Dietro o davanti alla macchina da presa, tra cinema, teatro e tv. Non si ferma mai Sergio Rubini, da giovedì in sala con La Stoffa dei Sogni, e nuovamente in tournée teatrale, tra novembre e dicembre, con Provando…Dobbiamo Parlare, lo spettacolo da lui diretto e interpretato e tratto dal suo stesso film uscito lo scorso anno. Una commedia strepitosa che funziona anche sul palcoscenico e che segue il percorso inverso de La Stazione, la prima pregevole regia cinematografica di Rubini (1990, David di Donatello come Miglior Regista Esordiente) che invece nasceva dalla pièce teatrale di Umberto Marino.
Di tutti questi progetti ne abbiamo parlato in camerino direttamente con Sergio Rubini.
La Stazione e Dobbiamo Parlare, due grandi successi in cui cinema e teatro sembrano nutrirsi a vicenda. Come nasce questa sfida?
Venticinque anni dopo La Stazione ho cercato di rifare quel percorso, sebbene all’inverso. Volevo comunque mettermi in quel solco, tra cinema e teatro. L’ho fatto per una ragione, quella di rimettermi in ballo. Dopo venticinque anni di lavoro le strade sono due: puoi decidere di stare ancora dentro un mood di ricerca e di curiosità, oppure puoi sederti su quello che hai fatto e poi morire. Io ho scelto la prima.
E con Provando…Dobbiamo Parlare la sfida l’ha vinta…
Il teatro l’ho utilizzato perché è lo spazio più idoneo alla ricerca. Dobbiamo Parlare è un’esperienza bellissima, è stato davvero un grande progetto. Inizialmente abbiamo provato e in seguito abbiamo fatto sei repliche aperte davanti al pubblico. Dopo abbiamo girato il film e poi siamo tornati in scena l’anno scorso e abbiamo fatto ottanta repliche. Quest’anno, con un’altra attrice (Michela Cescon, ndr), ne facciamo altre trenta. Sono personaggi che ormai conosciamo, un’ambientazione che ormai è nostra. Però ci mettiamo in discussione tutte le sere e anche cambiare un attore del cast ha rappresentato una nuova sfida per tutti.
Com’è avvenuto il passaggio dal cinema al palcoscenico?
Quando ho fatto il film, l’ho montato: ho tagliato, ho ridotto, ho modificato, alterato, sostituito. Quando sono tornato in scena non ho seguito più il copione originale, ma quello che avevo ricavato dal montaggio cinematografico. Quelle di cinema e teatro sono esperienze che si sono arricchite, una dopo l’altra. Dobbiamo Parlare non è solo uno spettacolo e non è solo un film, è un grande progetto, che ci ha impegnato per tanto tempo e di cui vado molto fiero.
Giovedì 1° dicembre esce al cinema La Stoffa dei Sogni. Di che film si tratta?
Il film di Gianfranco Cabiddu è spiritoso, divertente, con spunti dialettali e spunti da thriller. È una commedia all’italiana, con uno scenario incredibile e al centro una bellissima storia.
Ce la può raccontare brevemente?
Un gruppo di comici scalcagnati approda su un’isola in cui c’è un carcere. A seguito di un naufragio, nella compagnia dei comici si mescolano anche dei camorristi. Per scovarli, il direttore del carcere (interpretato da Ennio Fantastichini, ndr) fa allestire una commedia – La Tempesta di William Shakespeare – per cercare di capire quali siano i veri attori e gli infiltrati.
Lei interpreta Oreste Campese, il personaggio che guida gli attori e “duella” con Ennio Fantastichini…
Sì, sono il capocomico della compagnia che sa di avere al seguito dei camorristi nascosti. Però non può dirlo: è sotto ricatto perché nella compagnia ci sono anche sua moglie e sua figlia, che deve difendere. Ennio Fantastichini è il direttore del carcere che in diverse occasioni avvia delle conversazioni con me che diventano veri e propri duelli. Lui cerca di venire a capo della verità, cerca di farsela dire, ma io non mollo. Sarà poi lo spettacolo, la messinscena, ha fargli capire chi sono i veri attori e gli infiltrati.
La Stoffa dei Sogni è anche un bellissimo omaggio all’arte teatrale.
È un film da vedere, anche se uscirà in un numero molto ristretto di copie. Purtroppo da noi le sale vengono occupate dai grandi blockbuster che vengono distribuiti in diverse centinaia di copie. Quello di Cabiddu è un film molto popolare che pare avere un handicap, ovvero il fatto che contenga dei richiami a Shakespeare e Eduardo De Filippo. Come se parlare di questi autori possa “spaventare” il pubblico. Io lo trovo assurdo: mi auguro che questo Paese torni ad essere normale.
C’è un messaggio che la pellicola vuole lanciare?
La Stoffa dei Sogni nasconde un significato: il teatro, inteso come luogo della finzione, diventa paradossalmente il luogo in cui possiamo arrivare a scoprire la verità.
Poco più di un anno fa ci lasciava Luca De Filippo, che in questo film ha recitato per l’ultima volta. Come lo vuole ricordare?
L’ultima volta l’ho incontrato due anni fa all’Asinara quando abbiamo girato il film. Luca è stato un attore che ho sempre stimato. Da ragazzino penso di aver voluto cominciare a fare l’attore proprio perché l’ho visto recitare, accanto al padre. Mi colpiva molto, lo vedevo così giovane dentro questa compagnia così importante, con tutto il futuro davanti a sé. La sua scomparsa mi ha fatto molta tristezza: penso che sia la perdita di un tassello fondamentale della storia del nostro paese. La famiglia De Filippo è nel nostro dna, la scomparsa di Luca è come un pezzo di memoria che se ne va.
Abbiamo parlato di teatro e di cinema. In tv invece la vedremo nel ciclo di commedie Purché Finisca Bene, nel film-episodio Il Mio Vicino del Piano di Sopra diretto da Fabrizio Costa e al fianco di Barbora Bobulova. Ci può solo dare una piccolissima anticipazione?
È una commedia brillante, pulita, molto divertente. Penso di essere stato molto bravo, ma bravissima è stata Barbora Bobulova.
Lei insegna cinema ai ragazzi, con cui porta avanti diversi progetti. Usando il titolo del film di Cabiddu, le volevo chiedere: che stoffa devono avere i sogni dei giovani che vogliono fare cinema?
La stoffa dei sogni dei giovani è uguale alla stoffa dei sogni di chiunque. Penso che il problema dei giovani non siano i loro sogni ma gli adulti che hanno il compito di non spazzarglieli via.
CAMERALOOK
Il primo piano di Nastassja Kinski in Paris, Texas di Wim Wenders
Intervista di Giacomo Aricò