Continua la gara alla 73. Mostra cinematografica di Venezia. Oggi, oltre al nostro Piuma, l’altro film in Concorso è La Región Salvaje di Amat Escalante, il regista premiato a Cannes nel 2013 per la Miglior Regia di Heli. Questo suo nuovo lavoro, più metafisico del precedente, è una parabola sociale che guarda al Messico ma che vuole essere universale. È una storia di innamoramenti e di disillusioni.
Alejandra (Ruth Ramos), giovane madre lavoratrice, cresce due figli insieme al marito, Ángel (Jesús Mesa), in una piccola città messicana. Suo fratello Fabian è infermiere nell’ospedale del luogo. La loro vita di provincia è sconvolta dall’arrivo della misteriosa Veronica (Simona Bucio). Sesso e amore possono essere molto fragili in talune regioni in cui esistono forti valori familiari, ipocrisia, omofobia e maschilismo. Veronica convince queste persone che nel vicino bosco, in una capanna isolata, c’è qualcosa che non appartiene al mondo terrestre e che potrebbe essere la risposta ai loro problemi. Qualcosa alla cui forza essi non sanno resistere e che devono subire per non scatenarne l’ira.
“Il film – racconta Amat Escalante – è una visione della lotta per conquistare l’indipendenza da parte di una giovane donna nata e cresciuta in una cultura fortemente maschilista, misogina e omofobica”. L’ispirazione e le idee di questo progetto sono venute al regista in Messico, leggendo il titolo di un giornale che diceva: “Hanno annegato un piccolo frocio”. Si trattava di un infermiere che lavorava in un ospedale pubblico e, sebbene avesse dedicato la vita a servire la gente, veniva ricordato ai lettori del giornale soltanto come “un piccolo frocio”. Questo titolo è all’origine di La Región Salvaje: “alla storia ho aggiunto l’aspetto fantastico/ horror di una “creatura” per dare una rappresentazione simbolica dell’ambigua complessità dell’Es, fonte delle nostre necessità corporali, delle nostre esigenze, desideri e impulsi, soprattutto delle nostre pulsioni sessuali e aggressive”.
Da segnalare – come Fuori Concorso – è invece One More Time With Feeling (3D) di Andrew Dominik, un docu-film fortemente voluto da Nick Cave. Inizialmente pensato come la ripresa di una performance musicale, con il tempo questo film si è evoluto in qualcosa di molto più significativo quando ha iniziato a scavare nel tragico contesto della scrittura e registrazione dell’album. Performance live dei Bad Seeds che cantano le nuove canzoni si intrecciano a interviste e riprese di Dominik, accompagnati dalla narrazione intermittente e dalle riflessioni estemporanee di Nick Cave. Il risultato è una testimonianza cruda, rigorosa e fragile, un vero e proprio tributo a un artista che cerca di trovare la sua strada attraverso l’oscurità.
Inizialmente, Nick Cave ha chiesto ad Andrew Dominik di realizzare un film sulla registrazione e sulla performance del nuovo album dei Bad Seeds, Skeleton Tree: “dopo la morte del figlio, Nick sentiva l’esigenza di dire alcune cose, anche se non sapeva a chi dirle – racconta il regista – di sicuro l’idea di un’intervista tradizionale secondo lui era fuori discussione”. Il cantante sentiva però il bisogno di far capire, a chi era interessato alla sua musica, come stavano le cose: “a me sembrava che si fosse bloccato, e avesse bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per dare almeno l’impressione di muoversi”.
Andrew Dominik ha girato questo film in bianco e nero e in 3D: “ho preso vecchie fotografie in bianco e nero attraverso uno stereoscopio degli anni cinquanta, sembrano che possano animarsi. Sentivo che il rigore del bianco e nero e la tormentata drammaticità delle immagini in 3D si combinavano perfettamente con la musica incorporea dell’album e con lo strano senso di paralisi da cui Nick sembrava avvolto”.