Intervista a Giovanni Morassutti
Creatore della mostra è un attore rappresentativo del Method Acting, Giovanni Morassutti. Da oltre vent’anni studia e collabora con John Strasberg, conosciuto all’Actors Studio di New York prima di diplomarsi in Italia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sotto la direzione di Giancarlo Giannini. Dal 2000 lavora come attore in cinema, teatro e televisione, sia in Italia che all’estero collaborando tra gli altri con Andrea Manni, Fabio Jephcott, Cinzia Th Torrini, Roberto Faenza e Gus Van Sant. Morassutti è inoltre il fondatore e direttore artistico di Art Aia – Creatives / In / Residence, un centro di produzione, ricerca artistica e residenza creativa internazionale situata in Friuli Venezia Giulia. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
Sulla piattaforma Google Arts & Culture è online la mostra dal titolo Strasberg Legacy. Un bellissimo viaggio nel tempo, attraverso la storia del Method Acting. Ce ne puoi parlare? Come e perché è nata questo racconto virtuale? Qual è l’intento di questa mostra?
Innanzitutto grazie per il complimento. Strasberg Legacy è nata dalla collaborazione tra la piattaforma Google Arts & Culture e il mio centro d’arte e residenza internazionale per artisti Art Aia – Creatives / In / Residence in Friuli Venezia Giulia. Essendo stato invitato a collaborare come partner e avendo invitato in diverse occasioni John Strasberg, il figlio di Lee, ad insegnare presso la residenza dove insegno a mia volta, ho sentito il bisogno di raccontare la storia del Method acting e della sua evoluzione ad un pubblico globale. Gli strumenti di storytelling messi a disposizione dalla piattaforma mi hanno consentito di creare un racconto attraverso il tempo, come giustamente dici tu, fatto di immagini, testi, audio e video da Konstantin Stanislavskij a Lee Strasberg, passando per il Group Theatre, Marilyn Monroe, Paula Strasberg, Montgomery Clift, l’Actors Studio, per arrivare al Processo Organico Creativo.
Di seguito ho integrato alcuni materiali inediti legati alla mia collaborazione di oltre 20 anni con John Strasberg tra cui una recente intervista fatta a Berlino e alcuni estratti del girato del mio primo film documentario Personal Dream Space che al momento è in fase di post produzione. L’intento della mostra è quello d’informare e di educare al fine di sfatare i falsi miti che circolano intorno al Metodo. Ritengo infatti di avere una profonda conoscenza del processo non solo a livello tecnico ma anche del contesto e dello spirito che permea questo tipo di lavoro. Come ho potuto apprendere a New York e grazie al mio rapporto con la famiglia Strasberg, il Method acting ha rappresentato un movimento culturale più che uno stile di recitazione ed è nato in Russia con il Teatro d’arte di Mosca. Lee Strasberg ad esempio è stato il centro spirituale di questo movimento attraverso la direzione dell’Actors Studio. La tecnica, o il Method acting, veniva insegnata principalmente nelle sue classi private che poi sono state istituzionalizzate nel Lee Strasberg Theatre Institute di New York.
Tutto nasce da Stanislavskij…
È stato Stanislavskij il vero innovatore di questo movimento che poi si è diffuso in tutto il mondo grazie all’Actors Studio, e soprattutto alla fama di alcuni attori cinematografici facenti parte di questo movimento artistico e divenuti famosi a livello internazionale. Il Sistema di Stanislavskij e quindi il Metodo sono nati, secondo John Strasberg, dall’esplorazione del lavoro di alcuni attori del passato come ad esempio Eleonora Duse e Giovanni Grasso. Stanislavskij e in seguito Lee Strasberg, Stella Adler e Sanford Meisner hanno indagato il processo creativo di questi e altri attori concentrandosi sulla loro componente personale nel lavoro sul personaggio. Come riuscivano questi attori ad essere così coinvolti umanamente ed emotivamente da far credere al pubblico che la vita del personaggio che interpretavano fosse la loro? Da questa esplorazione Stanislavskij, il vero originatore del movimento, ha codificato il Sistema, che poi s’è evoluto nel Metodo di Lee Strasberg, che lo ha adattato agli Stati Uniti d’America per consentire agli attori di arrivare alla stessa veridicità attraverso un allenamento strutturato e ad alcune tecniche come la memoria sensoriale, che personalmente ho avuto modo di approfondire a Parigi con Sarah Eigerman, e la memoria emotiva per citarne alcune.
Secondo lei – che ha studiato negli Stati Uniti – com’è recepito questo processo recitativo in Italia?
In Italia come in altri paesi europei ci sono molti pregiudizi e chiusure rispetto al Method acting. Io mi sono sentito più volte frainteso e in alcuni casi addirittura deriso per il mio approccio. Il che denota a mio parere una certa ignoranza. D’altro canto ci sono stati dei tentativi, come quello del mio caro amico, attore e regista Franco Carella, scomparso da qualche anno, che aveva creato a Roma assieme ad altri attori un centro di ricerca artistica, L’Actor’s Center , in linea con lo spirito dell’Actors Studio. In Italia credo inoltre ci sia un grosso problema di typecasting. Come regista mi rendo conto dell’importanza del casting e il rischio che si corre nell’ingaggiare un attore “fuori parte” ma ritengo che il lavoro dell’attore sia un’arte trasformativa. In Italia il cinema è ancora condizionato dal movimento del neorealismo. Inoltre bisogna considerare la tradizione teatrale italiana che inevitabilmente influisce anche sul cinema e la televisione. A parte il fatto che questa separazione tra il teatro e il cinema a mio parere non ha senso di esistere, il termine recitare si discosta dall’equivalente in altre lingue come to play, jouer, spielen e tende a caricare lo stile recitativo mantenendo l’attore distante dal ruolo, portandolo a guardarsi dal di fuori. Per non parlare della presenza della politica nel settore che ritengo abbassi enormemente la qualità dei progetti favorendo alcuni attori non in base alla loro serietà e professionalità ma alle loro conoscenze e raccomandazioni. Questo è un grosso problema che fa sì che molti attori seri, incluso il sottoscritto, non lavorino abbastanza.
Come si può definire un “attore serio”? Vedi possibilità di futuro?
Non bisogna aver studiato necessariamente con Strasberg per essere seri né essere esclusivamente attori del Metodo. Sono diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia dove mi sono confrontato anche con altri approcci. Ci sono tante tipologie di attori bravi che lavorano in maniera diversa ma non basta avere una bella faccia o un bel fisico per fare gli attori. Ritengo che sia importante avere rispetto per la professione e per la forma d’arte. Tutti questi elementi contribuiscono a mantenere una diffidenza e una chiusura verso un approccio alla recitazione altamente professionale che mira all’autenticità, come ad esempio il Method acting. Per quanto riguarda il futuro, per fortuna esiste il cinema indipendente che a mio parere spesso dimostra maggiore apertura ed ha il coraggio di rischiare dando spazio alla sperimentazione e spero che la presenza in Italia di nuove piattaforme come Netflix o Amazon possano dare una possibilità di internazionalizzazione e modernizzazione anche dello stile di recitazione italiano.
Hai scritto anche un libro sul Metodo, un apprendimento ed una continua conoscenza che ti ha formato come attore. Ci puoi raccontare la sua esperienza e crescita umana ed artistica?
Sì ho scritto un libro, un saggio che intendo estendere nei prossimi mesi integrandolo con scritti raccolti nell’arco di oltre venti anni. Nel 2016 ho anche avuto l’onore di scrivere la prefazione di Per scelta, per caso. Oltre l’Actors Studio di John Strasberg edito da Dino Audino. Iniziai a studiare con sua sorella Susan Strasberg da molto giovane, avevo 16 anni. Susan mi disse che avevo talento. A 18 anni partii per gli Stati Uniti dove lavorai con Ellen Stewart, la fondatrice del Cafè´la Mama. Proprio al teatro La MaMa Experimental Theatre Club incontrai il regista Giancarlo Nanni il quale mi invitò all’Actors Studio dove iniziai a lavorare come stagista per circa un anno. È stata un’esperienza straordinaria che mi ha aperto la mente. Avevo un diario dove prendevo nota di tutte le sessioni dirette da Arthur Penn, Estelle Parsons, Eli Wallach, Lee Grant e altri, appunti che intendo integrare nel libro. Conobbi Salem Ludwig, un ottimo insegnante, allievo di Lee Strasberg, con cui iniziai a studiare regia e recitazione. Salem parlava poco ma i suoi feedback aprivano dei mondi. Insegnava all`HB studio la scuola di Uta Hagen e Herbert Berghof. La Hagen, per esempio, ha sintetizzato due tipi di attori.
Quali?
L’attore rappresentativo, ossia colui che sceglie coscientemente di imitare o illustrare il comportamento del personaggio. Ad esempio Sarah Bernhardt, attrice fiammeggiante, esterna, formalista, che rifletteva la moda del suo tempo. Oggi, i manierismi della Bernhardt appaiono ridicoli. E poi l’attore presentativo, colui che cerca di rivelare il comportamento del personaggio attraverso l’uso di se stesso identificandosi in definitiva totalmente con il personaggio stesso e in scena cerca un’esperienza soggettiva momento dopo momento. Eleonora Duse che commuove ed è più moderna del domani.
Cosa significa per un attore studiare negli States?
New York è una città molto aperta che offre molta libertà di fare esperienze e di essere se stessi. Per me quegli anni hanno rappresentato un grande percorso di consapevolezza passando anche attraverso molta sofferenza. Il Metodo ha una forte componente terapeutica e ti mette nella condizione di conoscerti meglio attraverso l’esplorazione dei vari personaggi. A New York mi sono messo alla prova e ho iniziato a prendermi la responsabilità della mia vita. Ho imparato a coinvolgermi, una componente importantissima per un artista.
In che modo (citando Keats: “la bellezza è verità, la verità è bellezza”) la propria anima diventa elemento imprescindibile per la recitazione?
Come mi ha trasmesso John Strasberg, la scuola di recitazione realista è caratterizzata da un forte coinvolgimento personale come si può vedere nel lavoro di attori, scrittori e registi. Eugene O’Neill o Tennesse Williams per esempio erano molto autobiografici nella scrittura delle loro pièces. Citi Keats: ritengo che la bellezza sia definita dalla spontaneità. Pensa ai bambini: Come mai sono così belli? Perché sono spontanei, sono veri. Siamo stati tutti bambini ma poi cresciamo e spesso dimentichiamo il nostro nucleo originario. Un bravo attore riesce a tornare lì e ad avere lo stesso grado di coinvolgimento di quando da piccolo giocava a fare gli indiani. Per l’attore gli indiani sono i vari personaggi che affronta. La sfida è riuscire a coinvolgersi credendo alle circostanze ed immergendosi in mondi immaginari. È la parte bella del lavoro. Come mi ha insegnato John Strasberg ognuno ha il suo metodo per farlo. Sembra facile, no? La “recitazione” è un gioco, serio ma è comunque un gioco. La ricerca della verità è la base della scuola di recitazione realista.
Attore, regista, insegnante, ma anche maestro di vita, guida e punto di riferimento umano. Chi è per lei John Strasberg? È vero, come detto prima, che l’Arte è Vita e che la Vita è Arte?
L’incontro con John è stato determinante per il mio percorso di crescita umana ed artistica. Tutto il lavoro sull’immaginazione e sulla spontaneità mi hanno permesso di sviluppare il mio processo creativo oltre che imparare a recitare. John ha prima grattato via la crosta dei miei preconcetti e sovrastrutture e poi è entrato nella mia anima per risvegliarla, valorizzarla e darle il permesso di esprimersi. È stato anche una figura paterna in grado di darmi una forma di amore che avrei sempre desiderato ricevere. Oltre a un padre spirituale negli ultimi anni siamo diventati anche amici. A New York mi ha invitato diverse volte a casa sua e abbiamo passato il Natale e Il Giorno del ringraziamento insieme. Siamo stati ad Asolo a visitare la tomba di Eleonora Duse e ricordo un bellissimo bagno nel Mar Tirreno. A Berlino ci siamo persi a Treptower park senza capire dove era l’est e l’ovest e a Roma ci siamo districati nel traffico con lui alla guida di una macchina a noleggio. Abbiamo lo stesso nome ed entrambi, come molte altre persone, abbiamo avuto difficoltà ad essere visti per quello che siamo veramente. Inoltre anche il nostro background ci accomuna in qualche modo. John viene da una famiglia famosa nel campo del teatro e anche la mia famiglia è conosciuta nel campo dell`imprenditoria. Insomma per citare il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe direi che ci sono delle affinità elettive. Sì, l’Arte è Vita e la Vita è Arte, aggiungerei anche la Natura che le racchiude entrambe. La Vita è inoltre la fonte primaria di ispirazione per un attore della scuola realista.
Il momento è durissimo. Cinema e teatri sono chiusi. Eppure, noi viviamo, forse più che mai. Come vive un attore questo momento? Quanti colori ha in più la sua anima nell’attesa di tornare ad esprimersi?
Mi piace molto quando dici che forse viviamo più che mai. È un bel punto di vista. Credo che stiamo affrontando un cambiamento epocale e confido in un’evoluzione della coscienza. Personalmente sto cercando di utilizzare questo momento per guardami dentro e per migliorarmi come persona prima che come attore. Ho iniziato a dipingere e a scrivere. Come attore non smetti mai di lavorare e forse il grosso del lavoro lo fai proprio al di fuori del set o del palcoscenico. Con questo intendo che fare l’attore rappresenta uno stile di vita dove osservi gli altri e il loro comportamento, fai esperienze e nutri il tuo spirito. Tutto questo poi si esprime nel momento di creazione di un personaggio. L’arte, la letteratura, la poesia sono anch’esse fonti di profonda ispirazione per indagare l’animo umano. Giannini era solito dire che l’attore è come un detective e credo che abbia ragione. Rispetto alla mia anima direi che è come un arcobaleno pronto per rinascere. Mi sento come un cavallo allo stato brado, un animale selvatico e non vedo l’ora di poter tornare a mettere le mie viscere e soprattutto il mio cuore nel prossimo ruolo che affronterò.