Da oggi è possibile apprezzare al cinema la prestazione da Oscar di Brie Larson, la protagonista del notevolissimo Room di Lenny Abrahamson. Un’interpretazione grintosa e concreta la sua, quella di Mà, la mamma di Jack (un eccezionale Jacob Tremblay) che passa da trionfi materni ad agonie, dalla paura ed il rammarico al timore ed all’amore incrollabile. Una vita vissuta prima dentro la Stanza e poi nel Mondo Reale.
Brie Larson è diventata un’attrice drammatica nel 2014 con il suo ruolo di consigliere teenager in Short Term 12, e di recente ha mostrato la sua versatilità nella parte dell’antagonista di Amy Schumer nella commedia Un Disastro di Ragazza. Ovviamente non aveva mai fatto nulla di lontanamente simile a Ma’. La Larson si è avvicinata a questo personaggio drammatico con estremo impegno, non lasciando nulla di intentato – dall’alterare il suo fisico a condurre un’intensa ricerca psicologica sul confinamento – nel suo tentativo di rendere giustizia a chi è Ma’, a ciò che ha vissuto nella Stanza ed a come concentra tutte le sue energie per il futuro di Jack.
Sapeva che parte del suo compito era quello di incarnare le contraddizioni proprie della donna. Da una parte, doveva mostrare il suo lato acerbo, una ragazza a cui è stata rubata la sua vita promettente, costretta a costruirsi una corazza emotiva per sopravvivere. Dall’altra parte doveva evidenziarne il coraggio, e la sua devozione assoluta a far crescere bene Jack, ovunque si trovasse – una parte di lei che ha molto ammirato. “Non credo che Ma’ si aspettasse di uscire dalla Stanza – afferma la Larson – sapeva che la speranza avrebbe potuto ingannarla, ma penso che volesse fortemente che Jack uscisse”. La pianificazione della fuga di Jack, è stato un gesto d’altruismo: “era convinta che il piccolo ce l’avrebbe fatta, ma non penso che abbia mai creduto che sarebbe uscita anche lei, e che avessero un’altra possibilità di vita e di potergli fare da madre”.
La Larson ha iniziato una scrupolosa preparazione mentale e fisica per immedesimarsi nella realtà di Ma’ nella Stanza. In primo luogo, ha iniziato ad allenarsi e si è messa a dieta raggiungendo una tale magrezza che contava solo il 12% di grasso corporeo: “questo processo fisico ha influito sulla mia personalità – racconta – mi sentivo più aggressiva, una combattente, ed allo stesso tempo ero affamata ed esausta: era così che doveva sentirsi Ma’ dopo anni di prigionia con una quantità di cibo appena sufficiente”.
Allo stesso tempo, ha iniziato a condurre una vita più solitaria, limitando tutte le relazioni sociali, per avvicinarsi più facilmente allo scioccante stato emotivo e spirituale del suo personaggio: “volevo comprendere appieno lo status di Ma’ dopo aver passato così tanto tempo nella Stanza: penso che lei abbia vissuto delle ondate – di panico, di rassegnazione – e immagino che per la maggior parte del tempo si sia annoiata per la routine e la monotonia. Quindi, per simulare tutto questo, sono rimasta a casa per un mese, e sono uscita solo per andare in palestra. Non ho avuto molti contatti col mondo esterno, e soprattutto mi sono riparata dal sole poiché Ma’ non si è esposta ai raggi solari per tanti anni”.
Il senso di totale e devastante solitudine ha aiutato la Larson a capire come Ma’ abbia trovato il coraggio quasi folle di credere nel futuro di Jack. Per saperne di più sulla psicologia del trauma, e dei suoi effetti sconvolgenti sull’identità, la Larson ha trascorso del tempo con il dottor John Briere, un professore di psichiatria presso la USC, esperto in traumi dell’adolescenza. “Quel che ho imparato da lui è che per sopravvivere il cervello spegne una parte della nostra consapevolezza – spiega l’attrice – quindi all’interno della Stanza, Ma’ spegne delle parti di sé stessa per sopravvivere e anche per essere una mamma perfetta per Jack, ma quando esce dalla Stanza, si rende conto che tutta la parte che ha spento si sta riaccendendo”.
“La cosa assurda – aggiunge – è che il tutto avviene nella sua mente quando si trova fisicamente al sicuro. Ho sempre avuto l’impressione che Ma’ inizi veramente a realizzare quello che è successo nella Stanza nel momento in cui ne è fuori“. Per la Larson le cose si complicano a contatto col mondo esterno, quando Ma’ cade a pezzi per poi ricomporsi sicuramente molto aiutata da Jack. L’attrice osserva che nel mondo esterno, Ma’ improvvisamente vive un’esperienza opposta al figlio, pur avendo condiviso tutto fin dalla nascita.
Ed è proprio la resilienza profonda di Ma’ ed il suo legame indissolubile con Jack che la salva dal baratro. L’attrice, che da piccola per un periodo di tempo è cresciuta in povertà in un piccolo monolocale con una madre reduce da un divorzio, ha sentito in modo particolare la storia. Ha ricordato di aver vissuto in un’enclave piccola, fatiscente ma incantata, un po’ come Jack.
Secondo la Larson, ha funzionato tutto al meglio grazie al rapporto che ha instaurato con Jacob Tremblay con il quale ha passato molto tempo anche fuori dal set. Il piccolo attore la ringrazia così: “Brie è una grande persona, abbiamo giocato molto insieme, mi ha sempre aiutato nel ritrarre il mio personaggio, insieme eravamo tristi, pazzi, spaventati e veramente felici”. Nel film uno dei momenti più drammatici di Tremblay è stato quando è stato arrotolato e si è completamente nascosto all’interno del tappeto durante la grande fuga di Jack, quando cioè la fiducia in sé stesso è sostenuta solo dall’amore di Ma’. Jacob ricorda: “Era tutto buio, e facevo fatica a respirare. Ma quando finalmente sono uscito, Brie era lì che mi aspettava“.
La Larson afferma inoltre che gran merito è stato anche di Lenny Abrahamson, che li faceva sentire entrambi al sicuro. “Lavorare con Lenny è stata una delle esperienze più gratificanti della mia vita – conclude la Larson – è sensibile e tenero, ha un gran senso dell’umorismo: è stato in grado di infondere un’atmosfera divertente malgrado quello che stavamo attraversando“.
“Ringrazio Lenny Abrahamson, perché mi ha fatto un gran dono: quello di avermi dato fiducia affidandomi un personaggio così speciale”.
Brie Larson