Ambientazione segreta, film e regista in incognito. Questi sono gli ingredienti di Cinema Nascosto di Milano Design Film Festival, che inaugura la sua seconda edizione per gli amanti del cinema ricercato, d’essai. L’iniziativa è nata per presentare opere inedite ma soprattutto per far (ri)scoprire luoghi milanesi poco conosciuti, il tutto con dress code dedicato alla serata (in questo caso, un tocco di luce).
CameraLook.it ha avuto la fortuna di assistere, presso la Sala Puccini del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano, alla proiezione di Symmetry del regista Ruben Van Leer e del documentario Symmetry Unravelled, di Juliette Stevens. Con la sua Dance-Opera, il giovane regista olandese ha lasciato tutti i 400 ospiti a bocca aperta.
Symmetry è un’opera che racchiude in sè discipline come la danza, la tecnologia, la fisica e il canto. La maggior parte delle scene sono state girate al CERN di Ginevra, la cattedrale della scienza (grazie al progetto del dipartimento Arts@CERN) dove il protagonista e coreografo Lukas Timulak riveste le parti di uno scienziato alla ricerca delle particelle e ad un tratto viene sopraffatto da una voce interiore, interpretata dal soprano Claron McFadden, e inizia a danzare. L’incontro tra arte e scienza cerca di evocare l’origine dell’universo e il senso della vita, dove nel deserto di sale di Uyun in Bolivia, danzano i due protagonisti nello spezzone finale.
Ora godetevi la nostra intervista al regista Ruben Van Leer in esclusiva.
Cinema Nascosto, come la Milano segreta che non tutti vedono. Perché ha scelto di aderire a questo evento?
Sinceramente non ho scelto di essere qui, ma sono entusiasta che mi abbiano invitato. Ho scelto di accettare l’invito anche per mostrare a un pubblico ciò che ho creato, che verrà riproposto anche durante il Milano Design Film Festival. Secondo la mia opinione, le persone risultano essere lontane sia dal genere del mio film sia dal CERN: è la scienza che li porta ad esserlo. La scienza a volte è segreta, come questo evento, ma anche come gli artisti. Per me è davvero importante essere sincero e aperto verso il pubblico, facendo scoprire loro questi segreti. Sento che il film potrà aprire il pubblico verso i concetti di conoscenza, informazione, musica e poesia.
Cosa spera di suscitare nel pubblico?
Il pubblico è invitato a fare una ricerca personale e intima per capire il mio film. Come sapete, sono un artista e per me la scienza a volte è segreta, ma quando faccio le mie ricerche sento di avvicinarmi ad essa, prendendo ispirazione e lavorando in parallelo.
Durante le riprese, c’è un ricordo che ancora è rimasto nascosto ai più?
Quello che per me è davvero importante è il documentario Symmetry Untravelled girato dalla mia fidanzata Juliette Stevens, il quale rappresenta una spiegazione razionale per ogni scena. Lei è interessata più alla ricerca e alle spiegazioni, mentre io ho voluto giocare con le percezioni che suggerisce il mio cortometraggio al pubblico, che è più suggestivo e poetico. La cosa più importante per me è che dopo aver visto il mio film le persone si immaginino una storia propria, personale. Nonostante tratti di un argomento di fisica quantistica quando guardi qualcosa questa può cambiare, lo trovo emozionante. Alla fine del film c’è un cerchio e ho imparato dal mio lavoro anche dopo le riprese, scoprendo altre cose, come se il film fosse un Yin e Yang, per riscoprirsi e imparare dal progetto, invitando tutti ad imparare.
Che legame c’è tra la pellicola e il luogo dov’è stata proiettata?
Il conservatorio di Milano è un luogo molto stimato, uno dei giganti nel campo della musica in confronto a me e mi sento molto lusingato che il mio film venga proiettato qui. Non sono sicuro che il mio film si identifichi in un’opera perché non faccio opere teatrali, ma credo che questo sia il luogo migliore che potesse essere scelto. Anche perché il mio film tratta di musica, lo si vede quando lo scienziato protagonista sente attraverso una macchina la voce che lo trasformerà in un danzatore. Lui compirà un viaggio spirituale che parte dai numeri e grafici dello scienziato che, dopo aver rotto gli occhiali, inizia a sentire una voce interiore. La musica e il suono sono la parte portante della nostra vita e dell’universo.
Da regista, cosa ne pensa della ripresa in soggettiva? Qual è lo stile che ricerca di più?
Mi è piaciuta molto la soggettiva del personaggio in The Revenant e quella in una scena in Tree of Life di Terrence Malick. Però ad essere sincero, non mi piace che la telecamera sia così intelligente da catturare l’introspezione del personaggio. Io preferisco quando un film è più artificiale, non quando si usa un film come se fosse uno specchio, riflettendo la vita nella visione della pellicola. Non mi piace lo storytelling tipico americano, quando sei catturato dalle emozioni: penso che sia aggressivo. Per me è più importante la scoperta, la distanza del film artificiale che si riferisce all’arte, che ti avvicina con una connessione speciale, una relazione tra lo spettatore e il film. E molti film come il mio lo spiegano bene, mostrando anche il modo in cui si gira un film, dove si posiziona la telecamera. Nel mio film i dialoghi sono cantati e le azioni sono danzate e questo gira intorno a ciò che è il cinema tradizionale.
Intervista di Sara Parmigiani