Oggi ricorre il 130° anniversario della morte di un artista entratò nell’eternità: Vincent van Gogh. Lo ricordiamo attraverso 6 film (di cui 4 documentari d’arte) a lui dedicati. Sei pellicole sulla creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della realtà.
Van Gogh – Sulla Soglia Dell’Eternità
Il regista-pittore Julian Schnabel racconta gli ultimi, tormentati anni dell’irrequieto pittore olandese Vincent Van Gogh in un film in cui il genio “maledetto” è stato magistralmente interpretato da Willem Dafoe, premiato alla Mostra d’arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi per il Miglior attore. Vincent Van Gogh viene raccontato dal burrascoso rapporto con Paul Gauguin (Oscar Isaac) a quello viscerale con il fratello Theo (Rupert Friend), fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero. La storia raccontata da Julian Schnabel intende mostrare dall’interno come ci si senta nel momento della creazione di un’opera (quel momento magico, viscerale e violento che sfugge ad ogni definizione e cancella il tempo), la fatica fisica e la dedizione assoluta che caratterizzano la vita di un artista, in particolare quella di un pittore.
Il risultato è un’esperienza cinematografica caleidoscopica e sorprendente, che tratta tanto del ruolo dell’artista nel mondo, della sua vita e della sua impronta eterna, quanto della bellezza e della meraviglia che Van Gogh – inconsapevole del suo impatto sulle generazioni future – ci ha lasciato. Per Schnabel “il ritratto di Van Gogh che emerge dal film deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui”. Per il regista, Van Gogh è diventato un prisma attraverso il quale riscoprire l’instancabile anelito dell’uomo ad esprimersi e a comunicare.
Il film attinge a lettere, biografie, leggende delle quali tutti hanno sentito parlare, anche se in fondo si tratta di un lavoro di pura immaginazione, un’ode allo spirito artistico e a coloro che hanno convinzioni così assolute da dedicarvi tutta la loro vita.
I quadri e i disegni di Van Gogh rivelano il punto di vista di qualcuno lontano dalla società ma immerso nella natura. Schnabel ha ripercorso i suoi passi e il suo cammino, anche fisicamente faticoso, per poter vedere quello che lui ha visto. Il silenzio è importante quanto i dialoghi, i paesaggi sono importanti quanto i ritratti. Dice infatti Schnabel: “tutti abbiamo una malattia terminale che si chiama vita. La pittura è una pratica che in un certo senso affronta la morte, perché è connessa alla vita ma in modo diverso, riuscendo a farti accedere ad un’altra dimensione. L’arte può superare la morte. Nel film il pubblico di Vincent non è ancora nato, ma questo non gli impedisce di fare quello che sente di dover fare. Quando lo osservi in mezzo ad un campo, sorridente, mentre si butta addosso la terra, non è un pover’uomo. È un uomo che sente di essere al posto giusto al momento giusto, in perfetta sintonia con la vita”.
Willem Dafoe ha avuto in mente il desiderio di Van Gogh di sentirsi in comunione non solo con gli amici, i vicini o gli altri artisti, ma con quello che per lui era Dio, qualcosa di cui l’artista ha scritto durante tutta la sua vita. “credo che Vincent sentisse di aver trovato il suo contatto diretto con Dio attraverso la natura – conclude l’attore – ed è un aspetto sul quale ho concentrato molto la mia attenzione. In lui era fortissimo il desiderio di arrivare a Dio attraverso il colore, la luce, la prospettiva, attraverso la capacità di reagire pienamente al paesaggio e al mondo che lo circondava. Cercava di catturare una realtà che lui sentiva più vicina a Dio di quanto normalmente riusciamo a percepire”.
Van Gogh e il Giappone
Il docufilm diretto da David Bickerstaff propone un viaggio tra le bellezze della Provenza, l’enigma del Giappone e le sale della mostra ospitata nel 2018 al Van Gogh Museum di Amsterdam. Grazie alle lettere dell’artista e alle testimonianze dei suoi contemporanei, Van Gogh e il Giappone rivela l’affascinante storia del profondo ed intenso legame tra Van Gogh e l’arte giapponese e il ruolo che l’arte di questo paese, mai visitato dall’artista, ebbe sul suo lavoro. Oltre a indagare la tendenza del japonisme, questo commovente docufilm ci guiderà attraverso l’arte del calligrafo Tomoko Kawao e dell’artista performativo Tatsumi Orimoto per comprendere appieno lo spirito e le caratteristiche dell’arte del Sol Levante.
Quando il periodo Edo terminò, nel 1868, e il Giappone si aprì all’Occidente, Parigi venne infatti inondata di tutto ciò che era giapponese sotto forma di oggetti decorativi e stampe colorate impresse con matrici di legno chiamate ‘ukiyo-e’ (letteralmente “immagini del mondo fluttuante”). Van Gogh rimase affascinato da tutti gli elementi di questa straordinaria cultura visiva e dal modo in cui potevano essere adattati alla ricerca di un nuovo modo di vedere. Lesse le descrizioni del Giappone, acquistò stampe per tappezzare la sua stanza e studiò attentamente le opere giapponesi soffermandosi sulle figure femminili nei giardini o sui bagnasciuga, su fiori, alberi e rami contorti: apprezzava di quei lavori linee e purezza compositiva tanto da farne una fonte d’ispirazione imprescindibile per la sua pittura.
Nel 1888, del resto, Parigi era diventata per Vincent una città troppo frenetica. Per questo il pittore decise di partire per il sud della Francia, alla ricerca di nuovi spunti e di una vita a più stretto contatto con la natura. In Provenza, Van Gogh scoprì un paesaggio magnifico, una luce potente, una popolazione dai costumi tradizionali e per certi versi “esotici”, capaci di dialogare con la sua visione idealizzata del Giappone e con il suo “sogno” giapponese. Quelli che seguirono furono per lui anni prolifici, ma anche estremamente travagliati, che diedero linfa vitale ad alcune delle opere più iconiche della sua intera produzione, come I Girasoli e i suoi celebri ritratti.
Spiega il regista David Bickerstaff: “la cosa stupefacente nel lavorare a un film su Van Gogh è la ricchezza delle intuizioni che emergono dalle sue lettere o anche solo osservando da vicino le sue opere. Pensi di conoscerle, perché sono famosissime, ma ogni “visione” rivela qualcosa di nuovo. L’intensità del sentire di Van Gogh mentre lotta con la sua arte è messa a nudo con ogni segno che marca sulle tele. È la ricerca di una semplicità potente che ha attratto Vincent van Gogh verso l’arte del Giappone”.
Van Gogh. Tra il Grano e il Cielo
il film evento diretto da Giovanni Piscaglia e scritto da Matteo Moneta con la consulenza scientifica e la partecipazione di Marco Goldin offre un nuovo sguardo su Van Gogh, attraverso il lascito della più grande collezionista privata di opere del pittore olandese: Helene Kröller-Müller, la donna che ai primi del Novecento, ammaliata da un viaggio tra Milano, Roma e Firenze, e sull’esempio del mecenatismo dei Medici, giunse ad acquistare quasi 300 suoi lavori, tra dipinti e disegni.
Il film racconta l’unione spirituale di due persone che non si incontrarono mai durante la loro vita (Helene Kröller-Müller aveva 11 anni quando Van Gogh morì nel 1890), ma che condivisero la stessa tensione verso l’assoluto, la stessa ricerca di una dimensione religiosa e artistica pura, senza compromessi. Due universi interiori dominati dall’inquietudine e dal tormento, che entrambi hanno espresso attraverso una vera e propria mole di lettere: fonti storiche insostituibili ed elemento suggestivo che punteggia la narrazione del documentario. La colonna sonora originale del film è firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino. Ad accompagnare l’intero racconto è l’attrice Valeria Bruni Tedeschi, ripresa nella chiesa di Auvers-sur-Oise che Van Gogh dipinse qualche settimana prima di suicidarsi.
L’occasione per raccontare l’intera parabola artistica di Van Gogh, e la collezione di Helene Kröller-Müller, è una mostra di eccezionale rilievo, Van Gogh. Tra il Grano e il Cielo, nella Basilica Palladiana di Vicenza, curata dallo storico dell’arte Marco Goldin, che raccoglie 40 dipinti e 85 disegni provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda, dove oggi è custodita l’eredità di Helene. Al viaggio dentro la mostra, si affianca quello in alcuni dei luoghi più importanti per l’arte di Van Gogh: la chiesa di Nuenen (soggetto dei quadri e dei disegni degli anni olandesi che fanno da sfondo al capitolo dedicato all’ansia religiosa di Van Gogh, che trova un parallelo in quella di Helene), l’Accademia Reale di Belle arti di Bruxelles (nelle cui aule Vincent trascorse pochi mesi), le strade di Parigi (da Rue Lepic 54, dove Vincent visse per due anni a partire dal marzo 1886 con il fratello Theo, sino al Moulin de la Galette e alla vigna di Montmartre) e Auvers-sur-Oise (dove l’artista si recò negli ultimi settanta giorni della sua vita e fu accompagnato in questo percorso dal Dottor Gachet). Una serie di preziose riprese sono state realizzate a Otterlo nelle sale e nel parco del Kröller-Müller Museum, progettato da Henry van de Velde a poco più di un’ora di auto da Amsterdam.
Il documentario propone inoltre gli interventi di alcuni autorevoli esperti: la storica dell’arte Lisette Pelsers, direttrice del Kröller–Müller Museum di Otterlo in Olanda; Leo Jansen, studioso che ha curato l’edizione critica delle lettere di Van Gogh; Sjraar van Heugten, storico dell’arte tra le maggiori autorità mondiali sul lavoro di Vincent van Gogh; la scrittrice e storica della cultura, Eva Rovers, autrice della biografia di Helene; Georges Mayer, professore onorario di Storia dell’arte all’Accademia Reale di Belle Arti di Bruxelles; lo scrittore e docente di Storia dell’arte all’Università Paris 8 Pascal Bonafoux.
Alla Ricerca di Van Gogh
Il documentario diretto dai registi cinesi Yu Haibo e Yu Tianqi Kiki vuole raccontare la vita dei pittori di Dafen, un quartiere di Shenzhen in Cina, che lavorano producendo copie dei quadri di Vincent van Gogh. Al centro del documentario c’è quindi un vero e proprio esercito di Van Gogh cinesi. È il paesaggio umano del quartiere di Dafen, nella metropoli cinese di Shenzhen, dove si lavora a ritmi incessanti per fabbricare riproduzioni esatte dei quadri di Van Gogh, molto richieste sul mercato internazionale. Ma a Zhao Xiaoyong, ex contadino divenuto pittore, questa dimensione oggettivante, che sottrae alla forma il suo contenuto, non basta più.
Zhao Xiaoyong vuole davvero capire meglio l’anima di Vincent Van Gogh, toccare il cuore di ciò che non può essere riprodotto: l’anima di un artista e della sua opera. E vuole conquistare la propria. Il suo viaggio dalla Cina ad Amsterdam è la storia di una scoperta di sé nella scoperta dell’arte e una metafora potente dei travagli di una Cina in profonda transizione e di un Occidente che rischia di sperperare il tesoro della propria identità.
Loving Vincent
Una straordinaria esperienza visiva dedicata a Vincent Van Gogh. Scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman, questo è il primo lungometraggio interamente dipinto su tela. Realizzato elaborando i quadri dipinti del pittore, il film – al cinema solo da oggi al 18 ottobre (elenco sale NexoDigital.it) – è composto da migliaia di immagini create nello stile di Vincent van Gogh realizzate da un team di 125 artisti che hanno lavorato anni per arrivare a un risultato originale e di enorme impatto. Nessun altro artista al mondo ha dato vita a così tante leggende quanto Vincent van Gogh (1853-1890). Definito come un martire, un satiro lussurioso, un folle, un genio e un fannullone, e spesso anche travisato e oscurato dal mito e dal tempo, il vero Vincent viene improvvisamente svelato dalle sue lettere. Ispirandosi al suo ultimo scritto, quello in cui annotava “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, Loving Vicent ha scelto di partire dalle parole dell’artista, lasciando che fossero proprio i dipinti a raccontare la storia e l’opera del pittore olandese esposto nei più importanti musei del mondo, da Amsterdam a New York, da Londra a Mosca, da Parigi a Dallas.
Del resto la forma d’arte di questo film è differente dalla pittura. Se la pittura fissa uno specifico momento della realtà, il film appare fluido, sembra muoversi tra lo spazio e il tempo. Per questo il Painting Design Team ha impiegato un anno per re-immaginare i quadri di van Gogh come se fossero un film. In Loving Vicent 94 quadri di van Gogh sono riprodotti in una forma simile a quella originale e più di 31 dipinti sono rappresentati parzialmente. Le sembianze dei personaggi del lungometraggio si ispirano a volti noti del mondo del cinema, abbinati ai dipinti che essi rappresentano. La narrazione – che riporta in vita opere come Caffè di Notte, Campo di Grano Con Volo di Corvi, Notte Stellata, ma anche ritratti e autoritratti di van Gogh- si apre in Francia, nell’estate del 1891. Armand Roulin (Douglas Booth), un giovane inconcludente e privo di aspirazioni, riceve da suo padre, il postino Joseph Roulin (Chris O’Dowd), una lettera da consegnare a mano a Parigi.
Il destinatario è Théo van Gogh, fratello del pittore che si è da poco tolto la vita. Armand non è per nulla felice della missione affidatagli: è imbarazzato dall’amicizia che legava suo padre e Vincent, un pittore straniero che si è tagliato l’orecchio ed è stato internato in un manicomio locale. Ma a Parigi non c’è alcuna traccia di Théo. La ricerca condurrà Armand da Père Tanguy (John Sessions), commerciante di colori, e quindi nel tranquillo villaggio di Auvers-sur-Oise, a un’ora da Parigi, dal medico che si occupò di Vincent nelle sue ultime settimane di vita, il Dottor Paul Gachet (Jerome Flynn). Conosceremo così la locanda dei Ravoux, dove Vincent soggiornò per le ultime dieci settimane e dove il 29 luglio 1890 morì per un proiettile nell’addome. Qui Armand incontrerà anche la figlia del proprietario, Adeline Ravoux (Eleanor Tomlinson), la domestica e la figlia del dottore e -presso il fiume dove Vincent trascorse i suoi giorni- anche il Barcaiolo (Aidan Turner) che lo conobbe.
Un viaggio attraverso strazianti rivelazioni per capire e apprezzare l’appassionante vita e la straordinaria opera di Vincent van Gogh. Loving Vincent è un film poetico e seducente che mescola arte, tecnologia e pittura e si è aggiudicato il Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy.
Vincent Van Gogh – Un Nuovo Modo di Vedere
Con una produzione durata due anni, il film è stato realizzato in stretta collaborazione con i curatori del Museo Van Gogh, protagonisti del suo nuovissimo allestimento, e guiderà lo spettatore tra le gallerie e i magazzini del museo di Amsterdam (in genere preclusi ai visitatori). Il pubblico potrà così intraprendere una visita esclusiva e privilegiata tra capolavori e disegni dell’artista: da opere iconiche come I Mangiatori di Patate, I Girasoli, Iris, La Camera di Vincent ad Arles ai suoi numerosi autoritratti, dalle lettere al fratello sino ai disegni e alle annotazioni. Il tutto raccontato con nuove intuizioni e con l’interpretazione di curatori, storici dell’arte, artisti, ma anche di Vincent Willem van Gogh (pronipote di Theo van Gogh), Dominique-Charles Janssens (Presidente dell’Istituto Van Gogh) e Axel Rüger (Direttore del Van Gogh Museum). Oltre che artista sorprendente, Vincent van Gogh è stato un prolifico scrittore di lettere. Per questo il film ne ripercorre i momenti rivelatori, con la partecipazione straordinaria dell’attore Jamie de Courcey a dare movenze e letture alla corrispondenza dell’artista, soprattutto nelle commuoventi ed illuminanti lettere dedicate al fratello Théo (in Italia le Lettere a Theo di Vincent van Gogh sono pubblicate da Guanda). Tra l’Olanda della sua infanzia, l’Inghilterra e la Francia, Vincent van Gogh: un nuovo modo di vedere racconta l’uomo e l’artista van Gogh ed è stato pensato come un film accessibile a un pubblico di tutte le età.
Il regista David Bickerstaff ha dichiarato: “Vincent van Gogh è diventato un artista all’età di 27 anni e ha prodotto opere solo per 10 anni, prima di spegnersi nel 1890. Ciò di cui molte persone non si rendono conto è che per i primi cinque anni ha realizzato solo disegni e acquerelli – non quadri. Ha quindi prodotto oltre 450 opere negli ultimi cinque anni della sua vita. E’ una cosa incredibile quando si pensa che molte di esse sono dei veri capolavori. Immaginate cosa avrebbe potuto realizzare se non si fosse suicidato? Questo film dimostra che Vincent non era un pazzo o un genio solitario: era un uomo di pensiero profondo, desideroso di comprendere l’essenza del fare arte. Attraverso le sue lettere si capisce che aveva fame di interagire con il mondo, in particolare con la natura e con le persone comuni, quelle della vita di tutti i giorni“.
«Caro Theo, non posso farci niente se i miei quadri non si vendono. Ma verrà il giorno in cui si vedrà che valgono più del prezzo del colore e della vita, anche se molto misera, che ci sto rimettendo».
Da Vincent van Gogh “Lettere a Theo”