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CAMERA&LOOK – The Dressmaker, un viaggio attraverso gli abiti

In The Dressmaker – Il Diavolo è Tornato – da oggi al cinema – la moda è travestimento. Tilly Dunnage, il personaggio protagonista interpretato da Kate Winslet, fa appello al senso di vanità e competizione delle donne di Dungatar, che per troppo tempo si sono trascurate o sentite trascurate. Tilly fa germogliare in loro un falso senso della speranza, tendendo una mano – o meglio, un filo – a cui appendersi. Tilly sa cucirle e scucirle, e loro si lasciano fare. Così gli abiti prendono il sopravvento, vere e proprie armi con cui imporsi. La costumista Marion Boyce ha concepito oltre 350 costumi per tutto il cast tranne che per Tilly i cui vestiti sono stati disegnati dalla costume designer Margot Wilson.

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Sulle capacità sartoriali del suo personaggio, Kate Winslet commenta: “Tilly si è formata in Francia, con Balenciaga, Dior e Vionnet. Gli abitanti di Dungatar non capiscono quanto siano magiche e meravigliose le sue creazioni. I suoi abiti sono dei doni e, al tempo stesso, hanno il sapore della vendetta. Da pallide e monotone quali sono all’inizio, le donne di Dungatar alle fine sembrano pronte per il red carpet”.

Gli anni ’50, nel dopoguerra, sono stati caratterizzati da due movimenti opposti nel campo della moda. Da una parte Christian Dior, con il “new look” dal 1947 in poi, propone l’immagine di una donna strizzata in corsetti e stringivita d’antan. Dall’altra, Vionnet e Balenciaga usano tessuti caldi e pregiati per avvolgere il corpo, mettere in risalto i pregi e camuffare i piccolo difetti. Rosalie Ham, l’autrice del romanzo da cui è tratto il film, sottolinea: “volevo che fosse chiara una cosa in questo film, che per essere belle e femminili non c’è bisogno di indossare un corsetto o trasformarsi in modo artificioso”.

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Nel dopoguerra degli anni ’50, gli stilisti francesi iniziarono a influenzare la moda popolare e la cultura giovanile, approfittando della maggiore disponibilità di tessuti e di materie prime. La regista del film Jocelyn Moorhouse spiega: “Negli anni ’50, la moda era un’esperienza molto emozionante. Fino ad allora si era respirata un’atmosfera di restrizione e di sacrificio, data dall’austerità degli anni della Guerra. Poi è arrivato Dior, e niente è stato più come prima, quindi è stata la volta di Balenciaga. Stilisti che hanno cambiato l’immagine stessa della donna, creando non solo abiti, ma vere e proprie opere d’arte”.

La Moorhouse spiega di essersi ispirata al lavoro degli stilisti europei più conosciuti dell’epoca, “per esser certi che gli abiti che Tilly crea per le donne di Dungatar siano in linea con l’anima del tempo, e antesignani del fashion più contemporaneo. Gli abiti di Tilly devono essere chic ed eleganti, non troppo sofisticati o eccentrici. Gli stilisti tendono generalmente a vestire i propri clienti in modo più eccentrico, e a tenere per sé gli abiti più composti, lineari ed eleganti”. A Dungatar gli abitanti indossano ancora gli abiti tipici degli anni ’30 e ’40. Tilly porta a Dungatar uno stile contemporaneo e una sensibilità tutta europea. I suoi abiti devono essere caratterizzati da tinte vivaci – rosso scuro, giallo ocra, verde smeraldo. La forza di questi colori deve spiccare sulla palette pallida e obsoleta dei colori dominanti a Dungatar.

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Il film è pieno di bellissime creazioni, sontuose, eleganti, sfavillanti, a seconda di chi li indossa e dell’effetto che la creatrice vuole produrre. Tilly stessa indossa degli abiti meravigliosi. I dettagli, anche se spesso sfuggono alle telecamere, e tra questi anche la biancheria vintage, sono cruciali. Alcuni costumi vengono da collezioni private internazionali. La costumista Marion Boyce ha studiato in dettaglio le cose che gli stilisti e i sarti del tempo usavano fare. Non solo uno studio sulle silhouette, ma anche sulle forme, sulle trasformazioni, sulle convenzioni sociali dell’epoca: “i primi anni ‘50 sono stati un periodo molto particolare ed eccitante. Il divertimento passava anche dai costumi. Costumi liberi e disinvolti che ti fanno venire voglia di ballare”.

“I costumi sono l’elemento trainante del film. Gli abitanti di Dungatar quasi spariscono sullo sfondo di questa piccola città. E poi arriva Tilly, che con la sua macchina da cucire è in grado di dare vita a incredibili effetti speciali”.

Sue Maslin

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