Leggere Le Relazione Preziose – Il Settecento al Cinema: Rivoluzioni, Desideri, Libertà, è come compiere un lungo e bellissimo viaggio, di piacere e di conoscenza. Un viaggio nella Storia, un viaggio nell’Arte e, in particolare, nella Settima, il Cinema. Il libro, edito da Jimenez e scritto eccellentemente da Chiara Tartagni, inizia dal Mondo Nuovo ritratto da Giandomenico Tiepolo, passa per gli antenati del cinema e approda a tutto ciò che il Settecento rappresenta: non solo parrucche e merletti, ma anche rivoluzione e repressione, l’erompere del nuovo e la rivalsa della Storia, la libertà e le sue ombre, la razionalità e la passione. Un’epoca che rispecchia sempre il nostro presente, anche con il passare dei decenni. Legare il XVIII secolo alla contemporaneità ha appassionato tantissimi maestri assoluti del cinema: da Ettore Scola a Tony Richardson, da Robert Altman ad Aleksandr Sokurov, dai Fratelli Taviani ad Antonietta De Lillo, da Federico Fellini a Éric Rohmer, da Sofia Coppola ad un certo Stanley Kubrick, da Peter Greenaway a Miloš Forman e a Jean-Luc Godard. Oguno di loro ha frequentato, o anche solo sfiorato, il Settecento per mostrare le moderne dinamiche del potere, dei sentimenti e delle umane vicende. Con Le Relazioni Preziose (che “gioca” con il titolo Le Relazioni Pericolose, il film – ambientato nel ‘700 – diretto nel 1988 da Stephen Frears e tratto dall’omonimo romanzo di Choderlos de Laclos) Chiara Tartagni ci accompagna in un percorso di immagini che hanno sempre solidi racidi e profonde motivazioni: l’arte è sempre politica.
Intervista a Chiara Tartagni
Per approfondire le tematiche presenti nel libro ho deciso di intervistare l’autrice, Chiara Tartagni.
Chiara, dal primo all’ultimo capitolo, il tuo libro parte da “Un Mondo Nuovo”, dove citi un affresco di Giandomenico Tiepolo, e arriva a “Un Mondo Nostro”, dove si svela l’importanza del titolo, ovvero le “Relazioni Preziose”. Che lungo viaggio è il Settecento? Come si arriva da un mondo all’altro?
Io penso che il lungo viaggio sia quello dal Settecento alla contemporaneità. E vedo le relazioni fra il XVIII secolo e il cinema come una specie di stargate… un passaggio che ci indica come tutto iniziò allora e non sia ancora finito. Non è certamente un caso che dispositivi ottici antenati del cinema abbiano acquistato tanto valore proprio nel Settecento, né che uno in particolare si chiamasse proprio “mondo nuovo”. Ed è attraverso una nuova visione, ovvero l’occhio cinematografico, che possiamo ancora viaggiare dalla Storia fino a oggi.
Rivoluzioni, Desideri, Libertà. Com’è cambiato il modo di raccontare il Settecento al cinema nelle diverse epoche storiche che hai indagato? Quanto, per ogni regista, la Storia del Presente (nel farsi del film) ha influito la narrazione della Storia del Passato (e quindi del Settecento)?
Il Settecento è tornato al cinema in modo davvero significativo in determinati momenti storici: fra gli anni ’70 e ’80 del Novecento, in reazione al vento del cambiamento, e di nuovo nei primi anni Duemila, soprattutto dopo l’11 settembre 2001. Sono questi i periodi in cui le istanze settecentesche e la sua estetica hanno assunto il ruolo di filtro, diventando parte di un saggio per immagini. E poi c’è anche il Settecento decorativo, avventuroso, d’evasione, che incontriamo soprattutto nei floridi anni ’90.
Da Ettore Scola a Robert Altman, dai Fratelli Taviani a Federico Fellini, da Sofia Coppola a Miloš Forman, da Jean-Luc Godard a Stanley Kubrick. Solo per citarne alcuni. Perché portare il Settecento sul grande schermo accomuna tutti questi grandissimi cineasti?
Tutti questi grandi nomi hanno una cosa in comune: un’idea di progresso e di civiltà, con diverse sfumature per ciascuno, ma ben precisa. Ogni volta che raccontano una storia del XVIII secolo con l’arte come strumento di mediazione, sentiamo quell’epoca così vicina a noi da farci pensare “tutto questo potrebbe succedere ora, senza cambiare di una virgola”.
Marie Antoinette e le Converse Lilla, ovvero il film di Sofia Coppola, che tra l’altro ringrazio per avermi fatto scoprire, nella colonna sonora, i The Radio Dept. C’è uno scarto talmente grande ma talmente riuscito, sia nelle immagini che nella musica stessa, che ci fa capire come il cinema, quando vuole, possa scardinare ogni regola. Volevo un tuo commento su questo film, bello (non un capolavoro) e indimenticabile.
Per me Marie Antoinette è un caso a parte per tanti motivi. Innanzitutto perché alla prima visione l’ho odiato: non capivo cosa ci fosse di così interessante nelle distrazioni di una regina adolescente, o perché mancasse completamente la Rivoluzione Francese. Ma evidentemente mi era rimasto un dubbio… perché l’ho voluto rivedere qualche tempo dopo e sono rimasta folgorata. Mi è sembrato tutto perfetto: ritmo, musica, costumi, citazioni pittoriche. Proprio come dici tu, lo scarto temporale è enorme e allo stesso tempo perfetto. E il film si ferma giustamente prima della Rivoluzione: è proprio in quel momento che “muore” Maria Antonietta come giovane donna e nasce la regina. Ma a quel punto si ferma anche l’interesse di Sofia Coppola, che ci vuole invece raccontare un’età dell’innocenza estremamente moderna.
Alcune inquadrature/istantanee del Barry Lyndon di Stanley Kubrick sembrano dipinti su tela (ed è impossibile non ricordare la sequenza illuminata con le candele, come se la sua troupe fosse proprio nel Settecento, senza l’uso di luce artificiale). Il confine tra Pittura e Settima Arte sembra dissolversi. Tu cosa ne pensi?
Barry Lyndon è davvero una galleria in movimento… ma non solo. Nelle citazioni artistiche scelte da Stanley Kubrick si intravede non solo la proverbiale maniacalità del regista, ma soprattutto la sua visione della Storia come circolo vizioso che si ripete in eterno. Il confine fra cinema e pittura forse non era mai stato così labile, e proprio con l’obiettivo di raccontarci una frattura storica che Kubrick vede incarnata in Napoleone Bonaparte. Solo Rohmer con La nobildonna e il duca spingerà oltre questa ricerca.
A tal proposito di Arte E Cinema e di Arte Nel Cinema, volevo chiedere cosa ne pensi di un film più recente, femminile e femminista, ambientato nel Settecento, che parla di tanti temi presenti nel tuo libro: Ritratto Di Una Giovane In Fiamme. Io l’ho trovato bellissimo.
Concordo con te ed è la conferma di un ritorno d’interesse significativo e non “modaiolo” del cinema nei confronti del Settecento. È il secolo perfetto per chi desidera indagare il femminile, il sentimento, il valore dell’infanzia e della relazione amorosa: sono tutti temi che nel XVIII secolo acquistarono finalmente uno spazio cosciente. Fu proprio nel Settecento che le artiste iniziarono a imporsi ufficialmente, anche se sempre un passo indietro rispetto agli uomini. Nel film, che è di una delicatezza rara, le inquadrature e gli elementi scenici citano meravigliosamente pittori come Liotard, Chardin, David. E la sorpresa sta proprio nel vedere come il ritratto di Héloïse sia invece l’unica raffigurazione davvero moderna. Mi sembra di ritrovare ciò che differenzia un film d’intrattenimento da un saggio per immagini: la volontà di riflettere sullo sguardo e sui cambiamenti che può innescare.
“In arte qualsiasi cosa tu faccia è politica”. Questa citazione di Milos Forman apre di fatto il testo. Perché l’arte è politica?
Fellini dà una bellissima definizione: «se per politica si potesse intendere le possibilità di vivere insieme, di operare in una società di individui che abbiano rispetto per se stessi e che sappiano che la propria libertà finisce dove comincia la libertà degli altri, allora mi sembra che anche i miei film sono politici». L’arte, in quanto espressione creativa, esprime le sollecitazioni della società in cui nasce ma allo stesso tempo può anche contribuire a offrirne di nuove. E quindi seminare il cambiamento. Nulla è più politico di questo.
Arte e Cinema. Durante il lockdown cosa ti ha arricchito e rincuorato di più?
Mi ha fatto bene vedere grandi musei come l’Ermitage o il nostro Museo Egizio di Torino organizzare visite guidate online. O alcune cineteche mettere a disposizione di tutti il proprio patrimonio visivo. Ed è stata una reazione quasi immediata, il che mi ha stupita e mi ha fatto pensare che alla fin fine restiamo animali sociali. Non mi sono mai sentita sola e questa “compagnia” ha creato un sottofondo molto rassicurante per le mie attività e i miei pensieri.
Tra tutti i film che hai descritto e citato nel libro, qual è quello che ti è rimasto più impresso e che ogni tanto rivedi?
Potrei recitare Amadeus parola per parola. È il film da cui è nato tutto e, nonostante non sia forse quello artisticamente più significativo, resterà sempre con me. Fra quelli analizzati in modo più specifico, direi sicuramente Marie Antoinette, forse perché ho dovuto riguardarlo con occhi diversi.
Chiara, questo Nostro Mondo, aldilà della pandemia che ci ha messo (ulteriormente) in ginocchio, sembrano dominare le Relazioni Pericolose. Siamo ancora più fragili, ma dobbiamo combattere con ancora più forza. In questo scenario, quali sono per te le Relazioni Preziose?
Per me le relazioni preziose restano quelle fra gli esseri umani, fra mente e mente. E non ha importanza attraverso quale strumento si esprimano. Molti sono convinti che i social media siano il problema, ma la verità è che sono solo mezzi di comunicazione, che ci danno purtroppo l’illusione di non avere la responsabilità di ciò che diciamo. Ogni volta che scriviamo non vediamo una persona dall’altra parte, ma uno schermo. È la nostra scarsa abitudine a empatizzare che rende la relazione davvero pericolosa. Credo che dovremmo ripartire da qui e non dare la colpa a innovazioni tecnologiche che sono invece immense opportunità: e proprio questo periodo storico ce lo sta dimostrando.
Intervista di Giacomo Aricò