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Radu Mihaileanu porta al cinema La Storia dell’Amore di Nicole Krauss

Derek Jacobi e Sophie Nélisse sono i protagonisti de La Storia dell’Amore, il film – al cinema dal 31 agosto – di Radu Mihaileanu che ha adattato per il grande schermo l’omonimo romanzo bestseller di Nicole Krauss. Nel cast ci sono anche Gemma Arterton e Elliott Gould.


C’era una volta un ragazzo, Léon (Derek Jacobi), che amava una ragazza, Alma (Sophie Nélisse). Le aveva promesso che l’avrebbe fatta ridere per tutta la vita, ma la guerra li ha separati. Da un paesino della Polonia negli anni Trenta alla New York dei giorni nostri ripercorriamo la straordinaria storia d’amore tra Léo, l’uomo che è sopravvissuto a tutto e Alma, la donna più amata del mondo. Oggi un’altra Alma, adolescente newyorchese e contagiata dallo stesso virus meraviglioso dell’amore, vuole essere la donna più amata del mondo. Sembra che niente leghi Léo alla giovane Alma ma…L’amore attraverserà il tempo e i continenti per unire i loro destini.

Vi presentiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Radu Mihaileanu.

Come mai un film sull’amore?

Ho sempre fatto dei film militanti: Ceausescu e il virus della dittatura ancora mi perseguitano malgrado la mia sensazione di libertà. Allora perché La storia dell’amore? Sono convinto che la crisi più grave e profonda che l’umanità sta attraversando – da cui derivano tutte le altre – sia l’incapacità di amare l’altro. Viviamo in un’epoca in cui l’amore di sé prevale sulla gioia e la gratificazione di fare del bene all’altro, di credere nell’altro. A volte l’amore sembra superato, noioso, “conservatore”. Mi è piaciuto molto parteggiare per questi dinosauri utopisti che si battono per il sentimento amoroso, per l’amore che aiuta a sopravvivere a tutto.

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Cosa pensa del romanzo di Nicole Krauss?

Lo avevo letto tre anni prima e mi era piaciuto moltissimo, ma l’idea di farne un adattamento non mi aveva neppure sfiorato, anche se la materia era piuttosto vicina al mio mondo. Così l’ho riletto, cercando di prestare più attenzione alla narrazione complessa, destrutturata e molto letteraria, che tra l’altro solleva interrogativi interessanti a proposito del linguaggio cinematografico. La lettura mi ha nuovamente entusiasmato, ma mi sono concesso una pausa di riflessione: quello che mi sembrava importante era capire come entrare dentro la storia e articolare il racconto, dal momento che ci sono due, anzi tre, storie parallele. E come tradurre il libro in termini cinematografici, senza intaccarne l’identità e la forza.

Ci parli dell’albero.

Volevo trovare un albero maestoso, l’Albero dell’Amore, con radici forti e profonde. L’origine di ogni cosa. Mi sono detto che la storia, l’enigma, doveva partire da lì. Un bacio, quell’albero e un villaggio dove tutto ha inizio. Questa chiave ci ha aperto tutte le altre porte. Abbiamo semplificato la decostruzione, organizzandola in modo diverso. Per il personaggio di Léo abbiamo scelto il principio di inversione: prima l’effetto – le conseguenze – poi la causa. Dopodiché abbiamo strutturato l’altro destino, quello della giovane adolescente, in senso cronologico. Di colpo, le due traiettorie hanno cominciato a svilupparsi al contrario: una si scriveva da sinistra a destra, e l’altra da destra a sinistra. Siamo convinti che oggi, grazie alle serie tv, il pubblico sia in grado di confrontarsi con narrazioni più complesse e che sia abituato a non capire tutto subito. Questa “decostruzione organizzata” e questo incrocio di cronologie, quindi, mi sembrava possibile.

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Quali sono i temi e le metafore della storia?

Il libro mi ha affascinato soprattutto per il suo linguaggio e per alcuni temi che mi stanno molto a cuore e in cui mi riconosco: oltre all’umorismo e all’identità, c’erano la sopravvivenza e l’idea della dignità umana. In altre parole, il film pone la questione di come rimettersi in piedi quando la Storia collettiva e la storia individuale ci hanno quasi completamente annientato. Di qui il tema del diluvio che tocca tutti i personaggi del film, anche i più leggeri e i più buffi, nel senso di “tragedia assoluta”. È un tema che ho sviluppato in chiave metaforica: torna di tanto in tanto, accompagnato dal suo tema musicale (partitura per ottoni): un tuono che squarcia la vita, per consentirle di rinascere più forte e migliore. Il diluvio è intimamente legato al tema della sopravvivenza. D’altronde, uno dei personaggi principali è colui che è sopravvissuto a qualsiasi cosa. Somiglia a mio padre, che a 95 anni ha affrontato di tutto: l’estrema destra rumena del periodo anteguerra, il nazismo, il campo di concentramento, lo stalinismo, Ceausescu, l’immigrazione… Come il personaggio di Léo, che ha questa grande capacità di rinascere grazie all’amore, mio padre è animato dall’amore per la gente e per la vita. È capace dei gesti più folli e delle battute più divertenti, perché ha toccato il fondo ed è sempre stato salvato dall’ironia e dall’amore per gli altri. È abitato dalla tragedia ma possiede questi due straordinari antidoti che lo salvano dalle acque in tempesta.

Il personaggio del lamed vovnik è associato alla figura del Messia ed è uno dei 36 saggi che portano la Terra sulle loro spalle. Poiché la mitologia ebraica poggia sull’attesa del Messia, quello che conta è attendere, non che arrivi: è possibile migliorarsi ogni giorno, aspettando questo incontro rimandato all’infinito. Nel film, è un bambino che pensa di essere il salvatore del mondo, e di portare il mondo sulle sue spalle. È triste, tenero e buffo, come la nostra epoca.

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La trasmissione dei sentimenti, della storia, della conoscenza è un tema molto forte che, nel film, passa per la scrittura. Viene evocata la forza misteriosa della scrittura e della finzione che arricchisce la realtà. All’inizio, nel suo paesino della Polonia, Léo scrive un libro come una lunga dichiarazione d’amore. Questo libro si perde e dopo aver fatto il giro del mondo arriva in una famiglia di Brooklyn: la figlia ha ereditato il nome dal personaggio dell’innamorata e sogna di diventare anche lei “la donna più amata del mondo”. Nell’epoca di Facebook, in cui un like è più naturale dell’amore, la giovane Alma porta nel suo dna il sogno di un amore autentico e utopico, come Lèo. Alma lotta contro l’amore, rifiutandolo, ma il suo dna è tenace. Mi piace l’idea di questa eredità e di questa trasmissione. Mi piace il fatto che il legame tra due generazioni, due continenti e due epoche sia rappresentato dalla scrittura, dalla finzione, più forte della realtà.

Ma c’era anche un tema nuovo per me, che il libro affronta con grande delicatezza: la promessa. Tutte le traiettorie di questi destini sono il frutto di promesse. La parola data guida le loro vite. Léo promette di sopravvivere, di non amare mai più un’altra donna e di far ridere Alma per tutta la vita. E mantiene la promessa. Oggi siamo capaci di promettere a qualcuno e a noi stessi l’impossibile? Anche la giovane Alma non si arrende: ha promesso a se stessa che conoscerà il grande amore e che sarà la donna più amata del mondo, anche se finge di respingere il sentimento che prova per un altro ragazzo.

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Il film parla anche di come evolvono i rapporti familiari quando interviene una rottura o un cambiamento. Per quanto riguarda Léo, la colpa è della guerra: gli ha portato via la sua amata, gli ha strappato la sua famiglia con l’olocausto e ha cancellato le sue origini con l’immigrazione. Ma lui saprà ricrearsi una nuova “famiglia” con l’amico Bruno e con la giovanissima Alma. E poi c’è la famiglia della giovane Alma, che ha rischiato di essere distrutta dal “diluvio” della morte del padre. Il rapporto trauggere la sua famiglia. Il rapporto tra madre e figli è conflittuale, ma al tempo stesso molto forte: ce ne rendiamo conto quando si verifica un altro “diluvio” e il figlio vuole andarsene. È in quel momento che la famiglia si risveglia. I loro legami, le loro radici si riscoprono più forti che mai.

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