Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Ennesimo grande film di un talento giovane ma già maturo. Domani al cinema arriva È Solo la Fine del Mondo, il nuovo film scritto e diretto da Xavier Dolan tratto dall’omonimo testo teatrale di Jean Luc Lagarce del 1990. Protagonisti sono della pellicola Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel e Marion Cotillard.
Louis (Gaspard Ulliel), giovane scrittore di successo che da tempo ha lasciato la sua casa di origine per vivere a pieno la propria vita, torna a trovare la sua famiglia per comunicare una notizia importante. Ad accoglierlo il grande amore di sua madre (Nathalie Baye, in copertina) e dei suoi fratelli (Vincent Cassel e Léa Seydoux), la cognata (Marion Cotillard) ma anche le dinamiche nevrotiche che lo avevano allontanato dodici anni prima.
Il primo avvicinamento tra Dolan e il testo di Lagarce è avvenuto tra il 2010 e il 2011. Una pièce suggeritagli da Anne Dorval che l’aveva anche interpretata a teatro: “mai, mi raccontava, le era capitato di dire o di interpretare delle cose scritte e pensate in quel modo, espresse in una lingua così fortemente particolare – racconta Xavier Dolan – era convinta che dovessi leggere assolutamente quel testo, conservato nel suo ufficio, con tutte le annotazioni da lei scritte dieci anni prima: annotazioni sull’interpretazione, sulle posizioni in scena e altri dettagli scritti al margine dei fogli”.
Ma la scintilla non scattò subito, come motiva il regista: “non ne sono rimasto affascinato, come Anne immaginava e, ad essere sincero, avevo provato al contrario una sorta di disinteresse, e forse anche di antipatia per il modo in cui era scritto”. Nei confronti della storia e dei personaggi, Dolan avvertiva “un blocco intellettuale che mi impediva di apprezzare la pièce tanto elogiata dalla mia amica. Ero sicuramente troppo preso dall’impazienza di lavorare ad un nuovo progetto o di immaginare il mio prossimo taglio di capelli per comprenderne la profondità dopo quella prima lettura superficiale”.
Però, dopo aver girato Mommy, il cineasta canadese ha ripreso in mano il testo e l’ha riletto: “dopo sei pagine ho capito che sarebbe stato il mio prossimo film, il mio primo in età adulta. Finalmente ne capivo il testo, le emozioni, i silenzi, le esitazioni, l’irrequietezza, le inquietanti imperfezioni dei personaggi descritti da Jean-Luc Lagarce”. Dolan ammette così le sue iniziali mancanze: “non credo all’epoca mi fossi impegnato a leggerla seriamente, credo che se anche ci avessi provato, non sarei riuscito a capirla. Il tempo sistema le cose. Anne, come sempre o quasi, aveva ragione”.
Una volta deciso di adattare il testo teatrale per il grande schermo, attorno al progetto si è creato scetticismo misto a preoccupazione. Per Anne Dorval una trasposizione cinematografica era infatti difficile, come spiega Dolan: “mi chiedeva come avrei fatto a rispettare la lingua usata da Lagarce, dicendomi che, essendo qualcosa di notevole e di unico, non fosse affatto cinematografica”. Ma il regista non voleva rinunciarci: “al contrario, la sfida per me consisteva nel rispettare quanto possibile il testo”.
Xavier Dolan ha trovato i temi di Lagarce particolarmente familiari: “le emozioni dei personaggi, urlate o soffocate, le loro imperfezioni, la loro solitudine, i loro tormenti, i loro complessi di inferiorità”. Il vero tratto distintivo era proprio la lingua: “era una cosa nuova, intessuta di goffaggini, di ripetizioni, di esitazioni, di errori di grammatica. Laddove un autore contemporaneo avrebbe depennato automaticamente tutti gli elementi superflui e ridondanti, Lagarce li manteneva, li celebrava”.
I personaggi, nervosi e intimoriti, “nuotavano in un mare di parole talmente agitato che ogni sguardo, ogni sospiro tra le righe diventava –o sarebbe potuto diventare –l’equivalente di un momento di bonaccia in cui gli attori avrebbero fermato il tempo” racconta Dolan. In conclusione, il regista voleva che le parole di Lagarce “fossero dette così come erano state scritte, senza compromessi, è in quella lingua che risiede la sua ricchezza, ed è attraverso quella lingua che la sua opera si è affermata nel tempo. Edulcorarla avrebbe significato banalizzare l’autore”.
“Non mi importa che si senta il teatro in un film. Che il teatro nutra il cinema…non è forse vero che teatro e cinema hanno bisogno uno dell’altro?”.
Xavier Dolan