Ad aprire oggi – in anteprima – il 31° TGLFF – Torino Gay & Lesbian Film Festival, sarà Stonewall, il nuovo film diretto da Roland Emmerich con protagonisti Jeremy Irvine, Jonny Beauchamp, Joey King, Caleb Landry Jones e Jonathan Rhys Meyers. La pellicola narra le vicende dei moti di Stonewall avvenuti nel 1969 a New York nel bar Stonewall Inn. Insurrezioni nate per difendere i diritti civili degli omosessuali.
Danny Winters (Jeremy Irvine) è un giovane ragazzo originario di una piccola cittadina dell’Indiana: la sua vita viene sconvolta non appena rivela alla famiglia e alla comunità la sua omosessualità; è costretto a scappare dal suo Paese alla volta di New York, dove, senza alloggio e senza soldi, viene accolto dai giovani ragazzi di strada che gravitano intorno allo Stonewall Inn, storico locale nel Village.
Catapultato in una nuova realtà, Danny troverà una seconda famiglia e vivrà in prima persona la discriminazione e i soprusi da parte della polizia esercitati sulla comunità gay, fino a che la sopportazione e la rabbia dei giovani esploderà nei moti di Stonewall. Dal simbolico lancio di un mattone, il 28 giugno del 1969 tantissimi giovani gay, lesbiche, drag queen e transessuali scriveranno la storia dei diritti civili, dando vita al movimento per l’uguaglianza che si diffonderà in tutto il mondo e che, ancora oggi, continua a lottare contro le discriminazioni di genere.
L’idea di girare un film sui disordini di Stonewall, a Eemmrich venne mentre stava visitando il Los Angeles Gay & Lesbian Center. In particolare, rimase particolarmente colpito dalla statistica riguardo al numero di giovani senzatetto appartenenti alle categorie LGBTQ: il 40%. È questo dato che ha spinto Roland Emmerich a girare il film: “quello che mi ha colpito è che a ribellarsi e a combattere furono le persone che avevano meno da perdere – spiega – si trattava dei ragazzi che frequentavano questo locale: traffichini, Scare Queens e altre persone da cui non ci si aspetterebbe mai una resistenza nei confronti della polizia: fu la prima volta in cui i gay dissero basta”.
Una rivoluzione che non passò attraverso pamphlet o incontri. Presero invece delle bottiglie di birra e le tirarono ai poliziotti: “sono convinto del fatto che i cambiamenti politici di maggiore rilevanza comportino sempre degli atti di violenza; sono fatti collegati. La società cambia solamente se qualcuno usa violenza”. Stonewall è stata la prima volta in cui i gay si opposero, e lo fecero alla loro maniera: “una cosa che mi colpì molto quando la lessi è che quando la polizia si schierò in tenuta antisommossa, questi ragazzi formarono uno schieramento di fronte a quello dei poliziotti e cantarono una canzone sconcia. Per me quella fu una ribellione gay”.
Nonostante le cose siano cambiate in meglio per molti omosessuali nella società contemporanea – in particolare nelle grandi città – Emmerich si è reso conto che i problemi vissuti da quei ragazzi nel 1969 non erano così differenti da ciò che i giovani omosessuali devono affrontare al giorno d’oggi: “il problema allora è lo stesso che abbiamo attualmente – spiega Emmerich – i ragazzi che crescono in una famiglia religiosa o conservatrice fanno fatica a fare coming out. Se e quando lo fanno, finiscono per essere cacciati di casa, una cosa impensabile, per me. La mia famiglia non mi avrebbe mai trattato così. È stato questo il mio punto di partenza”.
Al regista è venuta in mente una storia inventata in cui fossero però presenti personaggi realmente esistiti. Personaggi messi in sceneggiatura da Jon Robin Baitz: “non ho cercato di fare è rendere più convenzionali i personaggi estremamente effemminati, perché questo è ciò che li rende interessanti. Non ho messo loro un filtro, e questa era anche l’intenzione di Roland; non erano militanti in giacca e cravatta che facevano comizi, si trattava di ragazzi di strada che non avevano nulla da perdere, costretti ai margini della società americana, fuori dalla conformità: questo è ciò che li rende vivi, secondo me”.
Emmerich ha fatto incontrare ai suoi attori persone che parteciparono ai fatti e conoscevano bene l’ambiente: “ho trovato ex Scare Queens che ho presentato ai miei attori; hanno fatto parte di una realtà che non esiste più – spiega Emmerich – questi ragazzi, che erano molto effemminati e usavano l’eyeliner e altri trucchi, ma non erano travestiti in tutto e per tutto, venivano chiamati Scare Queen, perché erano così poveri da non potersi permettere di travestirsi”. Il cast ha incontrato diversi habitué dell’epoca, ciascuno con una storia differente, quasi nessuno presente negli scontri: “la maggior parte ha risposto che non erano lì – continua il regista – tutte le persone che hanno partecipato agli scontri sono morte, sconosciute o vogliono rimanere nell’anonimato: in pratica nessuno sa chi ha dato inizio ai disordini”.
Per il regista, Stonewall è “da un lato è una storia di formazione nel senso classico del termine e dall’altro è la storia di un amore non corrisposto, un elemento molto forte in questo film, che sta alla base dell’esperienza di tutti gli uomini omosessuali: prima o poi nella vita amano qualcuno che non li corrisponde, in quanto eterosessuale”.
Lo Stonewall Inn, il luogo in cui i disordini ebbero inizio, era un bar gestito dalla mafia; si tratta di un fatto risaputo all’epoca. Il locale fu aperto da alcuni malviventi che avevano preso in prestito 3000 dollari dal loro padrino, il boss della mafia dell’epoca: “si trattava di un locale cui era stato dato fuoco e che avevano sistemato velocemente, per poi aprire un gay bar nel giro di poche settimane – spiega il produttore Michael Fossat – nel quartiere c’erano un altro paio di bar di questo tipo che stavano riscuotendo un certo successo”. New York non aveva una grande vita notturna all’epoca, “perché era molto pericolosa, ma gli omosessuali, non avendo un posto dove andare, incuranti del rischio, ci andavano sempre”. Quando aprirono lo Stonewall, nel 1966, fu un successo immediato: “era sempre pienissimo, e rimase tale fino a quando fu chiuso, poche settimane dopo i disordini. Si trattava di un ambiente estremamente corrotto”.
I due mafiosi proprietari del locale assunsero un uomo di nome Ed Murphy (interpretato nel film da Ron Perlman) per gestire il bar: “era un efferato criminale e, da quanto sapevamo e avevamo letto su di lui, era un personaggio decisamente temuto – continua Fossat – aveva ricattato diversi gay di spicco nel corso degli anni, perché aveva le prove delle relazioni che avevano avuto con altri uomini; all’epoca l’omosessualità non era ben vista. Ed Murphy pagava profumatamente il sesto Distretto di Polizia di New York, in modo tale che venisse avvisato telefonicamente ad ogni blitz al bar ed evitasse così l’arresto. Era un meccanismo ben consolidato: il Distretto guadagnava una fortuna, e la mafia faceva altrettanto”.
Jonathan Rhys Meyers – che interpreta Trevor Nichols, il volubile uomo maturo che fa coppia con Danny nel film – conclude così la presentazione del film: “la protesta di Stonewall finì per convergere con il movimento anti-Vietnam e con il resto dei cambiamenti in atto nella società”. Tutto questo accadde sei anni dopo l’omicidio di Kennedy, e, arrivati al 1970, il mondo intero era passato dalla CIA di Lyndon Johnson a Jimmy Hendrix nel giro di un breve lasso di tempo: “a New York, lo Stonewall, un piccolo, insignificante bar, divenne la scintilla che accese un intero movimento che spaventò l’America metodista, battista e cristiana dell’epoca. Era un momento di enorme cambiamento culturale ed economico per questa nazione”.
“Stonewall è incentrato sull’uguaglianza; è un film sull’amore e sul diritto ad amare chiunque tu voglia, sentirsi amato da chi desideri”.
Jeremy Irvine