La Sezione Venezia Classici oggi vedrà la proiezione di due grandissime opere del cinema italiano: La Lupa di Alberto Lattuada (1952), sensuale melodramma tratto dalla novella di Verga e sceneggiato – tra gli altri – da Alberto Moravia e il celebre I Mostri di Dino Risi (1963), mosaico cinico e ironico del Bel Paese.
Andando in ordine cronologico, iniziamo da La Lupa, pellicola restaurata da CSC – Cineteca Nazionale in collaborazione con Lucana Film Commission. La storia è ambientata in un piccolo paese dove vive una donna di circa quarant’anni (Kerima), ancora piacente, che per la sua condotta immorale è chiamata “la lupa”. Costei, guardata con cupidigia dagli uomini, ottiene, con la sua seduzione, che sua figlia Maricchia (May Britt), una ragazza brava e modesta, sia scelta per impersonare Sant’Agata, la patrona del paese, nell’annuale processione.
Per la festa arriva dal vicino forte il soldato Nanni Lasca (Ettore Manni), che vede “la lupa”, se ne invaghisce e ne diventa l’amante. Più tardi Nanni conosce Maricchia, che desta nel suo cuore un tenero sentimento; quando scopre che la ragazza è la figlia della sua amante, decide di lasciare quest’ultima e propone a Maricchia il matrimonio.
La fanciulla, che ha qualche sospetto circa i rapporti tra la madre e Nanni, esita; ma la madre la spinge ad accettare, nella speranza di riconquistare l’amante. La sua speranza non va delusa, ma viene cacciata di casa quando Maricchia, sposatasi, ha un bambino. “La lupa” si rifugia presso il proprietario della manifattura dei tabacchi e di là ordisce le sue vendette; ma quando tenta di far allontanare Maricchia dal marito, la figlia si ribella e a lei s’uniscono le donne del paese. Inseguita, “la lupa” si chiude nel magazzino dei tabacchi e si uccide.
“Per due mesi interi io ho vissuto a Matera per fare un film che non c’entra niente con Matera” dichiarò Alberto Lattuada. Nulla di quello che il regista vide e che lo fece commuovere, entrò nel film: “c’è soltanto il paesaggio, cioè l’aspetto esteriore di questa bellezza che non è completa nel suo interesse se non è legata al dramma della vita”.
Passiamo alla pellicola di Dino Risi. Scandito da un ritmo perfetto e da un’incisività feroce e fulminante, I Mostri è un affresco dell’italianità nelle sue declinazioni di furbizia criminaloide, ipocrisia, cinismo, untuosità, opportunismo, sfruttamento e inganno sistematico del prossimo. I vizi capitali di un’umanità ingorda di benessere (siamo negli anni del boom) sono descritti senza indulgenze né compiacimento, con la misura perfetta di un umorismo nero e amaro.
Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, ora vittime ora carnefici, sono straordinari sia nell’istrionismo che nelle sfumature con cui cesellano i personaggi. Fra gli episodi più memorabili, La nobile arte, con Gassman pugile suonato e Tognazzi scimmiesco manager-avvoltoio, L’oppio dei popoli, sugli effetti già devastanti della televisione, La giornata dell’onorevole, dove Tognazzi, ministro democristiano, riesce a neutralizzare un vecchio galantuomo venuto a denunciare un malaffare, con una strategia di estenuanti e kafkiane anticamere.
“I Mostri è un film riuscito, alla fin fine – dichiarò Dino Risi – una serie di ritratti esemplari pieni di una sfiducia nell’umanità che veniva dal boom, delle trasformazioni dell’Italia di quegli anni. Con abbastanza preveggenza, anche, perché allora dominava ancora l’euforia”.