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2001 Tra Kubrick e Clarke, la storia definitiva sulla nascita di un capolavoro

Seguaci di Stanley Kubrick e 2001: Odissea Nello Spazio, prestate attenzione! Dal 16 settembre è disponibile anche in versione cartacea un libro monumentale che non potete farvi scappare. Sto parlando di 2001 tra Kubrick e Clarke: Genesi, Realizzazione e Paternità di un Capolavoro (lo trovate QUI), un testo che racconta per la prima volta in modo completo, avvincente ed esaustivo la nascita dell’epico e inarrivabile film di fantascienza uscito nel 1968. Il libro-saggio, scritto a quattro mani da Filippo Ulivieri e Simone Odino, rivela infatti particolari fino a oggi sconosciuti sulla scrittura, la realizzazione e la promozione del film, fornendo anche un vivido ritratto delle personalità di Kubrick e Arthur C. Clarke, i due autori che – tra liti e proficue discussioni creative – realizzarono una pellicola che non smette mai di sconvolgerci.

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2001: Tra Kubrick e Clarke

La storia della realizzazione di 2001: Odissea nello Spazio è tanto epica e misteriosa quanto gli eventi narrati dal film. Dopo il successo ottenuto con Il Dottor Stranamore (1964), Stanley Kubrick doveva decidere bene quale sarebbe stato il suo prossimo film. O meglio, come la storia ha poi rivelato, il suo prossimo capolavoro. Fu l’incontro con lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke a scrivere il destino: dopo la bomba fantapolitica, ecco l’Odissea spaziale. Partendo da un racconto di Clarke, La Sentinella, Stanley Kubrick iniziò ad immaginare un film che non si era mai visto prima e che difatti ha cambiato la storia del cinema. 2001 di cui l’anno scorso si è celebrato il 50° anniversario d’uscita – è una pellicola clamorosa, gigantesca, che apre la mente di chi osserva. Ancora oggi. Anzi, oggi più di ieri.

Opera fantascientifica e filosofica, 2001 fu ultimata dopo più di quattro intensi anni di costruzione. Quello guidato da Kubrick fu un titanico ed estenuante sforzo produttivo e creativo, costellato di ripensamenti, esperimenti, colpi di genio, debiti, litigi, minacce, esaurimenti nervosi e prove di forza. Attingendo a fonti inedite, tra cui le bozze di sceneggiatura di Clarke, i documenti di produzione del film e il carteggio tra lo scrittore e il regista, 2001 Tra Kubrick e Clarke racconta per la prima volta in modo completo l’odissea tecnica e artistica dei due autori, getta luce sulla loro relazione altalenante e rivela particolari finora sconosciuti sulla nascita e la realizzazione del “proverbiale buon film di fantascienza” il primo e il più grande film sullo spazio, l’origine della specie umana e il suo destino tra le stelle.

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Intervista a Filippo Ulivieri e Simone Odino

A realizzare questo volume assolutamente imperdibile, sono stati il mio amico Filippo Ulivieri – il più grande ricercatore italiano di Kubrick, padre di ArchivioKubrick.it, nonchè co-autore del bellissimo libro Stanley Kubrick e Me (con Emilio D’Alessandro) diventato poi S Is For Stanley di Alex Infascelli (2015, vincitore del David come Miglior Documentario; Filippo ha partecipato alla scrittura della sceneggiatura) – e Simone Odino, impareggiabile (e devoto) studioso – a livello mondiale – di 2001: Odissea nello Spazio (in passato ha visitato archivi italiani ed esteri e ha intervistato diversi membri del cast e della troupe): sono state le sue ricerche presso la Arthur C. Clarke Collection of Sri Lanka dello Smithsonian Air & Space Museum a rendere possibile questo libro. Chiamato in tutta Europa come relatore in convegni dedicati a Kubrick e al film, Simone è anche l’autore del sito 2001italia.it. Filippo e Simone si sono suddivisi due dei tre capitoli/sezioni del libro (che si legge come un romanzo, è scritto benissimo) e hanno scritto insieme la terza ed ultima parte. Non potevo non intervistarli. Ecco la nostra chiacchierata.

Filippo e Simone, com’è nata la vostra collaborazione? Com’è nato questo libro che avete autoprodotto?

Filippo e Simone: Ci conosciamo da tanti anni e da altrettanto tempo parliamo e discutiamo di Kubrick e dei suoi film, ma questo libro in particolare nasce dalla nostra partecipazione a due eventi che hanno radunato la comunità internazionale di ricercatori kubrickiani, a Leicester nel 2016 e a Bordeaux nel 2017. Nel libro Understanding Kubrick’s 2001: A Space Odyssey. Representation and Interpretation, curato da James Fenwick e uscito per la Intellect Books, avevamo scritto un capitolo ciascuno e insieme abbiamo firmato un articolo per Il Giornale che raccontava il carteggio Clarke-Kubrick. Abbiamo quindi pensato di scrivere delle versioni estese di questi contributi, con scoperte finora inedite e tratte dalle nostre ricerche all’archivio di Kubrick a Londra e in quello di Clarke allo Smithsonian in Virginia.

Simone, dopo Il Dottor Stranamore e prima di 2001: Odissea Nello Spazio, che periodo fu per Stanley Kubrick? In che modo l’idea di girare un film di fantascienza prevalse sulle altre ipotesi/proposte che aveva sul tavolo?

Simone: Senza fare troppi spoiler, posso dire che dopo Stranamore Kubrick aveva diverse opzioni sul tavolo: un’idea per un film sulla sovrappopolazione, una proposta di un film per le Nazioni Unite, e una storia di fantascienza che ebbe pure l’ardire di proporre a Clarke prima di accettare di lavorare su La Sentinella, il racconto dello scrittore inglese che fornì lo spunto per 2001. Abbiamo cercato di tracciare un percorso tra i temi comuni a queste proposte, la selezione della fantascienza e la scelta di Clarke come collaboratore, e crediamo che questo percorso sia fortemente coerente con la visione politica e sociale del regista.

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Filippo, sei il principale ricercatore italiano del “geniaccio”. Il secondo capitolo del libro parla dei documenti – inediti – della gigantesca produzione che è stata 2001. Un’infinità di maestranze coinvolte, budget di spesa che aumentavano a dismisura, scelte tecniche pionieristiche e tante, tantissime altre cose. Sei riuscito a sorprenderti anche tu quando hai messo insieme tutti i pezzi? Che impresa titanica fu realizzare quel film?

Filippo: Il capitolo sulla produzione del film è proprio come un enorme puzzle, che raccoglie e colloca, pezzetto dopo pezzetto, ogni elemento della gigantesca macchina produttiva messa in piedi da Kubrick. C’è ovviamente una mole enorme di informazioni sulla lavorazione di 2001, sparpagliata in dozzine di articoli e libri pubblicati nei cinquant’anni che ormai ci separano dall’uscita del film, tuttavia solo mettendoli tutti assieme credo si possa avere un’idea realistica dell’incredibile complessità e vastità di ciò che Kubrick è riuscito a organizzare e gestire. Naturalmente 2001 è famoso per essere un rompicapo di grande densità filosofica, ma mi piaceva l’idea di scrivere un capitolo che invece facesse venire le vertigini per motivi logistici. È davvero sbalorditivo quello che Kubrick è riuscito a fare, anche da un punto di vista manageriale.

Simone, Kubrick vide con largo anticipo la nostra totale dipendenza dalle macchine, siano essi computer o dispositivi tecnologici dalle più disparate grandezze e funzioni. Una dipendenza che ci sta isolando. Siamo anche noi in “scacco” a entità pensanti e dialoganti (i nuovi ordini vocali ricordano la voce del Maggiordomo Supremo, HAL 9000), affidiamo a loro la nostra esistenza, la nostra manifestazione (foto, video e stories incessanti e perpetue) e, nel mio caso, la nostra vita, perché indispensabili per lavorare. Anche in questo caso, simbolicamente, sembriamo essere quegli astronauti dormienti totalmente affidati al controllo di HAL 9000. Sottomessi, inerti, volontariamente incapaci di “svegliarci” da soli, quindi destinati ad essere spenti definitivamente. Se per 2001 si ipotizzava un futuro dominato da macchine pensanti che provavano emozioni, dotate di tutta l’esperienza e memoria possibile ed in procinto di diventare pura energia/divinità, cosa pensi di questo aspetto adesso, a 51 anni dal film?

Simone: Dagli archivi e dalle cronache di produzione, HAL emerge come una creazione molto tarda nello sviluppo della sceneggiatura e del romanzo, quasi un’idea inserita, come disse Clarke, per dare un po’ di azione alla parte centrale del film. Non penso quindi che l’intento principale di Kubrick fosse di dipingere un futuro in cui saremo in balia delle macchine; ma di certo nelle tante interviste rilasciate a giornali e riviste dopo 2001, in cui il regista ha peraltro sempre parlato in toni piuttosto benevoli di HAL e delle sue motivazioni, era chiaro come secondo Kubrick l’umanità del futuro avrebbe dovuto convivere con macchine “ultra-intelligenti”, tanto che probabilmente la differenza tra noi e loro sarebbe andata attenuandosi. Detto questo, di certo la banalità con cui vediamo rappresentati i viaggiatori dello spazio alle prese con chiamate ai figli e ai genitori, o l’indifferenza degli astronauti per i propri colleghi, isolati ciascuno davanti a uno schermo, non può che essere interpretata come uno sguardo sarcastico e sorprendentemente attuale sulla contemporaneità, che peraltro contrasta con l’entusiasmo che Clarke aveva per le potenzialità delle nuove tecnologie della comunicazione.

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Filippo, 2001 è “Un film di Kubrick e Clarke tratto da un romanzo di Clarke e Kubrick”. Come descriveresti il loro rapporto?

Filippo: La definizione più bella l’ha data Clarke stesso: “una meravigliosa esperienza striata di agonia”. A giudicare dalle pagine di diario che abbiamo consultato e dalle lettere che i due si sono scambiati, non deve essere stato affatto facile per Clarke star dietro alle pressanti richieste di Kubrick. Ci sono un paio di cablogrammi assolutamente illuminanti per capire la personalità dei due artisti. Il mio preferito resta quello in cui Kubrick risponde a Clarke che si lamentava di un’idea a suo dire improbabile: è improbabile solo se non riesci a scriverla come si deve. E Clarke tornò alla macchina da scrivere. Alcuni scambi sono spassosi – povero Clarke!

Simone, Kubrick aveva una visione negativa dell’Uomo, una pedina vittima di un gioco più grande di lui, scisso e frammentato, dominato da istinto e violenza. Oggi sembriamo proprio essere ancora scimmie urlatrici che si dimenano o stupidi professionisti che immortalano (e documentano in modo ossessivo) la vita senza aver coscienza di ciò che li circonda. Oggi camminiamo con la testa rivolta verso il basso, puntata sullo smartphone, non guardiamo più verso l’alto, verso il cielo e l’universo. La nostra visuale è sempre più ristretta, tanto che film come 2001, che ponevano domande sull’Uomo, sulla sua origine e sul suo legame con l’Universo (“chi non ha paura dell’Universo non ha un anima”), oggi, soprattutto per le nuove generazioni native digitali, sembrano esempi lontani, preistorici. Secondo te il pessimismo cosmico di Kubrick (che pur nel finale del film fa spazio ad un nuovo, ottimistico, inizio) nei confronti dell’Uomo è ancora oggi, nel 2019, giustificato?

Simone: In un’intervista del 1968 al Nouvel Observateur, Kubrick dichiarò che “essere ottimisti o pessimisti dipende da come ci si sveglia la mattina.” Questa, oltre a essere un classico esempio dello spirito kubrickiano, è una sintesi efficace di come si possa leggere in modo diverso un’opera a seconda di cosa ci si voglia vedere. In realtà, credo che in 2001 si debba necessariamente leggere una nota di speranza, che era del resto quella che sia il regista sia Clarke avevano nei confronti dell’esplorazione spaziale, intesa come possibile scappatoia per le tendenze autodistruttive dell’umanità. Come raccontava anche molta della fantascienza soprattutto letteraria dell’epoca, la corsa allo spazio era, per Kubrick e Clarke, una vera e propria “arma di distrazione di massa” che avrebbe potuto orientare al meglio la ricerca scientifica e gli investimenti dei vari governi. Tuttavia mi pare che, anche se siamo riusciti ad evitare l’olocausto nucleare temuto da Kubrick, anche se abbiamo di fatto raggiunto molti successi nell’esplorazione spaziale, ben pochi passi avanti sono stati fatti verso quella direzione da lui auspicata, di un “rinnovamento morale” dell’umanità. Il pessimismo è più che giustificato, perché la natura umana non è cambiata, e non so se cambierà mai.

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Filippo e Simone, cosa si prova, da appassionati di Kubrick (lo sono anch’io!), a trovare e mettere insieme un lavoro di ricerca di interesse mondiale, inedito e illuminante, esaustivo e completo come il vostro? 

Simone: Abbiamo scritto questo libro proprio con la prospettiva di voler dire qualcosa di nuovo nel vasto mare di pubblicazioni dedicate al regista e al film. Personalmente sono molto soddisfatto di quello che siamo riusciti a fare, ma uno dei risultati del lavoro di ricerca e scrittura del libro è stato proprio quello di rendersi conto che, con 2001, c’è un inizio ma non una fine; ci sono ancora molti aspetti da indagare, chiarire e studiare, anche perché l’apertura degli archivi Kubrick e Clarke avvenuta negli ultimi anni sta rivoluzionando gli studi sull’opera del regista e su 2001. Se i lettori troveranno nel nostro libro cose che non sapevano prima, e magari saranno stimolati a rivedere la loro opinione su di un film da sempre considerato ostico e distante, potrò dire di aver raggiunto il mio scopo.

Filippo: Parafrasando una celebre citazione di Kubrick, se il nostro libro scuote le vostre convinzioni sul film, stimola il vostro intelletto e fa piazza pulita delle tante leggende kubrickiane, allora è riuscito nel suo intento.

Intervista di Giacomo Aricò

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