The Assassin 0 - Copia

La Cina del IX secolo nel The Assassin di Hou Hsiao-Hsien

Premiato per la Miglior Regia al Festival di Cannes del 2015, arriverà domani al cinema The Assassin, la pellicola diretta da Hou Hsiao-Hsien che ha fatto incetta di premi al recente 10° Asian Film Awards.


Cina, IX secolo. Sotto la dinastia Tang il paese vive e prospera. A minacciare la sua età d’oro si adoperano gli ambiziosi e corrotti governatori della provincia. “L’ordine degli assassini” è incaricato di eliminarli. Nelle sue fila serve e combatte Nie Yinniang (Shu Qi), abile con la spada e con la chioma nera come inchiostro lucente.

Rientrata nella sua città e nella sua provincia, dopo l’apprendistato marziale e un esilio lungo tredici anni, Nie Yinniang deve uccidere Tian Ji’an (Chang Chen), governatore dissidente della provincia di Weibo. Cugino e sposo a cui fu promessa e poi negata, Tian Ji’an è l’oggetto del suo desiderio. Amato e mai dimenticato, Nie Yinniang lo avvicina e lo sfida senza riuscire ad affondare il fendente. Ostinata a seguire le ragioni del cuore e a vincere quelle della spada, Nie Yinniang abdicherà al suo mandato, congedandosi dall’ordine.

Tian Ji’an

Tian Ji’an

Vi presentiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata da Hou Hsiao-Hsien a Gérard Lefort.

Hai ambientato il tuo film nella Cina del IX secolo, verso la fine della dinastia Tang (618 – 907 d.C.). È un periodo famoso per i suoi racconti, conosciuti con il nome di chuanqi, e mi chiedevo se tu ti fossi ispirato ad essi.

Conosco e amo i chuanqi della dinastia Tang dai tempi delle scuole superiori e dell’università, e da molto tempo sognavo di trasporli per il cinema. The Assassin si ispira direttamente a uno di essi, dal titolo Nie Yinniang. Possiamo dire che ne ho preso a prestito la base drammaturgica. La letteratura di quel periodo è ricca di dettagli della vita quotidiana; in questo senso potremmo definirla ‘realista’. Ma per il film mi serviva qualcosa di più e quindi ho passato molto tempo a leggere cronache e storie di quel periodo per familiarizzare con quello che la gente mangiava, come si vestiva e così via. Ho curato anche i più minimi dettagli. Ad esempio, c’erano modi diversi di fare il bagno, a seconda che tu fossi un ricco mercante, un alto ufficiale o un contadino. Ho anche tenuto conto, per certi aspetti, del contesto storico-politico.

Fu un periodo caotico quello in cui l’onnipotenza della corte Tang venne minacciata dai governatori di provincia che sfidarono l’autorità dell’imperatore Tang; alcune province tentarono persino la secessione dall’impero con la forza. Paradossalmente, queste province ribelli con le loro guarnigioni militari erano state create dagli imperatori Tang stessi per proteggere l’impero dagli attacchi esterni. Dopo una serie di rivolte da parte delle province negli ultimi anni del IX secolo, la dinastia Tang cadde nel 907 e il suo impero si frantumò. Mi sarebbe piaciuto poter parlare via Skype direttamente con la dinastia Tang: in questo modo il mio film avrebbe potuto essere molto più fedele alla verità storica.

Nie Yinniang

Nie Yinniang

All’interno del film c’è anche la vicenda molto importante di una sialia, che non riesce né a cantare né a danzare finché non gli mettono uno specchio di fronte alla gabbia. Anche questa viene dalla letteratura Tang?

Sì, è una storia molto famosa in Cina. Ce ne sono varie versioni in tutta la letteratura Tang; ricorre così spesso che le parole ‘specchio’ e ‘sialia’ diventano quasi dei sinonimi.

The Assassin è un film wuxia, punteggiato da scene di combattimenti di arti marziali. Questo genere è da molto tempo una base del cinema cinese ma per te è il primo wuxia…

È il risultato di un lungo viaggio verso la maturità. Da bambino, nella Taiwan degli anni Cinquanta, la biblioteca della mia scuola aveva un sacco di romanzi wuxia. Mi piacevano tanto e li ho letti tutti. Mi sono anche imbattuto nelle traduzioni di storie fantastiche di scrittori stranieri; ricordo in particolare i romanzi di Jules Verne. Ovviamente c’erano anche i film wuxia di Hong Kong, famosi in Occidente come film di kung fu e di scherma. Li ho scoperti quando ero molto giovane e me ne sono innamorato. Volevo cimentarmi con questo genere prima o poi, ma con il tono realista che ben si adatta al mio temperamento. Non è davvero il mio stile mostrare gente che combatte volando in aria o facendo piroette sul soffitto; non è il mio modo di lavorare e non avrei potuto farlo. Preferisco restare coi piedi per terra. Le scene di combattimento del film fanno riferimento alla tradizione di questo genere ma non sono certamente il centro dell’impianto drammaturgico. In realtà, io sono stato influenzato soprattutto dai film giapponesi di samurai di Kurosawa e altri registi: in essi, ciò che importa davvero sono gli aspetti filosofici che fanno parte dello strano mestiere del samurai e non le scene d’azione in sé e per sé. Sono semplicemente un mezzo per raggiungere lo scopo e sono fondamentalmente aneddotiche.

Chang Chen

Chang Chen

Perché il film inizia in bianco e nero?

Perché è un prologo. L’ho girato così d’istinto. Probabilmente volevo far riferimento al modo in cui si facevano i film una volta, in bianco e nero, per rievocare il passato del protagonista. Dopo, quando si passa alla vicenda principale e si racconta la storia in ordine cronologico, il film diventa a colori. È come passare al tempo presente della storia.

Ci sono molti personaggi femminili in The Assassin

Sto sempre dalla parte delle donne. Il loro mondo, le loro menti, mi sembrano sempre più interessanti di quelli maschili. Le donne hanno la loro sensibilità e un modo più complesso di pensare, un modo di rapportarsi alla realtà che mi affascina. Potremmo dire che i sentimenti delle donne sono sofisticati e piuttosto emozionanti, mentre gli uomini hanno la tendenza a pensare razionalmente e sono assai noiosi. Inoltre, la complessità delle donne varia moltissimo da una donna all’altra. Nel film la moglie del governatore non si ferma davanti a niente per proteggere gli interessi del clan Weibo. Yinniang, l’assassina, per contrasto è divisa tra il suo dovere – dovrebbe obbedire agli ordini senza pensare – e la sua incapacità di tenere a freno i sentimenti per l’uomo che le è stato ordinato di uccidere. Indipendenza, risolutezza, solitudine. Penso che siano queste le tre caratteristiche dei miei personaggi femminili.

Shu Qi

Shu Qi

È giusto dire che il film si concentri di più sullo svolgimento della trama che sulla sua conclusione, come in un buon romanzo thriller?

Non mi sono mai importate molto le spiegazioni, soprattutto quelle psicologiche. Se un film è un fiume, o un torrente, per la precisione, mi interessano di più il suo corso, la sua velocità, le sue deviazioni, i suoi mulinelli e i suoi gorghi, piuttosto che la sua sorgente o il punto in cui sfocia nel mare.

E che posto ha lo spettatore in tutto questo?

Lo spettatore è seduto sulla riva del torrente che zampilla, osserva tutto ciò che scorre, gli spruzzi generati dal movimento e i momenti di calma. Ma spero anche che si immerga nella corrente, che si faccia letteralmente il bagno, che si faccia trasportare dal volo della sua immaginazione.

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