Per il Giorno della Memoria, giovedì 24 gennaio – distribuito da Lab 80 Film – esce nelle sale italiane I Bambini di Rue Saint-Maur 209 di Ruth Zylberman. Il film documentario della storica e regista francese, autrice di numerosi lavori sulla persecuzione nazista e sulla memoria delle vittime della Shoah, ruota tutto intorno ad un edificio di Parigi, quello di Rue Saint-Maur 209.
Il documentario
Rue Saint-Maur 209. Lì, un tempo, viveva una folta comunità di ebrei. La regista ha rintracciato alcuni dei vecchi inquilini della casa, che a suo tempo hanno dovuto abbandonarla a causa della persecuzione nazista. Ex bambini, quelli di Rue Saint-Maur 209, che Zylberman ha ritrovato ormai vecchi in giro per il mondo: a Parigi, New York, Tel Aviv, Melbourne. E che, ripresi insieme all’edificio che rappresenta la loro infanzia, divengono una sorta di unico organismo vivente portatore di memoria, capace di raccontare e far comprendere cosa resta delle vite di un tempo, brutalmente “interrotte”.
Lasciamo ora spazio all’intervista rilasciata dalla regista Ruth Zylberman.
Perché ha deciso di indagare il passato, il periodo della guerra, attraverso un edificio del 10 arrondissement?
Avevo da molto tempo il desiderio di tracciare la storia di un edificio attraverso il tempo. In origine il mio progetto abbracciava un arco temporale assai più vasto ma durante la scrittura il periodo dell’occupazione nazista si è preso lo spazio centrale. Quando la guerra crea rotture, le relazioni fra vicini non si limitano più alla sfera dell’intimo. L’edificio si è allora trasformato in rifugio per alcuni, in trappola per altri, e mi sembrava che il modo di essere molteplice di questa casa permettesse di rendere conto di qualcosa di essenziale su questo periodo.
Perché questo edificio?
Ho scelto a caso, anche se monitoravo da tempo le strade del Nord-Est di Parigi, antiche terre di immigrazione per molti ebrei dell’Europa centrale. Fu scoprendo il censimento del 1936 che mi sono accorta che un terzo dei 300 abitanti del 209 erano ebrei! Dei 52 deportati, nove erano bambini. Col suo cortile e i suoi quattro blocchi, questo edificio permetteva inoltre di moltiplicare i punti di vista e di fare spazio al presente. Il rigore storico era uno dei problemi di questo film ma il nodo estetico è del tutto cruciale per dare forma viva ed ascoltabile a quanto questi testimoni hanno da dirci.
Come ha trovato questi “vecchi” bambini del 209 di Rue Saint-Maur?
È stato un lavoro che mi ha preso molti anni e nel quale sono stata magnificamente accompagnata. I consigli i e le discussioni con Claire Zalc, specialista di microstoria sulla Shoah, sono stati essenziali, così come l’aiuto di un altro storico, Alexandre Doulut. Una volta rintracciati gli antichi affittuari, mi sono trasformata in una vera detective privata per ritrovarli in Francia e nei quattro angoli del mondo.
Che cosa vuole condividere con questo film?
Il film parla della guerra, dell’arresto e poi della deportazione degli ebrei, spesso stranieri, che avevano fatto della Francia la loro nuova patria, ma parla anche del cammino possibile per far riemergere ciò che si credeva scomparso. I suoni, gli odori, gli oggetti familiari dei luoghi dove abbiamo vissuto impregnano la nostra memoria. Per quelli la cui condizione di sopravvivenza è stata di nascondere ciò che ha spezzato la loro vita, una rampa di scale, il pavimento di un cortile, un corridoio o una finestra sono tante piccole pietre verso un passato ritrovato che, anche se in forma frammentata, essi saranno capaci di trasmettere.