Dopo essere stato presentato lo scorso anno alla Festa del Cinema di Roma, dal 27 settembre sarà nelle sale Mio Figlio, il thriller ad alta tensione diretto da Christian Carion interpretato da Guillaume Canet, Mélanie Laurent e con Olivier De Benoist, Antoine Hamel e Mohamed Brikat.
Julien (Guillaume Canet) è sempre in viaggio per lavoro e la continua assenza da casa ha mandato in frantumi il suo matrimonio. Mentre si trova in Francia riceve un’inquietante chiamata dalla sua ex moglie: Mathys (Lino Papa), il loro bambino di sette anni, è scomparso. Si mette allora sulle sue tracce, pronto a percorrere anche il più oscuro dei sentieri pur di salvare suo figlio.
Christian Carion si affida al talento creativo del suo attore di sempre, Guillaume Canet, che, in soli sei giorni di riprese e senza l’ausilio della sceneggiatura, riesce a delineare il ritratto di un uomo fuori controllo, un padre spinto ai limiti estremi della violenza, creando un potente thriller familiare.
Per addentrarci nelle trame del film, vi proponiamo un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Christian Carion.
Cosa ti ha fatto scegliere il «meccanismo» cinematografico del film?
Mi è venuto in mente parlando con Guillaume Canet col quale volevo fare il film da molto tempo. Era molto entusiasta dell’idea. Nel frattempo era anche diventato papà, come me, cosa molto importante. È stato tutto deciso in pochi secondi mentre discutevo del film con lui. Gli ho detto: «Guillaume, voglio seguire una semplice idea fino alla fine. Il tuo personaggio è un uomo assente che è sempre in viaggio. Torna a casa e scopre delle cose che non sapeva. Immaginiamo una situazione nella quale tu come attore scopriresti gradualmente la verità senza conoscere la sceneggiatura. Saresti disposto a rischiare?». Ho visto che l’attore che è in Guillaume Canet era assolutamente eccitato all’idea di vivere un’esperienza simile. Ne abbiamo riparlato e abbiamo deciso che non volevamo solo un protagonista che non conoscesse la sceneggiatura, ma anche una ripresa in tempo reale o quasi. Affidare tutto al momento.
Esistono dei punti oscuri nel film, in particolare sulle ragioni del rapimento. È intenzionale?
Non c’era alcun punto oscuro nella sceneggiatura. La spiegazione era nella scena della tortura nel garage. Ma visto che abbiamo deciso di non fare alcuna prova, Guillaume non sapeva che l’attore di fronte a lui era lì per dargli quell’informazione. Alla fine della scena, quando Guillaume afferra la catena per colpirlo, per me, era un’esecuzione. Ma non gli ho chiesto io di farlo. Non sapevo cosa avrebbe fatto e nemmeno l’attore che era stato legato lo sapeva. Guillaume è tornato indietro e giuro che la catena ha mancato la testa dell’attore per un millimetro. Guillaume è stato preso dal furore del momento e l’altro attore non ha avuto la possibilità di dargli quell’informazione. Adesso penso che sia stato meglio così: è molto più spaventoso non sapere esattamente perché tuo figlio è stato rapito. Secondo alcuni c’era di mezzo il traffico di esseri umani, per altri no. Non importa. Un mio amico mi ha detto: è soprattutto la storia di un uomo che diventa padre». Non ci avevo pensato ma è esattamente così.
Devi essere molto ansioso di mostrare Mio Figlio, un nuovo genere…
Sì, è vero. Non conosco alcun regista che non desideri mostrare il proprio lavoro al pubblico. Per me Mio Figlio è un film di genere. E allo stesso tempo è la prima volta che non ho una vera storia da sostenere. Questo film mi ha concesso una libertà e un piacere nel giocare con i codici del genere mai provati. Una delle mie più grandi preoccupazioni era che il pubblico avrebbe capito tutto prima della fine. E ho provato a scartare questa ipotesi. Giocando appunto! Mio Figlio ha rappresentato per me la gioia di tornare ai miei primi desideri cinematografici senza dovermi attenere alle regole del plot, senza che ci fossero piani iniziali. Ed è stato divertentissimo!