Dal 9 luglio arriva nei cinema – distribuito da Movies Inspired – L’Anno Che Verrà, il nuovo film diretto da Grand Corps Malade e Mehdi Idir. La pellicola racconta un anno nel cuore della scuola pubblica.
Il film
Samia (Zita Hanrot), giovane ispettrice scolastica alle prime armi, si trasferisce dall’Ardèche nel municipio di Saint-Denis, per lavorare in una suola media considerata problematica. Qui Samia scopre i quotidiani conflitti per la disciplina e la realtà sociale che pesa sul quartiere, ma anche l’incredibile vitalità e l’umorismo degli allievi e della sua squadra di assistenti. Tra questi ci sono Moussa (Moussa Mansaly), il figo del quartiere, e Dylan (Alban Ivanov), il burlone. Samia si adatta e trova presto il modo di canalizzare l’energia degli elementi più irrequieti. La sua situazione personale complicata la avvicina naturalmente a Yanis (Liam Pierron), adolescente vitale e intelligente di cui ha compreso il potenziale. Anche se Yanis sembra rinunciare a ogni ambizione nascondendosi dietro la sua insolenza, Samia investe tutta la sua energia per salvarlo da un fallimento scolastico annunciato e tentare di spingerlo a proiettarsi verso un futuro migliore.
Grand Corps Malade e Mehdi Idir
Vi proponiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dai registi Grand Corps Malade e Mehdi Idir.
All’uscita di Patients, il vostro primo film, avevate già in testa questo progetto. Perché una sceneggiatura sulla vita quotidiana in una scuola media?
Grand Corps Malade: Avevamo voglia di parlare della scuola, ma senza idee preconcette. Abbiamo scelto le Medie perché, al di là dell’aspetto scolastico, è il tempo in cui costruisci la tua identità, vivi i tuoi primi amori, ti definisci. Mehdi e io abbiamo amato quel periodo.
Mehdi Idir: È un periodo cerniera che ci ha segnato in maniera indelebile. Ma i nostri ricordi risalgono agli anni Novanta. Abbiamo dovuto rimetterci in gioco e andare a studiare sul campo.
G.C.M.: Nondimeno, sapevamo che alcune scene vissute nel 1994 potevano adattarsi al 2019. Diverse persone a noi vicine lavorano nella scuola. E io ho organizzato dei laboratori Slam per le Medie. Avevamo notato che c’erano delle costanti.
Avete scritto la sceneggiatura insieme. Su quale base l’avete costruita?
M.I.: Alcune sequenze sono ispirate a eventi che avevamo vissuto o a cui avevamo assistito, altre basate su aneddoti che ci avevano raccontato. Poi ci siamo chiesti quello che potevamo dire di più rispetto ai film già realizzati su questo tema. Durante le nostre ricerche, abbiamo constatato che un ispettore scolastico si trova al crocevia di tutti i percorsi. Entrare nella storia attraverso di lui permetteva di collegare le storie tra loro. Un ispettore affronta dieci problemi diversi ogni ora. È in contatto con i genitori, gli alunni, il personale amministrativo, i professori.
G.C.M.: Abbiamo anche scoperto il carattere eminentemente sociale del mestiere. Abbiamo domandato agli ispettori che cosa li colpisse di più nel loro lavoro. Non è la violenza, ma la miseria di molte delle famiglie del quartiere. Abbiamo capito molto presto che i nostri personaggi principali sarebbero stati Samia, un’ispettrice scolastica e Yanis, l’alunno che lei prende sotto la sua ala. La loro storia è divenuta il filo rosso della sceneggiatura.
Quali problemi sperate di sollevare riguardo l’educazione nelle periferie difficili?
G.C.M.: Perché è così difficile? Perché il sistema fallisce ancora così spesso? Non abbiamo voluto colpire nessuno: né i ragazzi né il personale scolastico né i genitori. Quanto al sistema, anche se non è certo perfetto, non possiamo nemmeno addossargli tutta la colpa. Ma allora qual è l’origine del problema? Il personaggio di Messaoud azzarda un inizio di risposta: «Il contesto è più forte di noi».
M. I.: E fatta questa constatazione, aggiunge subito: «Ora che facciamo, ci arrendiamo?».
Tra tutte le reazioni che il film potrebbe suscitare, qual è quella che vi toccherebbe di più?
G.C.M.: Dipende da parte di chi. Dal lato di quelli che conoscono l’ambiente della Scuola Media e dei quartieri di periferia, ci piacerebbe che si dicesse: «Questo suona vero». Il nostro obiettivo era realizzare un film che ci piacerebbe guardare. Un film dove si ride, si provano delle emozioni, con degli attori che recitano bene.
M.I.: Abbiamo messo tutte le nostre energie per raggiungere questo obiettivo. Oggi andare al cinema costa caro, e se gli spettatori dicessero: «I 10 euro che ho speso sono serviti a qualcosa, i ragazzi hanno lavorato e non se ne sono fregati di noi», ecco, questo sarebbe magnifico.