Giovedì 2 marzo uscirà al cinema Omicidio all’Italiana, la seconda pellicola diretta e interpretata da Maccio Capatonda. Una commedia satirica, divertente e tragica allo stesso momento, ambientata in un posto sperduto dell’Abruzzo e incentrata su un misterioso assassinio sul quale si giocano moltissimi interessi. Oltre a Capatonda (Marcello Macchia) e all’Italia, protagonisti della storia sono anche Herbert Ballerina (Luigi Luciano), Ivo Avido (Enrico Venti), Sabrina Ferilli, Gigio Morra, Roberta Mattei, Fabrizio Biggio e con la partecipazione di Nino Frassica.
Dopo il grande successo di Italiano Medio, il produttore Marco Belardi della Lotus ha chiesto a Maccio Capatonda di scrivere un altro soggetto. Vi diciamo subito che Omicidio all’Italiana supera il film d’esordio, alzando ulteriormente il tiro e la profondità delle tematiche trattate. La storia è ambientata ad Acitrullo, un piccolo borgo sperduto dell’entroterra abruzzese (le riprese sono state effettuate a Corvara) ormai dimenticato da tutti. Il Sindaco Piero Peluria (Maccio Capatonda) le sta provando tutte per risollevare una situazione diventata ormai penosa per tutti: non c’è internet, gli abitanti sono solo una manciata (sono sedici e ci sono più capre che persone), l’età media altissima. Non c’è futuro, solo ricordi tristi e un immobilismo devastante. Dimenticato dalla Regione, il paesino di Acitrullo è ormai divorato dalla povertà e dalla polvere.
Anche il misero tentativo di portare Internet (con i vecchi modem 56k…), finanziato dalla Contessa Ugalda Martirio In Cazzati (Lorenza Guerrieri), finisce male: “non investirò più” urla seccata la donna. Così anche gli ultimi “giovani” decidono di andarsene, verso Campobasso. La stessa sera vediamo la Contessa cenare voracemente davanti al programma tv real-crime Chi l’Acciso?. Ad un certo punto ha un malore e muore soffocata. Il Sindaco e il suo stupido vice Marino (Herbert Ballerina), giunti alla dimora della Contessa per scusarsi e per implorare nuovi investimenti, la trovano ormai agonizzante. La tv è ancora accesa e a Peluria viene in mente un’idea: inscenare un finto omicidio per attirare l’attenzione mediatica su Acitrullo e farla uscire dall’anonimato. I due decidono così di accoltellare la Contessa (gettando un set di coltelli dall’alto).
Una volta diffusa la notizia, la squadra del programma tv condotto dalla spietata Donatella Spruzzone (Sabrina Ferilli) accorre immediatamente per spettacolarizzare l’omicidio. La polizia arriva dopo e viene messa da parte dalla troupe: il Commissiario Fiutozzi (Gigio Morra), subendo il fascino della conduttrice, si scansa, mentre la giovane agente Gianna Pertinente (Roberta Mattei) capisce subito che qualcosa non va. L’intento del Sindaco si realizza: i giornalisti e i mass media arrivano come un terremoto e invadono tutto. Molesti e insopportabili, cercano il dolore da riprendere, fanno domande assurde e vanno a caccia dell’assassino: inizia la fiction (con tanto di televoto: chi è il colpevole?).
Intanto la politica fannullona strumentalizza il caso e prende corpo il vergognoso “turismo dell’orrore”. Una famiglia – in cui i figli comandano senza educazione – prenota un viaggio ad Acitrullo per 24 mila euro. Insieme a loro arriva un’ondata di curiosi (Capatonda si è ispirato al turismo all’Isola del Giglio per la Concordia) e il paesino viene invaso dal trash. Merchandising, selfie incessanti, festini: tutto fa tendenza. Intanto la Spruzzone continua ad agire senza umanità, insabbiando le prove (i risultati dell’autopsia escludono l’omicidio) e cercando solo di innalzare lo share del suo programma. Tra diversi colpi di scena, il finale del film denuncia la mancanza di una vera giustizia (anche gli assassini, una volta usciti, diventano famosi e inseguiti dai media) e sottolinea un aspetto positivo: l’importanza delle nostre radici. Acitrullo, dopo il ciclone mediatico, tornerà a brillare di luce propria, autentica.
In attesa di vedere come andrà al botteghino, il secondo film di Capatonda (al secolo Marcello Macchia) ha già (con)vinto. La sua scrittura e il suo stile comico hanno il pregio di parlare a tutti, non solo al suo fedele pubblico. Dotato di intelligenza, il film fa ridere, riflettere e anche spaventare. Soprattutto riguardo a l’eterno quinto potere della tv e degli effetti devastanti dei social. ITALIANO Medio – Omicidio all’ITALIANA. Ancora una volta l’Italia è protagonista con i suoi tanti (troppi e inaccettabili) difetti.
Abbiamo incontrato Maccio Capatonda subito dopo la presentazione del film e lo abbiamo intervistato.
Omicidio all’Italiana è una pellicola satirica. Ha l’obiettivo di far ridere ma anche di far riflettere. Perché è dotato di una coscienza e ad una coscienza parla…
Ormai mi viene spontaneo fare satira. Quando cerco di scrivere qualcosa di comico alla fine faccio sempre leva su qualcosa che abbia una valenza satirica. Spesso non lo faccio neanche volontariamente. Ma analizzando il reale spesso trovo delle contraddizioni che mi sembrano troppo assurde. Cerco di fare delle esagerazioni, di spingere l’acceleratore su determinate tematiche. Esagerandole. Solo che poi vengo puntualmente deluso dalla realtà che va sempre oltre. [E poi aggiunge scherzando: Come quando ho montato la clip “Natale al Cesso”. Appena ho visto in seguito “Natale a Miami” ho notato che erano troppo simili. Così ho dovuto aggiungere dei rutti. Molti rutti].
Il tuo film ha una bella citazione nei titoli di testa, ovvero quella di Funny Games di Michael Haneke. Lui con quel film, a tesi, chiuse un trittico di film molto critici riguardo al rapporto tra pubblico e media, ed in particolare, tra pubblico e televisione, un mezzo che ci ha “anestetizzato” rispetto al consumo di contenuti violenti…
La citazione di Haneke era fortemente voluta. E colgo anche il parallelismo con la tematica anche se non ci avevo pensato. Volevo dare una scossa forte all’inizio del film, che inizia in modo un po’ dolce, demenziale. Con il titolo in rosso e la musica rock improvvisa di sottofondo volevo dire al pubblico: “guarda che questo film parla di omicidi”. Ed effettivamente parla del rapporto tra il pubblico e la tv.
Il personaggio senza coscienza di Sabrina Ferilli con il suo programma tv cerca lo share spettacolarizzando le tragedie, montandole ad arte, inquinando spesso la scena del crimine. Qui ci ho visto un bel riferimento a Lo Sciacallo con protagonista Jake Gyllenhall.
Sì, qui non si tratta di una vera e propria citazione ma di un riferimento. Ne Lo Sciacallo c’è una sequenza in cui il videoreporter arriva sul luogo del delitto prima che arrivi la polizia. Sicuramente è stato da spunto.
Con la serie tv Mario avevi iniziato il tuo studio sul potere mediatico della tv. Cosa ne pensi dei mass media?
Credo che i giornalisti facciano un lavoro nobilissimo e giustissimo. Non li condanno. Però hanno un grande potere, quello di esaltare delle cose rispetto ad altre. Secondo me esaltare un omicidio e ricamarci sopra, per anni, trattandolo come se fosse una fiction non è giusto. Perché si sta parlando di cose reali e di dolore di persone vere. Poi queste persone vere ci marciano sopra, così come gli stessi parenti vengono invitati a fare le ospitate in tv. Si crea un sistema molto brutto e perverso che si fonda sui soldi. Vince il lato economico. Attorno ad un omicidio si creano così moltissimi interessi. E questa cosa non va bene per niente.
Da un lato la tv, dall’altro il web. Una terra selvaggia dove spesso gli utenti perdono la testa con ripercussioni anche nel reale…
Sono derivazioni dell’estrema connessione che stiamo vivendo. Il problema grave è che dobbiamo imparare a gestire tutta questa tecnologia che abbiamo e per gestirla in modo responsabile e consapevole ci servirà ancora molto tempo. La realtà non è ancora aggiornata rispetto al progresso dell’ultimo secolo. L’uomo non è ancora pronto, da qui nascono ancora delle dipendenze e un uso irresponsabile di Internet.
Il finale del film ci ricorda l’importanza delle nostre radici. Acitrullo diventa anche un simbolo di quell’Italia abbandonata, di quei piccoli borghi che stanno scomparendo. Tu cosa ne pensi?
Non devono assolutamente scomparire. Oggi siamo tutti troppo interconnessi, nel virtuale. Invece trovo che sia importante avere ancora un posto, vero e reale, dove stare. Siamo tutti “sempre ovunque”, senza punti di riferimento. Non sappiamo più cosa è importante e cosa non lo è. Io lo sto vivendo sulla mia pelle perché sono nato in un periodo in cui non c’era tutto ciò e noto questa mancanza di importanza che si dà alle cose. Oggi siamo immersi in un caos di informazioni e situazioni e non sappiamo più a cosa dare rilievo. Bisogna tornare a riappropriarsi della singolarità e dell’unicità delle cose.
Intervista di Giacomo Aricò