Richard Gere veste i panni di un senzatetto newyorkese in Gli Invisibili, il film – da oggi al cinema – scritto e diretto da Oren Moverman. Oltre a Gere, che ha fortemente voluto (e prodotto) questa storia, la pellicola vede all’opera Ben Vereen, Jelena Malone e Steve Buscemi.
La vita di George (Richard Gere) sembra non avere più senso. Non avendo niente a cui aggrapparsi, vaga per le strade di una New York indifferente. Senza nessuno che lo ospiti, cerca rifugio al Bellevue Hospital, il maggior centro di accoglienza per senzatetto di Manhattan. L’ambiente del centro è duro e pieno di persone sole che vivono nella miseria. Ma quando George fa amicizia con un veterano del centro (Ben Vereen), comincerà a riacquistare la speranza di poter ricostruire la propria vita.
Gli Invisibili è un vero tour de force per Richard Gere, un attore conosciuto per aver interpretato quasi sempre personaggi raffinati e sicuri di sé. In questo film invece è quasi irriconoscibile nei panni di un uomo che si trova in circostanze terribili, nella situazione di chi ha perso tutto. La macchina da presa segue, spesso da lontano, George che passa da una situazione all’altra, praticamente invisibile agli occhi dei newyorkesi che gli passano accanto.
Ancora una volta lo sceneggiatore e regista Oren Moverman ha dimostrato una grande capacità di individuare e di mostrare la poesia che può esserci anche nel dolore. Da un punto di vista stilistico Gli Invisibili rappresenta un cambiamento. Moverman aveva già diretto Rampart e il film candidato all’Oscar The Messenger. Mentre in Rampart la macchina da presa era aggressiva, inquieta, in costante movimento, in questo film Moverman dimostra un atteggiamento più delicato, da osservatore, lasciando alla cacofonia di New York — ai suoi rumori, alle conversazioni — di intromettersi quasi in ogni sequenza.
Questo approccio più flessibile consente di suscitare empatia nei confronti del protagonista: “è davvero una questione di prospettiva – spiega Moverman – il punto è cosa scegli di ascoltare”. Specialmente a New York, molte persone vivono la loro vita nello stesso momento. E ci sono situazioni drammatiche a diversi livelli: “la tazza di caffè buttata via da qualcuno è per qualcun altro cibo tirato fuori dalla spazzatura. A New York puoi sperimentare e vedere le cose da prospettive molto diverse, se solo ne hai voglia”.
Come per The Messenger e Rampart, in un certo senso basati su eventi reali, anche in questo film Moverman ha voluto parlare con persone che hanno davvero vissuto l’esperienza del protagonista: “volevo sapere come fossero, come ci si sentisse – continua Moverman – insieme a Richard Gere ho visitato insieme un sacco di ricoveri per senzatetto e abbiamo parlato con chi gravita attorno a quei luoghi, con i custodi, i clienti, la gente che lavora per chi non ha più una casa”. Gli ingredienti principali di questo film sono l’empatia e la compassione: “per tutti noi si trattava di aspetti fondamentali, c’è voluto l’impegno di tutta la squadra per raccontare questa storia semplice in modo da darle spessore e complessità”.
Quella di George è la storia di una di quelle persone delle quali di solito nessuno si accorge, il tipo sulla strada che chiede l’elemosina. E, come si vede nel film, “è qualcuno a cui non presti attenzione quando vivi a New York perché, per diverse ragioni, ognuno di noi è chiuso nel suo dramma personale”. Obiettivo del regista è catturare l’attenzione del pubblico: “prestare attenzione significa già dimostrare compassione, dimostrare quella sensibilità che ci impedisce di voltare la testa per non vedere”.
L’auspicio è che lo spettatore, trascorrendo un po’ di tempo in compagnia del protagonista, possa commuoversi, arrivando a cambiare il modo di vedere i senzatetto. Gli Invisibili è un film incentrato sull’osservazione: “è un po’ come vivere un’esperienza, il film ti permette di accompagnare per un po’ di tempo un uomo con il quale altrimenti potresti non avere mai un contatto, a meno che non ti trovassi nella stessa sua situazione”.
“Non ci sono cattivi in questa storia. E non ci sono buoni. Ci sono solo esseri umani”.
Oren Moverman