Ispirato a una storia vera che arriva dal passato recente dei Balcani, giovedì 13 maggio arriva nelle sale Stitches – Un Legame Privato, il film scritto da Elma Tataragić e diretto da Miroslav Terzić. Presentata in anteprima nella sezione Panorama della 69° Berlinale, dove ha vinto l’Europa Cinemas Label, la pellicola scava nelle emozioni fino alla speranza, raccontando la storia di una donna tenace che diventa un’eroina moderna, in lotta contro tutto e tutti per inseguire la verità mettendosi sulle tracce del figlio scomparso.
Il film
Ispirato ad una storia vera, Stitches – Un Legame Privato racconta di Ana (Snezana Bogdanovic), una sarta di Belgrado da anni alla ricerca del figlio, scomparso alla nascita. Tutti intorno a lei hanno abbandonato le speranze, ma un giorno Ana vive una svolta inattesa grazie a una donna che potrebbe spezzare il silenzio, aiutandola a scoprire la verità. Ana è un’eroina moderna una donna tenace, in lotta contro le istituzioni e la burocrazia.
La sceneggiatura è ispirata alla testimonianza di una sarta di Belgrado che ha cercato per quasi vent’anni tracce di suo figlio, dichiarato morto subito dopo la nascita. Qualche giorno dopo il parto, l’ostetrica le aveva comunicato la morte prematura del neonato, senza però restituirle il corpo del bambino e senza mai indicarle il luogo della sepoltura. La donna ha così combattuto contro l’ospedale, i medici, la polizia, i tribunali e i pubblici ufficiali per ottenere un certificato di morte autenticato, che indicasse dove trovare il corpo del suo bambino. Nel corso di questa lunga battaglia la donna ha scoperto numerose irregolarità tra le carte dell’ospedale, rinvenendo documenti ufficiali del comune che hanno confermato i suoi sospetti sul fatto che il suo bimbo non era veramente morto. Dopo quasi vent’anni, è riuscita finalmente a scoprire la verità.
Miroslav Terzić racconta…
“Sono diventato padre per la prima volta nel 2001. Lo stesso anno, poco prima dell’evento più importante della mia vita, sono a venuto a sapere della storia dei rapimenti di neonati negli ospedali. La vicenda delle loro vendite; i falsi certificati di morte; le menzogne alle madri; le famiglie rovinate. Ho cominciato ad avere paura per quel figlio che stava per nascere, non solo per le domande più naturali (andrà tutto bene?), quanto piuttosto per il rischio di scontrarci con una realtà tanto assurda e tragica. Deciso a combattere questa battaglia, ho cominciato a scavare, ad esaminare archivi e a cercare testimoni che avessero la forza di dirmi qualcosa; sono argomenti che non trovano posto sui giornali, che sembrano invenzioni, più che realtà. Ma era tutto vero? Forse si“.
“Negli archivi di “Politika” (il giornale più autorevole e popolare in Serbia) ho trovato dozzine di articoli sui rapimenti di neonati. Tutti i casi seguono lo stesso schema. Il piccolo nasce. La madre, stremata, viene sedata. Al suo risveglio, le viene detto che il suo piccolo è morto. Le sconsigliano di vederne il corpo, perché viene trattato come un rifiuto sanitario e la sua vista potrebbe essere scioccante. Le autopsie sono incomplete e mancano firme. Si falsificano i certificati di morte. Tutta la documentazione è contradittoria o incompleta. Nessuno dei casi è mai stato risolto. La maggior parte di essi sono capitati tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, all’ alba della guerra che avrebbe lacerato la Jugoslavia. Ho creduto che questi fatti rappresentassero la prova finale di quella nostra decadenza morale e umana dalla quale non ci siamo ancora ripresi“.
“Qualche anno fa ho incontrato Drinka Radonjic. Era la sarta di una mia zia. Dopo vent’anni pensava di aver trovato suo figlio, e pensava di poterlo provare in tribunale. Sono andato in questa sartoria nel centro di Belgrado a intervistare la signora Radonjic. Una donna ferma, coraggiosa. Drinka ha trovato suo figlio, ma lui non voleva incontrarla, perchè gli era stato detto che sua madre lo aveva abbandonato alla nascita. Drinka non aveva un avvocato, rappresentava sé stessa in tribunale. Sono più di 500 le famiglie che stanno cercando di ritrovare i loro bambini. Sono più di 500 storie diverse, e alcune del tutto inascoltate. Ho deciso di raccontarne una“.