Tratto da The Short Stories Of Richard Bausch (Le Storie Brevi Di Richard Bausch), il libro autobiografico di Richard Bausch, il 9 luglio nelle sale cinematografiche con Movies Inspired arriva Vulnerabili, il film sui rapporti genitori-figli diretto da Gilles Bourdos.
Il film
Tre storie intime si intrecciano per caso in un racconto originale sui rapporti tra genitori e figli. Josephine (Alice Isaaz) e Tomasz (Vincent Rottiers), giovani sposini, sono apparentemente molto felici. Melanie (Alice de Lencquesaing) è una giovane studentessa rimasta incinta e non sa come affrontare la questione col padre. Nicole (Brigitte Catillon), la madre di Anthony (Damien Chapelle) viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico dopo esser stata abbandonata dal marito.
Gilles Bourdos
Lasciamo ora spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Gilles Bourdos.
Cosa ti ha spinto a portare al cinema i racconti di Richard Bausch?
Ho scoperto l’opera letteraria di Richard Bausch un po’ per caso, ed è stato un immediato colpo di fulmine per questo autore poco conosciuto in Francia, nonostante sia molto famoso negli Stati Uniti. Nella grande tradizione degli scrittori di novelle americani, Bausch è un maestro nell’arte di raccontare nella forma breve storie di intricati rapporti familiari e di coppie che si separano. Ho portato i libri di Bausch a Michel Spinosa senza avere un’idea precisa di ciò che avremmo potuto trarne dal punto di vista cinematografico. È stato Michel Spinosa ad avere l’intuizione di costruire il film sullo schema di un gioco di carte, il “gioco delle famiglie”, in cui le carte vengono continuamente rimescolate. Così, il film funziona seguendo la modalità del confronto e dello shock: confronto tra padre e figlia, tra figlio e madre, tra marito e moglie ecc. I padri sono messi alla prova dalle scelte in amore delle figlie, un figlio affronta la disastrosa vita matrimoniale dei suoi genitori e così via.
Che approccio avete adottato per l’adattamento?
Volevamo subito distaccarci dalla classica costruzione del “film corale”. In questo tipo di film, c’è sempre un evento o una situazione iniziale (o finale) che riunisce tutti i personaggi. Durante tutta la scrittura, il nostro impegno è stato quello di creare una tensione costante dall’inizio fino alla fine, senza cedere alla tentazione di creare quel genere di sequenza, più o meno artificiosa, in cui tutti i personaggi reagiscono alla stessa situazione. Abbiamo cercato di creare delle connessioni tra gli eventi senza legarli l’uno all’altro, semplicemente lasciandoci guidare dalla logica dei nostri personaggi. Le situazioni si rispondono, si fanno eco, creano effetti di risonanza e punti di collegamento… Costruire un “film mosaico”, per frammenti, vuol dire anche comporre un oggetto dalle molteplici sfaccettature che sfugge così a qualsiasi conclusione globale in termini di significato.
Il film ha un ritmo quasi “pittorico”.
So che alcuni registi amano ispirarsi a metodi e tecniche della musica per costruire la loro storia. Io sono più sensibile alle arti visive. Per trovare il ritmo del film, ho pensato molto ai mosaici di Gaudì o alle asimmetrie di Mondrian. Credo con convinzione in un’estetica dell’eterogeneità e nella tensione che deriva da frammenti disparati assemblati insieme, come nelle composizioni di Rauschenberg. Volevo un film che rompesse con la monotonia dei film accademici in cui sequenze della stessa lunghezza si susseguono allineate impeccabilmente come platani in un giardino alla francese. Vulnerabili inizia con due situazioni drammatiche molto diverse e non correlate tra loro – una notte di nozze, la telefonata di una figlia a suo padre – e questo va avanti per più di 30 minuti! È proprio il tipo di sfida che mi dà le più forti motivazioni, come regista. Uno dei temi centrali sembra essere quello della sottomissione: quella di Joséphine al suo giovane marito, quella del padre di Joséphine a sua moglie, quella di Anthony a sua madre… Costrizioni che non potranno che esplodere. Preferisco parlare di alienazione. Arriviamo al cuore di ciò che rende i legami familiari così complessi. La famiglia costituisce la cellula più primitiva della nostra società, la più essenziale. Le nostre tre storie di famiglia hanno dinamiche diametralmente opposte: un padre si muove sull’orlo della follia, un altro si riconcilia con la figlia, una moglie si libera delle nevrosi riscoprendo il suo ruolo di madre… È all’interno delle famiglie che alcuni trovano rifugio e altri sprofondano. Questo è il motivo per cui volevo anche un finale aperto a varie interpretazioni. Nell’ultima sequenza, alcuni riconosceranno una ragione di speranza concreta nel volto luminoso di Alice Isaaz, altri preferiranno vederci un finale più cupo. Entrambi possono avere ragione.
Le ambientazioni che scegli per girare sono spesso luoghi di passaggio, dove si transita – un’autostrada, un hotel, una stazione di servizio, un parcheggio, un residence di appartamenti ammobiliati, i corridoi di un ospedale… – e sembrano quasi disabitati…
È la Costa Azzurra filmata l’inverno, dalla quale nasce quella sensazione leggera di desertificazione. Filmare i luoghi di transito è qualcosa di molto naturale per me, non il frutto di una riflessione specifica. Penso di avere un istinto per cercare di esprimere, attraverso questi luoghi, dei sentimenti di solitudine che abitano i personaggi. E poi i luoghi di transito hanno qualcosa di neutro, di scarsamente classificabile da un punto di vista sociologico. E io non volevo inserire il film in un discorso marcatamente sociale.