Esce oggi al cinema, in occasione del Giorno della Memoria, Una Volta Nella Vita, il film di Marie-Castille Mention-Schaar salutato in Francia come “un messaggio di speranza e un tributo alla nobile missione degli insegnanti“. Un film che tocca il tema della deportazione grazie alla straordinaria partecipazione di Léon Zyguel, sopravvissuto ai campi di concentramento.
Ispirato alla storia vera del giovane protagonista Ahmed Dramé (anche autore della sceneggiatura insieme alla regista, e del libro omonimo pubblicato in Italia da Vallardi), Una volta nella vita è ambientato nel Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali.
Qui una professoressa, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.
Vi riportiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dalla regista del film, Marie-Castille Mention-Schaar.
Come è arrivata a scegliere il titolo originale del film Les Heirtiers (letteralmente Gli Eredi)?
Si è imposto da solo una volta ultimato il film. Mi fa molto piacere che la parola «eredi» sia associata alla gioventù di oggi, multi comunitaria e multi confessionale. Non abbiamo l’abitudine di abbinare questo termine ai volti di questi ragazzi e tuttavia ho l’impressione che tutto il film sia percorso dal tema dell’eredità. Che cosa ereditiamo? Ma anche, che cosa lasciamo ai nostri «eredi»? Cosa ne facciamo della nostra storia? È possibile ignorarla, è possibile capire l’eredità degli altri? Che cosa conserviamo?
Il film si apre su una sequenza in cui ciascuno è trincerato nella propria logica: una ragazza che ha concluso gli studi vuole recuperare il suo attestato di superamento dell’esame di maturità. La consigliera e il preside del liceo Léon Blum di Créteil le negano l’accesso al liceo adducendo il motivo che indossa un foulard. Trovo interessante il fatto che la scena non riveli il suo punto di vista…
È un alterco che è realmente avvenuto al Léon Blum. E mostra il limite del dialogo attorno a due principi altrettanto forti: la libertà di espressione e il principio della laicità. Durante tutto il suo iter scolastico, la ragazza ha osservato la legge che impone di togliersi il foulard prima di entrare nelle scuole. Quella sequenza per me identifica i termini del dibattito. Non è detto che siano per forza le leggi a proteggere la scuola laica. È necessario pensare ad altri schemi. Lascio a ciascuno la libertà di giudicare… E tuttavia sono sbigottita per il posto che occupa la religione nei programmi scolastici in ogni fase dell’istruzione. E infatti, Madame Gueguen, il personaggio interpretato da Ariane Ascaride, è spesso ritratta mentre tiene una lezione su un tema religioso: l’inferno, il paradiso, il giudizio universale, Calvino…
Secondo lei, come riescono Anne Gueguen, il personaggio del film, e Anne Anglès, la vera professoressa, a conquistare gli allievi e farsi ascoltare, mentre la supplente precipita in un baratro?
Per capire meglio ho seguito alcune lezioni di Anne Anglès al liceo Léon Blum e sono rimasta colpita dalla sua bonaria autorità che invita al rispetto reciproco. Gli allievi hanno paura di averla come insegnante alla ripresa dei corsi perché ha la fama di essere «dura», ma paradossalmente sono sempre tristi nel lasciarla alla fine dell’anno scolastico. Ogni volta riesce a portarli dove non avrebbero mai immaginato di arrivare. Ho assistito ad altre lezioni in licei molto diversi gli uni dagli altri allo scopo di capire che cos’è oggi una classe di prima. Nella maggior parte dei casi, il professore parla su un sottofondo di leggero brusio diffuso, con studenti che si muovono in continuazione in base alle vibrazioni dei loro telefonini che tengono in tasca o sulle ginocchia. All’improvviso li vedi chinarsi e inviare sms. La voce del professore diventa solo un elemento tra tanti altri, completamente scollegata, e il ragionamento dell’insegnante non trova un punto di contatto con gli allievi.
Una Volta Nella Vita mostra il contrario: degli adolescenti che scoprono che una storia che consideravano un reperto archeologico o una provocazione ideologica in realtà li riguarda ai massimi livelli.
Sì, è un film ottimista e tanto più ottimista quanto si tratta di una storia vera che dimostra che è possibile appassionare anche i più reticenti, a condizione che vengano messi al centro del percorso didattico. Gli allievi cominciano ad interessarsi al concorso quando sono attivi. E in quest’evoluzione c’è un momento cruciale: l’incontro con un testimone, Léon Zyguel, deportato quando era adolescente. Léon è abituato a rendere la sua testimonianza davanti alle classi. È la lotta che da 70 anni ha scelto di condurre nella vita, poiché l’incontro a quattr’occhi con l’incarnazione della Storia è sempre, per tutti gli studenti che si preparano al concorso, un momento sconvolgente. Lo è stato anche per gli adolescenti del film.
Quanto è stata importante la partecipazione di Léon Zyguel?
Tenevo molto alla presenza di Léon Zyguel, che era andato all’istituto Léon Blum l’anno in cui Ahmed ha preparato il concorso. Ma Léon è un signore molto richiesto e ho dovuto corrergli dietro per convincerlo ad accettare. Era diffidente per il fatto che si trattava di un film di finzione. Ovviamente abbiamo fatto una sola ripresa ed è stata l’unica scena girata quel giorno. Ai miei attori ho dato una sola indicazione: per una volta, dimenticatevi che stiamo girando un film, ascoltate Léon e partite per compiere questo viaggio nella sua memoria. E Léon ha parlato con loro esattamente come fa di solito davanti a delle vere classi. Léon Zyguel passa il testimone con un grande rispetto. Quel giorno ha cambiato la loro vita. Quando ho rivissuto la scena da spettatrice, vedendo il film, sono rimasta estremamente commossa. Nessuno ha recitato.