Catherine Frot e Christian Clavier sono i protagonisti di Un Figlio All’Improvviso, il film tratto da Momo, la pièce teatrale di Sébastien Thiéry che qui ha fatto il suo esordio da regista, supportato da Vincent Lobelle. Lo stesso Sébastien Thiéry è tra gli interpreti di questa commedia che uscirà al cinema il prossimo 20 settembre.
Una sera, rientrando a casa, il signor e la signora Prioux (Christian Clavier e Catherine Frot) scoprono con costernazione che un tale Patrick (Sébastien Thiéry) si è sistemato nel loro appartamento. Il bizzarro giovane si presenta come loro figlio, deciso a presentare loro la sua compagna. I coniugi Prioux, che non hanno mai avuto figli, cadono dalle nuvole. Tanto più che ogni dettaglio sembra avvalorare la tesi che Patrick sia realmente il loro figlio. Forse il ragazzo è un mitomane? O è un manipolatore? O la coppia ha dimenticato di avere un figlio? O magari è frutto di una scappatella?
Vi riportiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dall’autore/regista/interprete della storia, Sébastien Thiéry.
Prima di parlare del film, spendiamo qualche parola sulla sua origine, ossia la sua pièce «Momo» proposta al pubblico nel 2015. Qual era la sua intenzione come autore quando l’ha concepita?
Scrivo sempre senza pormi troppe domande, partendo da una situazione. Nel caso di «Momo», ho immaginato una coppia senza figli che un bel giorno vede arrivare a casa propria un tizio che afferma di essere figlio loro e li riconosce come i propri genitori. Partendo da questa idea, mi sono entusiasmato e ho sviluppato tutta una storia fondandola su alcune tematiche che si sono imposte quasi mio malgrado: la maternità e anche l’handicap benché in misura minore. Sono dunque partito da una circostanza assurda in cui casualmente si trovano delle persone «normali».
Il successo di «Momo» in teatro, a Parigi e poi in provincia, l’ha sorpresa? Siamo lontani dal semplice théâtre de boulevard…
È vero che il mio stile traspare in ognuna delle mie pièce e che prende a prestito sia le regole della commedia sia quelle dell’assurdo. È per questo che, per esempio, all’inizio mi sono posto la domanda se «Momo» potesse essere adattato per il grande schermo. E a proposito del successo che ha riscosso in teatro, malgrado colga sempre un autore di sorpresa, ero consapevole di aver scritto un’opera che avrebbe riscosso abbastanza consenso. Il filone principale della pièce traccia il ritratto di una donna che non ha figli, che è disposta a tutto pur di adottarne uno suo malgrado. Nessuno, donna o uomo che sia, può restare indifferente di fronte a un personaggio del genere: ciascuno di noi ha problemi relazionali con il proprio padre e la propria madre! Quesiti come «cosa giustifica il fatto che questo individuo sia o meno mio figlio?», «Siamo costretti ad amare i nostri figli?», «Possiamo amare un figlio che non è il nostro?». Sono interrogativi antichi come il mondo e fondamentali nella costruzione di un essere umano e dunque, sì, avevo la sensazione di rivolgermi a un pubblico molto vasto.
È il motivo per cui «Momo», che è la sua nona opera teatrale, è diventato il suo primo film?
È probabile, ma non è stata una mia iniziativa! Olivier Delbosc, il produttore della pellicola, è venuto a vedere la pièce in teatro, è rimasto toccato, si è reso conto dell’impatto che ha avuto sul pubblico e ha quindi acquisito i diritti per fare la versione cinematografica. A me personalmente non sarebbe mai venuto in mente! Sono 15 anni che scrivo opere teatrali che funzionano molto bene. Quando mi hanno proposto una nuova avventura in un mondo che non conoscevo mi sono lanciato. Se il film piacerà, considererò l’esperienza come un cancello aperto verso un altro modo di raccontare una storia. È davvero entusiasmante avere la possibilità di esprimersi in modo diverso.
Per quanto riguarda la scrittura, come ha affrontato l’adattamento cinematografico della pièce?
Il lavoro principale è consistito nello sviluppare un racconto a partire da quello dell’opera teatrale. Tutto sommato, lo svolgimento dell’intreccio è lo stesso, tranne il fatto che in teatro si svolge in un unico luogo e prevalentemente attraverso il testo. Per trasformarlo in una sceneggiatura, è stato necessario aggiungere dei personaggi e trovare degli ambienti. Ho provato una grande libertà nel farlo. Anche se adoro scrivere i dialoghi, mi sono reso conto, per esempio, che una scena di dieci pagine di un testo teatrale può facilmente ridursi a qualche battuta di dialogo filmico, dal momento che intervengono altri elementi ad animarla. L’esperienza di Momo è stata alquanto piacevole e mi ha permesso di imparare molte cose, ma mi sono reso conto che c’è gente più qualificata di me per fare un film. Io non sono uno che inventa delle storie attraverso le immagini: sarò sempre in grado di crearle partendo innanzitutto da una situazione e dei dialoghi. Se Momo andrà bene in sala, mi porrò la domanda dell’eventualità di scrivere di nuovo qualcosa per il cinema.