze, che dalla metà del secolo scorso, hanno progressivamente sottratto alla popolazione porzioni crescenti di territorio. Tra i luoghi più noti alle cronache, ricordiamo i poligoni militari di Teulada e Quirra, che hanno come principale attività la sperimentazione di nuove armi e la guerra simulata, in aree naturali che si estendono dall’entroterra al mare. Ai margini di questi territori, secondo le stime l’incidenza tumorale ha raggiunto picchi altissimi imputabili all’ingente presenza di polveri radioattive, residui delle esplosioni e delle esercitazioni“.
“Della relazione tra attività militari e salute si parla da quasi vent’anni: in vari documentari, in inchieste giornalistiche, nelle aule dei tribunali: è una relazione che non riguarda solo i soldati, ma anche i pastori, i civili che lavorano nelle basi e gli abitanti dei centri vicini. È un dato di fatto per chi vive in Sardegna, ma è meno noto per tutti gli altri. Sono partito da una delle tante storie di persone che risiedono in quei territori, in cui la convivenza forzata tra civile e militare è ordinaria quotidianità. È proprio in questa normalità che ho scelto di ambientare il racconto, cercando di realizzare un film non esplicitamente di denuncia, cioè senza oltrepassare il “limite invalicabile” della base militare, che resta inaccessibile ai personaggi così come lo è nella realtà“.
“L’Agnello resta per me un film ambientato in un territorio e non su un territorio, con al centro un dramma famigliare che potrebbe essere raccontato in qualunque parte del mondo. Il punto di vista è quello di una ragazza di diciassette anni, in piena ribellione da una condizione sociale e culturale che a stento riesce a comprendere, perché è troppo maldestramente impegnata – ma determinata – a risolvere il problema della malattia di suo padre e a ricucire i rapporti all’interno della sua famiglia. Il film affronta il conflitto tra un’adolescente e l’eredità lasciata, per non dire imposta, dalle generazioni precedenti, in un’altalena emotiva di lotte e rassegnazioni di fronte ad un mostro invisibile che, per quanto ben mimetizzato, è sempre presente“.
“Cose piccole e rapporti umani, queste sono rimaste le mie priorità, e ho cercato di metterle in scena con un linguaggio personale, intimo, già sperimentato nei miei lavori di cortometraggio precedenti, trattando il dramma con leggerezza, lasciando ai personaggi la capacità di uscire dal tragico della loro esistenza“.