Vincitore del LUX Film Prize 2017, dopo essere stato presentato ai Venice Days ed al Toronto Film Festival, giovedì 30 novembre arriva nelle nostre sale Sámi Blood, il film diretto da Amanda Kernell con Lene Cecilia Sparrok, Maj-Doris Rimpi e Mia Erika Sparrok.
Giorni nostri. Nord della Svezia, terra dei sámi, meglio conosciuti come làpponi. Christina (Maj-Doris Rimpi), 78 anni, accompagnata dal figlio Olle (Olle Sarri) e dalla nipote Sanna (Anne Biret Somby), torna nella sua terra di origine per il funerale della sorella. Da parte sua nessuna commozione, ma solo il desiderio di andarsene il prima possibile perché lei, Ella-Marja, ha disconosciuto le sue origini molti anni prima, a partire dal nome di battesimo.
Anni ’30. Ella-Marja (Lene Cecilia Sparrok) è una giovanissima ragazza cresciuta tra gli allevatori di renne, come tutti i sámi emarginati dal resto della popolazione, costretta a subire la discriminazione degli anni ’30 e la certificazione della razza. Mandata con la sorella Njenna (Katarina Blind) in una scuola riservata ai sámi -dove si insegna ed è concesso solo l’utilizzo della lingua svedese e dove gli studenti vengono sottoposti a una sorta di programma di civilizzazione-, Ella-Marja comincia a fantasticare una vita diversa, dignitosa e in una grande città. Dopo essere stata umiliata dall’insegnate, che pur riconoscendone la bravura le nega il suo aiuto per proseguire gli studi -perché i làpponi sono una razza inferiore- e aggredita da un gruppo di ragazzi che le mozza un orecchio come i sámi fanno con le renne, Ella-Marja decide di scappare dall’istituto per trasferirsi a Uppsala. È solo l’inizio di un lungo cammino pieno di ostacoli, ma il suo desiderio di diventare una “svedese” sarà più forte di qualsiasi umiliazione.
Ripercorriamo l’origine e il messaggio del film attraverso le parole di Amanda Kernell.
I sámi
“Sono una sámi e nella mia famiglia ci sono molte persone, anche anziane, che disprezzano questa razza, sebbene anche loro vi appartengano. Sono cresciute madre lingua sámi, allevando renne, ma ora hanno cambiato i loro nomi, sono diventate persone diverse e non vogliono più avere niente a che fare con i sámi. Mi sono sempre chiesta che cosa sia accaduto e perché queste persone si siano trasformate in questo modo e come sia possibile tagliare tutte le radici con le proprie origini, con la propria famiglia e con la cultura da cui si proviene. Tuttavia so bene che le generazioni più vecchie sono cresciute in un’epoca in cui, in questi collegi per bambini sámi, si compivano studi sulla diversità biologica delle razze; per questo motivo in molti hanno cambiato la loro identità e se ne sono andati”.
Le ombre del colonialismo svedese
“La parte più oscura della storia del colonialismo svedese è ben nota alla comunità sámi, ma non è per niente conosciuta dalla comunità svedese e più in generale dal resto del mondo. Mi riferisco in particolare al fatto che la Svezia abbia creato il primo istituto statale al mondo di biologia razziale, che ha poi ispirato i tedeschi, ma nessuno conosce questa verità. Nei collegi la lingua sámi non era permessa, i bambini erano portati via dai loro genitori ed erano costretti a parlare svedese. Non sono solo cresciuta vivendo sulla mia pelle queste dinamiche, ho in seguito compiuto delle profonde ricerche sull’argomento, leggendo anche vecchi documenti di politici svedesi e dell’istituto statale di biologia razziale, intervistando gli anziani della mia e di altre famiglie sámi sulla frequenza scolastica a scuola, sulle scelte che hanno dovuto compiere e ascoltando anche aneddoti e punti di vista personali”.
Il messaggio di Sámi Blood
“Questo film non è una campagna di sensibilizzazione, ma un racconto che riguarda il processo di crescita personale nel difficile percorso di accettazione individuale e sociale. Sámi Blood, dal punto di vista della protagonista Elle Marja, è una dichiarazione d’amore sia per coloro che sono fuggiti sia per coloro che sono rimasti. Volevo fare un film attraverso cui poter vedere la società sámi dall’interno, un film attraverso cui sperimentare il capitolo più oscuro della storia coloniale svedese, nel modo più fisico possibile. Un film fatto di sangue e yoik [forma di canto della tradizione làppone]”.