Uno strepitoso Omar Sy è il protagonista di Mister Chocolat, il film – da domani al cinema – diretto da Roschdy Zem sulla straordinaria vera storia di un artista eccezionale. Ad affiancare Sy è un altrettanto bravo James Thierrée.
Dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, l’incredibile destino del clown Chocolat (Omar Sy), il primo artista nero in Francia. Il duo, senza precedenti, formato insieme a Footit (James Thierrée), divenne molto popolare nella Parigi della Belle Époque, fino a quando questioni legate al denaro, al gioco d’azzardo e alla discriminazione razziale compromisero l’amicizia e la carriera di Chocolat.
Vi proponiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Roschdy Zem.
Conosceva già la storia di Footit e Chocolat?
No, l’ho scoperta leggendo la sceneggiatura. Quando Nicolas ed Eric Altmayer mi hanno proposto questo progetto, la sceneggiatura era già a buon punto con tutti i personaggi definiti e un soggetto sviluppato in modo interessante. E’ raro trovare un’idea originale in Francia, come forse altrove. Il merito va a Eric e Nicolas.
Cos’è che l’ha entusiasmata di questo progetto?
È stata la convergenza di diversi fattori: da un lato, la prospettiva di girare un film ambientato nella Parigi di inizio secolo in tutta la sua grandiosità; dall’altro il fatto di essere una storia incentrata sull’amicizia tra due uomini e il personaggio di Chocolat, un epicureo che vive la vita al massimo senza dimenticare il suo passato di schiavo. Egli sfrutta le opportunità che gli si presentano e diventa una grande star. La positività del personaggio ci ha permesso di affrontare l’aspetto del colonialismo francese senza calcare troppo la mano sull’argomento con eccessivo pathos e questo è stato un fattore essenziale per me.
Questo è il suo primo film in costume. Come ha stabilito l’estetica del film? Ha fatto riferimento a qualche film?
A diversi; insieme al nostro costumista Pascaline Chavanne, lo scenografo Jérémie Duchier, il direttore della fotografia Thomas Letellier abbiamo guardato molti film. Ho tratto ispirazione da diverse sequenze de La Vie En Rose (di Olivier Dahan) e Barry Lyndon (di Stanley Kubrick) è stato un punto di riferimento per il trattamento delle immagini. L’estetica e lo stile sono fondamentali per questo genere di film.
Qual è stato il tuo approccio con Omar e James quando recitano insieme?
Ho subito capito che avevano un rapporto reale, vero. James è più esperto del mondo circense. È molto esigente con se stesso, a volte persino autoritario. Quando durante le prove vedevo un sorriso sui volti dei tecnici, sapevo che avevamo qualcosa di buono. Omar si è preparato molto per interpretare il suo personaggio. Poi si è lasciato andare, la sua postura e la sua voce sono cambiati, è stato il risultato di tutto il lavoro di preparazione precedente. Quanto a James, potevo sentire la sua “follia”, il suo essere sempre in perpetua ricerca. Il mio unico timore era che la magia svanisse, ma non è mai accaduto.
Cosa ha imparato da questo film?
Ad osare! I limiti finanziari, il tempo a disposizione, cerco di non avere rimpianti. Al mio primo film non ero molto audace. Ho iniziato con il secondo e continuato con il terzo, osare è diventato un mio leitmotiv. Ogni mattina mi sono chiesto: “Come posso migliorare la scena di oggi? Quale valore aggiunto? Come posso superare la sceneggiatura?” Ma ho anche imparato molto come attore, su come affrontare un ruolo. Come Frédéric Pierrot che, come gli altri ruoli non protagonisti, è stato sempre coinvolto pur non essendo al centro del film. Per non parlare di James e Omar che sono stati sempre concentrati sui loro personaggi anche a telecamera spenta, manifestando il loro costante desiderio di superare se stessi.
Cosa vuole comunicare al pubblico con questo film?
La storia di due persone che si incontrano, formano una coppia e creano qualcosa insieme e poi si separano. L’emancipazione di un uomo – Chocolat – che scopre la vita, diventa una persona più riflessiva e meno servile e remissiva. La storia di una Francia dove Chocolat viene dimenticato senza alcuna colpa. E non è l’unico. Parlare di lui ci aiuta a conoscere meglio il nostro passato ed ho sempre pensato che fosse essenziale per vivere meglio il presente.
Cosa l’ha commossa del destino di Chocolat?
L’analogia tra il percorso di Chocolat, quello di Omar e il mio. Omar è un grande attore e molto generoso e si merita il successo che sta avendo. Ma la nostra generazione è cresciuta senza mai vedere il figlio di un immigrato guadagnare come una star. Per quasi 20 anni, mi sono aspettato che qualcuno mi dicesse: “Ehi! Che stai facendo lì? Tu non appartieni a questo mondo” e sapevo che avrei risposto “mi scuso, mi hanno detto che potevo ma me ne vado subito“. Oggi quel senso di inappropriatezza è svanito. Ma scoprire che un secolo fa un artista di colore ha avuto tanto successo mi commuove e al contempo mi rattrista perché non ne è rimasto nulla! Forse questo film cambierà le cose. Fa riflettere sul proprio percorso. Cosa resterà di quello che abbiamo fatto?
EXTRA – Omar Sy racconta Mister Chocolat
Come vede il rapporto tra Footit e Chocolat?
Ciascuno nella propria bolla. Un duo è un po’ come una storia d’amore ma a livello artistico. Solitamente è amore a prima vista, capisci che con quella persona potrai condividere le cose e migliorare reciprocamente. Mi sono rifatto alla mia esperienza per immaginare il rapporto tra Footit e Chocolat; so che le relazioni possono essere favolose sul palco ma più complicate nella vita reale perché si tratta di due mondi separati. Footit e Chocolat occupavano posti diversi nella società pur crescendo insieme, ma per portare avanti un rapporto di amicizia è necessario essere in condizioni di parità. Footit considera Chocolat un suo pari sulla pista del circo ma non all’esterno.
Dietro la maschera da clown di Chocolat, c’è l’uomo Rafaël Padilla. Come lo immagina?
Come un bambino cresciuto che ha bisogno di divertirsi. Deve essere stato un fardello pesante da portare l’essere nato figlio di uno schiavo ed esserlo stato anche lui. Anche se non sei più uno schiavo, non ti senti mai libero veramente. Mi sono chiesto cosa significasse vivere questa condizione di non completa libertà. Eppure Chocolat ci riuscì ed è segno di grande forza, ha trovato la libertà nella recitazione, nella risata e nel divertimento. I momenti di gloria devono essere stati i più duri. Mi immagino una vita a forma di montagne russe: momenti straordinari seguiti da periodi di solitudine. Francamente credo che se è finito per strada, potrebbe essere stato anche perché inconsciamente era quello che voleva.