Nel film La Miglior Offerta di Giuseppe Tornatore (2013), il protagonista, Virgil Oldman (interpretato da Geoffrey Rush), è un sessantenne raffinato e stimato esperto d’arte, battitore d’aste d’antiquariato, con una predilezione per i ritratti femminili. Nel corso di tanti anni di carriera, ne ha raccolti tantissimi, con l’aiuto dell’amico Billy (Donald Sutherland) e con mezzi anche poco leciti. Li conserva tutti appesi in una stanza segreta e blindata della propria casa dove solo lui può accedere.
Virgil si siede nella stanza a rimirarli traendone una specie di piacere erotico e nella fantasia possiede tutte quelle donne raffigurate senza mai esporsi al rischio di possedere una donna vera. I ritratti ci sono sempre, non ti illudono, non ti tradiscono, non ti abbandonano. I ritratti non ti impegnano, non ti coinvolgono emotivamente nella tensione relazionale, non prendono e non pretendono più di ciò che sei disposto a dare, quando vuoi te ne vai e chiudi la porta come puoi chiudere un libro o il computer.
Virgil è un uomo molto ricco, arido e solo che ha però trovato un suo equilibrio e una sua identità seppur legata ad oggetti del passato. La sua casa, che naturalmente lo rispecchia, è estremamente elegante e ordinata, lì, dove non entra mai nessuno, c’è anche un grande armadio che contiene una vastissima collezione di guanti, lui li indossa sempre, secondo una modalità ossessiva, per difendersi dal pericolo del contatto con l’altro.
Ma l’amore arriva, non per caso ma per un raggiro orchestrato da Billy con l’aiuto di due altri imbroglioni (Claire interpretata da Sylvia Hoeks e Robert interpretato da Jim Sturgess) al fine di sottrargli tutti i preziosi dipinti custoditi nella stanza segreta. Risucchiato da un ingranaggio perfetto che costruisce l’inganno, Virgil abbandona tutte le sue difese, si innamora perdutamente di Claire e in questo amore si perde. Claire si finge malata e quindi debole, vulnerabile e bisognosa di aiuto, per salvarla e per salvarsi Virgil si espone completamente al rischio dell’amore.
Si apre, raccontando della sua infanzia trascorsa senza il calore di una famiglia e del lavoro all’orfanotrofio, in una bottega di restauro, dove ha iniziato ad accostarsi all’antiquariato. Tanta sofferenza ci permette di comprendere meglio la rigidità delle sue difese e la sublimazione del dolore che si esprime, se non nella creazione artistica, nella sua passione per l’arte. I primi contatti avvengono attraverso scambi verbali senza che i due si vedano. Claire si finge agorafobica, vive in una stanza segreta della sua villa e non si mostra a nessuno. Situazione antitetica alla muta captazione dello sguardo offerta dal dipinto e in un certo modo simile (come dirà anche Robert in una battuta del film) ai contatti e alle relazioni che nascono in rete.
Poi Claire guarisce, si svela a Virgil che ne è conquistato. Totalmente disorientato trascura l’arte e il lavoro cieco e sordo a tutti i segnali che potevano fargli intuire la fine tessitura dell’inganno. In particolare una frase dell’amico Billy, artista da lui bistrattato e come si è visto desideroso di vendetta, poteva essere un avvertimento:
I sentimenti umani sono come le opere d’arte, possono essere il risultato di una…..come dire… simulazione. Tutto può essere simulato Virgil: la gioia, il dolore, l’odio, la malattia, la guarigione …..perfino l’amore.
All’atroce delusione e all’abbandono dell’amata seguirà la profonda depressione e la lenta elaborazione del lutto che lo riporterà, anche se disfatto, alla vita. Una volta ristabilito Virgil si recherà a Praga in un bar di cui Claire gli aveva parlato dal nome emblematico: Night and Day. Il bar esiste veramente, è un posto strano pieno di ingranaggi. Al cameriere, che gli domanda se è solo, risponderà che aspetta una persona. Chi aspetta Virgil?
Forse la sua Claire in carne ed ossa che una volta gli aveva detto: “Qualunque cosa dovesse succedere ricordati che io ti amo” convinto come è che in un falso d’arte c’è sempre qualcosa di vero? Forse più consapevolmente la promessa e la possibilità dell’amore che anche se destabilizzante o addirittura devastante ha imparato a conoscere e che non gli fa più paura. Due richiami mi sembrano indispensabili, La Stangata (1973, di George Roy Hill) per l’architettura dell’inganno e il finale a sorpresa e Qualcosa è Cambiato (1997, di James L. Brooks) per la personalità del protagonista che in quel caso guarisce e trova la felicità per l’amore e con l’amore vero.
Claudia Sacchi